MEDICINALI PER USO UMANO. L’AG EMILIOU SI PRONUNCIA SUI CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE CONDIZIONI DI RILASCIO DI UN CPC

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In data 6 giugno 2024, l’Avvocato Generale Emiliou ha presentato le sue conclusioni nella Cause riunite C-119/22 e C-149/22, Teva BV e Teva Finland Oy contro Merck Sharp & Dohme Corp. e Merck Sharp & Dohme Corp. contro Clonmel Healthcare Limited, sullecondizioni per il rilascio di un certificato protettivo complementare (CPC) per i medicinali di cui all’articolo 3 del Regolamento (CE) n. 469/2009[1].

Questi i fatti.

In data 21 marzo 2007, la Merck Sharp & Dohme Corp. (“Merck”), titolare del brevetto europeo EP 1 412 357[2], rilasciato dall’Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office, EPO), tra l’altro, per la Finlandia, aveva ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) del prodotto denominato “Januvia”, un farmaco utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2 e che contiene sitagliptin come unico principio attivo. In data 31 agosto 2008, inoltre, la Merck aveva ottenuto un’AIC per il medicinale denominato “Janumet”, un altro farmaco utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2 ma contente sitagliptin e metformina cloridrato. In entrambi i casi, la Merck aveva ottenuto un CPC in Finlandia[3] sulla base del brevetto EP 1 412 357 e, rispettivamente, delle AIC per lo Januvia e il Janumet. Successivamente, la Teva B.V. e la Teva Finland Oy (congiuntamente “Teva”) avevano presentato un’azione contro la Merck dinnanzi al markkinaoikeus (Tribunale finlandese delle questioni economiche; il “giudice del rinvio”) volta a dichiarare la nullità del CPC n. 342 in quanto sarebbe stato rilasciato in violazione delle condizioni di cui all’articolo 3 Regolamento 469/2009. Alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, pertanto, il giudice del rinvio aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia quattro questioni pregiudiziali.

La Merck è altresì titolare del brevetto europeo EP 0 720 599[4], concesso dall’EPO in 19 maggio 1999 per, tra l’altro, l’Irlanda. Nel 2003, la Merck aveva ottenuto un’AIC di un medicinale denominato “Ezetrol”, un farmaco ipocolesterolemizzante che contiene l’ezetimibe come unico principio attivo, ottenendo per quest’ultimo un CPC in Irlanda. Nel 2004, inoltre, la Merck aveva ottenuto un’AIC per un altro prodotto denominato “Inegy”, un medicinale anch’esso ipocolesterolemizzante ma contenente ezetimibe e simvastatina, e il corrispondente CPC. Dopo la scadenza del CPC per l’ezetimibe, ma con quello per l’ezetimibe e la simvastatina ancora in corso di validità, la Clonmel Healthcare Limited (“Clonmel”) aveva lanciato una versione generica del prodotto “Inegy”. Ritenendo che la produzione e la commercializzazione di quest’ultimo violasse il secondo CPC, pertanto, la Merck aveva avviato un’azione per contraffazione contro la Clonmel, chiedendo un’ingiunzione inibitoria e il risarcimento del danno, presso la High Court(Alta Corte d’Irlanda), che aveva annullato il CPC in questione. Poiché tale decisione era stata confermata anche in appello, la Merck aveva adito la Supreme Court (Corte suprema d’Irlanda; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia quattro questioni pregiudiziali.

Le questioni sollevate nelle due cause, che la Corte ha deciso di riunire, vertono sui criteri corretti da applicare per valutare ciascuna delle condizioni previste dall’articolo 3 del Regolamento 469/2009 e, in definitiva, se (e, in caso affermativo, in che misura) una condizione o l’altra (o entrambe) ostino al rilascio di un CPC per una composizione di principi attivi, in particolare, nell’ipotesi in cui il titolare del brevetto abbia precedentemente ottenuto un CPC per uno di tali principi.

Le questioni dalla prima alla quarta nella Causa C‑119/22 e le questioni terza e quarta nella Causa C‑149/22 vertono sull’articolo 3, lettera c), del Regolamento 469/2009.

A tale riguardo, l’AG ha preliminarmente ricordato che, ai sensi del Regolamento 469/2009, per “prodotto” si intende il principio attivo o la composizione di principi attivi di un medicinale[5]. Di conseguenza, poiché in entrambi i casi concreti il CPC controverso era stato rilasciato per una combinazione di principi attivi, quest’ultima costituisce, di per sé, un “prodotto”, di talché, ai fini della valutazione della condizione di cui all’articolo 3, lettera c), del Regolamento 469/2009, il prodotto pertinente è la suddetta composizione, e l’esaminatore deve verificare se per essa il titolare del brevetto abbia già ottenuto un CPC. Non essendo stato rilasciato alcun precedente CPC per le combinazioni in questione, pertanto, tale condizione risulta soddisfatta. Ciò non viene messo in discussione dal fatto che, in entrambi i casi, la Merck aveva ottenuto un precedente CPC per il singolo principio attivo in quanto, in base alla definizione di cui all’articolo 1, lettera b), del Regolamento 469/2009, quest’ultimo è un prodotto diverso dalla composizione di principi attivi. Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 3, lettera c), di detto regolamento, il rilascio di un CPC per il singolo principio attivo non dovrebbe ostare al rilascio di un altro CPC per una combinazione di principi.

Le questioni prima e seconda nella Causa C‑149/22, invece, vertono sull’articolo 3, lettera a), del Regolamento 469/2009.

A tale riguardo, l’AG ha preliminarmente ricordato che, nella Causa Teva I, la Corte aveva stabilito che un prodotto composto da più principi attivi che hanno un effetto combinato è protetto da un brevetto di base in vigore, ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del Regolamento 469/2009, quando la combinazione dei principi attivi che lo compongono, anche se non viene esplicitamente menzionata nelle rivendicazioni del brevetto di base, è necessariamente e specificamente ricompresa in tali rivendicazioni[6]. Di conseguenza, al fine di stabilire se un “prodotto” sia “protetto” da un brevetto ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del Regolamento 469/2009 occorre effettuare una verifica secondo un criterio autonomo che differisca, in parte, dal “criterio dei limiti della protezione” applicato alla luce della normativa in materia di brevetti[7].

Tale criterio si presta a due possibili interpretazioni. Più particolarmente, mentre in base ad una prima lettura un “prodotto”, compresa una composizione di principi attivi, deve essere considerato protetto da un brevetto di base ai sensi dell’articolo 3, lettera a), del Regolamento 469/2009 quando è esplicitamente menzionato nelle sue rivendicazioni di tale o, quanto meno, quando è necessariamente e specificamente ricompreso in tali rivendicazioni, in base ad una seconda lettura, per essere considerato come tale, il “prodotto” non solo deve essere espressamente menzionato nelle rivendicazioni o, quanto meno, essere specificamente identificabile da una persona esperta del ramo, e bensì deve anche rientrare nell’invenzione, nel senso di riflettere la vera innovazione per la quale il brevetto è stato rilasciato.

Secondo l’AG, è la seconda interpretazione ad essere corretta. Alla luce dello scopo del periodo aggiuntivo di esclusiva concesso da un CPC, che è quello di consentire che siano ammortizzati gli investimenti effettuati dal titolare del brevetto di base nella ricerca, infatti, il fatto che il prodotto sia specificamente identificabile da una persona esperta nel ramo, alla luce di tutte le informazioni divulgate dal brevetto di base, è volta a garantire che i CPC siano rilasciati solo per prodotti che sono stati sviluppati attraverso tale ricerca, al momento del deposito della domanda di brevetto di base. Sarebbe infatti contrario allo scopo del CPC se un titolare di brevetto potesse, sulla base di rivendicazioni ampiamente formulate, ottenere un siffatto certificato per una sostanza che non era nota al momento della domanda di brevetto, ma che è stato scoperto in seguito, come risultato di ulteriori ricerche, eventualmente condotte da terzi. Di conseguenza, al fine di determinare se un prodotto sia protetto da un brevetto di base, occorre anche identificare nelle rivendicazioni, alla luce della descrizione e dei disegni di tale brevetto, l’oggetto del medesimo[8] e stabilire se il prodotto corrisponda a tale invenzione.

Tutto ciò premesso, pertanto, l’AG ha suggerito alla Corte di rispondere nel senso che:

L’articolo 3, lettera a), del regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, dev’essere interpretato nel senso che un prodotto, per essere considerato «protetto da un brevetto di base» ai sensi di tale disposizione, deve non solo i) essere espressamente menzionato o, quanto meno, «specificamente identificabile» nelle rivendicazioni, ma deve anche ii) rientrare nell’invenzione oggetto di tale brevetto.

L’articolo 3, lettera c), del regolamento n. 469/2009 deve essere interpretato nel senso che esso non osta al rilascio di un certificato protettivo complementare (CPC) per una composizione di principi attivi qualora sia stato rilasciato un precedente CPC per uno di tali principi. Le nozioni di «cuore dell’attività inventiva» e di «oggetto dell’invenzione» sono irrilevanti ai fini della valutazione della condizione prevista da tale disposizione”.

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[1] Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, GUUE L 152 del 16.06.2009. L’articolo 3 del Regolamento, intitolato “Condizioni di rilascio del certificato”, dispone: “Il certificato viene rilasciato se nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7 e alla data di tale domanda:

a) il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore;

b) per il prodotto in quanto medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione in corso di validità di immissione in commercio a norma, secondo il caso, della direttiva 2001/83/CE o della direttiva 2001/82/CE;

c) il prodotto non è già stato oggetto di un certificato;

d) l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale…”.

[2] L’invenzione di cui al brevetto in questione riguarda sostanze che svolgono la funzione di inibitori dell’enzima dipeptidil‑peptidasi IV (inibitori della DP‑IV) e che, come tali, sono utili nel trattamento o nella prevenzione di malattie nelle quali è coinvolto quest’ultimo. L’invenzione, inoltre, riguarda sostanze contenenti detti composti nonché il loro impiego nel trattamento o nella prevenzione di malattie nelle quali è coinvolto l’enzima dipeptidil‑peptidasi IV.

[3] Rispettivamente i CPC n. 343 e 342.

[4] La descrizione del brevetto indica che alcune sostanze denominate “azetidinoni” hanno l’effetto di inibire l’assorbimento del colesterolo nel sangue sulla membrana del villo intestinale nell’intestino tenue. In quanto tali, dette sostanze sono utili per il trattamento e la prevenzione dell’aterosclerosi.

[5] L’articolo 1 Regolamento (CE) n. 469/2009, intitolato “Definizioni”, alla lettera b) dispone: “Ai fini del presente regolamento si intende per:

(…)

b) «prodotto»: il principio attivo o la composizione di principi attivi di un medicinale…”.

[6] CGUE 25.07.2018, Causa C‑121/17, Teva UK e a., punto 57.

[7] L’articolo 69 della Convenzione sul brevetto europeo, intitolato “Limiti della protezione”, dispone: “… I limiti della protezione conferita dal brevetto europeo o dalla domanda di brevetto europeo sono determinati dalle rivendicazioni. La descrizione e i disegni vanno tuttavia utilizzati per interpretare le rivendicazioni.

Per il periodo di tempo che precede la concessione del brevetto europeo, i limiti della protezione conferita dalla domanda di brevetto europeo sono determinati dalle rivendicazioni contenute nella domanda pubblicata. Tuttavia, il brevetto europeo nel testo concesso o modificato in una procedura di opposizione, di limitazione o per nullità determina retroattivamente tale protezione sempre che non venga estesa…”.

[8] Ossia l’“invenzione” e le sue caratteristiche tecniche, che costituisce una nozione più restrittiva rispetto ai “limiti della protezione” garantita dal brevetto in relazione a tale oggetto.