In data 14 novembre 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-197/23, S. S.A. contro C. sp. z o.o., sull’interpretazione dell’articolo 2, dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, nonché dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del Trattato sull’Unione Europea (TUE), letti in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la S. S.A. (“S”) e la C. sp. z.o.o. (“C”) in merito alla regolarità dei premi percepiti da quest’ultima in riferimento all’esecuzione di un accordo quadro commerciale.
Questi i fatti.
In data 27 aprile 2018 la S, in qualità di cessionaria di un credito nei confronti della C, aveva adito il Sąd Okręgowy w Warszawie(Tribunale regionale di Varsavia) per chiederne la condanna al pagamento di una somma pari a circa 1 milione di euro, corrispondente a premi in contanti sul fatturato realizzato durante un determinato esercizio contabile che quest’ultima avrebbe indebitamente percepito nell’ambito di un accordo quadro commerciale concluso con il cedente e relativo alla consegna di merci ai fini della loro rivendita. Tale causa era pertanto stata assegnata alla XVI sezione commerciale di detto Tribunale e, in base al sistema di assegnazione casuale delle cause, alla giudice E.T. in veste monocratica.
Poiché E.T. era assente il giorno dell’udienza, tuttavia, la presidente della sezione aveva assegnato la causa a J.K., giudice di turno in tale data, che aveva respinto la domanda della S. Di conseguenza, quest’ultima aveva proposto appello dinanzi al Sąd Apelacyjny w Warszawie (Corte d’appello di Varsavia; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma[1], TUE, letto alla luce dell’articolo 2[2] TUE e dell’articolo 47[3] della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione nazionale che impedisce in ogni caso al giudice d’appello di verificare se la riassegnazione della causa al collegio giudicante che ha statuito su quest’ultima in primo grado non sia avvenuta in violazione delle norme nazionali relative alla riassegnazione delle cause nell’ambito degli organi giurisdizionali.
La Corte ha preliminarmente ricordato che ogni Stato Membro deve assicurare che gli organi che sono chiamati, in quanto giudici, a statuire su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione, e che rientrano quindi nel sistema nazionale di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati da quest’ultimo, soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva, tra cui quello dell’indipendenza[4]. Tale requisito, intrinsecamente connesso al compito di giudicare, costituisce un aspetto essenziale del diritto fondamentale ad un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati Membri enunciati all’articolo 2 TUE[5]. Più particolarmente, il requisito di indipendenza implica due aspetti. Il primo, di carattere esterno, richiede che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte. Il secondo, di carattere interno, si ricollega invece alla nozione di imparzialità, e concerne l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima[6].
L’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE richiede, inoltre, la presenza di un giudice “precostituito per legge”, in considerazione dei legami inscindibili che esistono fra, da un lato, l’accesso a un tale giudice e, dall’altro, le garanzie di indipendenza e di imparzialità dei giudici[7]. Tale riferimento riflette, in particolare, il principio dello Stato di diritto e riguarda non soltanto il fondamento normativo dell’esistenza stessa dell’organo giurisdizionale, e bensì anche la composizione dell’organo in ciascuna causa nonché qualsiasi altra disposizione del diritto interno la cui inosservanza renda irregolare la partecipazione di uno o più giudici all’esame della stessa[8]. La possibilità di verificare il rispetto di tali garanzie, peraltro, è necessaria nell’interesse della fiducia che in una società democratica il giudice deve ispirare al singolo parte in giudizio. Una tutela giurisdizionale effettiva, infatti, non può essere garantita se, su domanda di una parte, o d’ufficio in presenza di un serio dubbio, il rispetto delle norme che conferiscono ad un collegio giudicante la qualità di giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge non può essere oggetto di un controllo giurisdizionale e di un’eventuale sanzione in caso di inosservanza, altrimenti tali norme potrebbero essere violate senza che ne derivi alcun effetto[9].
Tutto ciò premesso, secondo la Corte deve pertanto essere ritenuta incompatibile con i requisiti derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE una normativa nazionale che impedisce ai giudici di secondo grado di verificare il rispetto delle norme nazionali relative alla riassegnazione delle cause nell’ambito degli organi giurisdizionali o alla modifica dei collegi giudicanti, al fine di stabilire se il collegio che ha statuito in primo grado costituisca un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, vietando in ogni caso ai giudici di secondo grado di accertare, ove necessario, la nullità del procedimento di primo grado qualora quest’ultimo si sia concluso con una sentenza emessa da un collegio giudicante al quale la causa è stata riassegnata o che è stato modificato in violazione di tali norme.
Di conseguenza, la Corte ha statuito che:
“L’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, letto alla luce dell’articolo 2 TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che impedisce in ogni caso al giudice d’appello di verificare se la riassegnazione di una causa al collegio giudicante che ha statuito su quest’ultima in primo grado non sia avvenuta in violazione delle norme nazionali relative alla riassegnazione delle cause nell’ambito degli organi giurisdizionali”.
[1] L’articolo 19 TUE al paragrafo 1 dispone: “… La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati.
Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione…”.
[2] L’articolo 2 TUE dispone: “… L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini…”.
[3] L’articolo 47 della Carta, intitolato “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”, dispone: “… Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.
Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.
A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia…”.
[4] CGUE 11.07.2024, Cause riunite C‑554/21, C‑622/21 e C‑727/21, Hann-Invest e a., punto 47.
[5] CGUE 16.11.2021, Cause riunite da C‑748/19 a C‑754/19, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a., punto 66.
[6] CGUE 11.07.2024, Cause riunite C‑554/21, C‑622/21 e C‑727/21, Hann-Invest e a., punti 50-51.
[7] Ibidem, punto 55.
[8] CGUE 29.03.2022, Causa C‑132/20, Getin Noble Bank, punto 121.
[9] CGUE 06.10.2020, Causa C‑134/19 P, Bank Refah Kargaran/Consiglio, punto 36.