In data 6 ottobre 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-882/19, Sumal, S.L. contro Mercedes Benz Trucks España, S.L., sull’interpretazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) allineandosi alle precedenti conclusioni dell’Avvocato Generale Pitruzzella[1]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Sumal SL (“Sumal”) e la Mercedes Benz Trucks España SL (“MBTE”) in merito alla responsabilità di quest’ultima derivante dalla partecipazione della sua società madre, la Daimler AG (“Daimler”), ad un’infrazione all’articolo 101 TFUE.
Con la Decisione C(2016)4673 final[2] del 19 luglio 2016, la Commissione aveva constatato l’esistenza di un’infrazione unica e continuata dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE)[3] consistente, tra l’altro, in accordi collusivi tra i principali produttori di autocarri, tra cui la Daimler, sulla fissazione dei prezzi e sui loro aumenti nel SEE stipulati tra il 17 gennaio 1997 e il 18 gennaio 2011. La Sumal, che tra il 1997 e il 1999 aveva acquisito, mediante contratti di leasing, due autocarri del gruppo Daimler tramite la concessionaria Stern Motor S.L., aveva intentato un’azione nei confronti di MBTE dinanzi il Juzgado de lo Mercantil n. 7 de Barcelona (Tribunale di commercio n. 7 di Barcellona) chiedendo il risarcimento dei danni derivati dalla violazione delle norme di concorrenza accertata dalla Commissione, di cui la riteneva responsabile in quanto società controllata della Daimler.
Respinta la domanda in primo grado, la Sumal aveva presentato appello dinanzi all’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante, di relativamente recente introduzione, aveva deciso di sospendere il procedimento avanti a sé e di rivolgere alla Corte di Giustizia quattro quesiti pregiudiziali.
Con i primi tre quesiti, il giudice del rinvio domandava di conoscere se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la vittima di una pratica anticoncorrenziale ascritta ad una determinata impresa possa proporre un’azione di risarcimento del danno indifferentemente nei confronti di una società madre che è stata sanzionata in una decisione della Commissione per tale pratica, o anche nei confronti di una sua società controllata che non è destinataria di tale decisione qualora esse costituiscano tra di loro un’unità economica.
La Corte ha preliminarmente ricordato che, così come l’applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione da parte delle autorità pubbliche (c.d. “public enforcement”), anche le azioni di risarcimento del danno per la violazione di tali regole (c.d. “private enforcement”) costituiscono parte integrante del complessivo sistema dell’enforcement antitrust, che mira a contrastare e sanzionare i comportamenti anticoncorrenziali delle imprese dissuadendole dall’adottarli[4]; di talché, la nozione di “impresa”, ai sensi dell’articolo 101 TFUE, non può avere una portata diversa nel contesto dell’irrogazione, da parte della Commissione, di ammende ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del Regolamento n. 1/2003[5] ed in quello delle azioni risarcitorie antitrust[6]. Più particolarmente, facendo riferimento alle attività delle imprese, il diritto della concorrenza europeo stabilisce come criterio decisivo l’esistenza di un’unità di comportamento sul mercato, senza che la formale separazione tra le diverse entità, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, possa escluderla ai fini dell’applicazione delle norme in materia[7]. La nozione di “impresa”, pertanto, comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, essendo consentito riferirsi ad un’unità economica anche qualora, sotto il profilo giuridico, essa sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche[8].
Secondo il principio di responsabilità personale, laddove violi l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, tale entità economica è tenuta a risponderne. Per imputare la responsabilità ad un soggetto ricompreso in un’unità economica, occorre la prova che almeno un’entità giuridica facente parte della stessa abbia commesso la violazione, e che tale circostanza sia rilevata in una decisione della Commissione divenuta definitiva o sia accertata in modo autonomo dinanzi ad un giudice nazionale adito[9]. Come è noto, il comportamento di una società figlia può essere imputato alla società madre qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, essa non determini in modo autonomo, al momento della commissione dell’infrazione, la propria condotta sul mercato, e bensì si attenga alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono le due entità giuridiche, di modo che queste possano dirsi parte della stessa unità economica e, pertanto, costituiscano in senso sostanziale una sola impresa autrice della condotta[10].
Poiché, tuttavia, l’organizzazione dei gruppi di società che possono costituire un’unità economica può essere molto diversa, la facoltà riconosciuta alla vittima di una pratica anticoncorrenziale di far valere, nell’ambito di un’azione risarcitoria, la responsabilità di una società figlia anziché quella della società madre non può essere automaticamente esercitata nei confronti di qualsiasi società figlia della società madre destinataria di una decisione della Commissione che sanziona l’illecito, in quanto quella di “impresa” è una nozione funzionale, che presuppone che l’unità economica sia identificata dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo incriminato[11]. Di conseguenza, nell’ambito di un’azione risarcitoria fondata sull’esistenza di un’infrazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE constatata da una decisione della Commissione, un’entità giuridica che non sia ivi indicata come autrice della stessa può nondimeno essere sanzionata per il comportamento illecito di un’altra entità facente parte della stessa entità economica con l’effetto di forare unitariamente l’impresa, autrice dell’infrazione[12].
Nulla ostando, pertanto, alla proposizione dell’azione risarcitoria nei confronti delle entità che costituiscono l’unità economica responsabile di una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE constatata in capo alla società madre, la vittima può legittimamente far valere la responsabilità civile di una società figlia anziché della società madre, alla condizione che, tenuto conto, da un lato, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici tra le due entità e, dall’altro, dell’esistenza di un legame concreto tra l’attività economica di tale società figlia e l’oggetto dell’infrazione di cui la società madre è stata ritenuta responsabile, la società figlia in effetti costituisse un’unità economica con la sua società madre.
Conformemente al principio del rispetto dei diritti della difesa[13], la società figlia interessata deve disporre dinanzi al giudice nazionale adito di tutti i mezzi necessari per poter contestare la sua appartenenza alla stessa impresa della società madre. Più particolarmente, la società figlia deve poter confutare la propria responsabilità per il danno lamentato facendo valere qualsiasi motivo che avrebbe potuto dedurre se fosse stata coinvolta nel procedimento avviato dalla Commissione nei confronti della sua società madre, che ha portato all’adozione della decisione della Commissione che ha constatato la violazione dell’articolo 101 TFUE.
In caso di azione basata sulla constatazione, da parte della Commissione, di un’infrazione all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE in una decisione di cui era destinataria la società madre della società figlia convenuta, tuttavia, quest’ultima non può contestare, dinanzi al giudice nazionale, l’esistenza dell’infrazione così accertata dalla Commissione, in quanto quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni o pratiche rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE che formano già oggetto di una decisione della Commissione, esse non possono assumere decisioni in contrasto quest’ultima[14]. Viceversa, nel caso in cui il comportamento illecito non sia stato constatato dalla Commissione in una decisione resa in applicazione dell’articolo 101 TFUE, la società figlia di una società madre cui viene addebitata un’infrazione ha il diritto di contestare non solo la sua appartenenza alla stessa impresa della società madre, e bensì anche l’esistenza dell’infrazione addebitata.
Con il suo quarto quesito, il giudice del rinvio aveva chiesto se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che prevede la possibilità di imputare la responsabilità di un comportamento di una società ad un’altra società soltanto nel caso in cui la seconda controlli la prima.
Poiché, tuttavia, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE la vittima di una pratica anticoncorrenziale di un’impresa può proporre un’azione di risarcimento del danno nei confronti di una società figlia per il fatto che la società madre abbia partecipato a tale pratica, qualora esse costituiscano un’unità economica, secondo la Corte tale disposizione osta ad una normativa nazionale che preveda, in una situazione del genere, la possibilità di imputare la responsabilità del comportamento di una società a un’altra società soltanto nel caso in cui la seconda società controlli la prima.
Alla luce di quanto rammentato, la Corte di Giustizia ha statuito che:
“L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la vittima di una pratica anticoncorrenziale di un’impresa può proporre un’azione di risarcimento danni indifferentemente nei confronti di una società madre che è stata sanzionata dalla Commissione europea per tale pratica in una decisione o nei confronti di una società figlia di tale società che non è oggetto di detta decisione qualora esse costituiscano insieme un’unità economica. La società figlia interessata deve poter far valere efficacemente i propri diritti di difesa per dimostrare di non appartenere a tale impresa e, qualora non sia stata adottata alcuna decisione da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 101 TFUE, ha anche il diritto di contestare l’esistenza stessa del presunto comportamento illecito.
L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede la possibilità di imputare la responsabilità del comportamento di una società a un’altra società soltanto nel caso in cui la seconda società controlli la prima società”.
[1] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[2] Dec. Comm. C(2016)4673 final del 19.07.2016 relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, Caso AT.39824 — Autocarri.
[3] L’articolo 53 dell’Accordo SEE dispone: “… Sono incompatibili con il funzionamento del presente accordo e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra le Parti contraenti e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del territorio cui si applica il presente accordo, ed in particolare quelli consistenti nel:
- fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
- limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
- ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
- applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
- subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
Gli accordi o decisioni vietati in virtù del presente articolo sono nulli di pieno diritto.
Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
– a qualsiasi accordo o categoria di accordi tra imprese,
– a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
– a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di
- imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
- dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi…”.
[4] CGUE 14.03.2019, Causa C‑724/17, Skanska Industrial Solutions e a., punto 45.
[5] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 23 del Regolamento, intitolato “Ammende”, al paragrafo 2 dispone: “… La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:
- commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato; oppure
- contravvengono a una decisione che disponga misure cautelati ai sensi dell’articolo 8; oppure
- non rispettano un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell’articolo 9.
Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10 % del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.
Qualora l’infrazione di un’associazione sia relativa alle attività dei membri della stessa, l’ammenda non deve superare il 10 % dell’importo del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato coinvolto dall’infrazione dell’associazione…”.
[6] CGUE 14.03.2019, Causa C‑724/17, Skanska Industrial Solutions e a., punto 47.
[7] CGUE 14.12.2006, Causa C‑217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, punto 41; CGUE 14.07.1972, Causa 48/69, Imperial Chemical Industries/Commissione, punto 140.
[8] CGUE 27.04.2017, Causa C‑516/15 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punti 47-48; CGUE 10.09.2009, Causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punti 54-55.
[9] CGUE 27.04.2017, Causa C‑516/15 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punti 49 e 60.
[10] CGUE 27.04.2017, Causa C‑516/15 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punti 52-53; CGUE 10.09.2009, Causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punti 58-59.
[11] CGUE 26.09.2013, Causa C‑179/12 P, The Dow Chemical Company/Commissione, punto 57; CGUE 12.07.1984, Causa 170/83, Hydrotherm Gerätebau, punto 11.
[12] CGUE 26.01.2017, Causa C‑625/13 P, Villeroy & Boch/Commissione, punto 145; CGUE 10.04.2014, Cause riunite da C‑231/11 P a C‑233/11 P, Commissione/Siemens Österreich e a. e Siemens Transmission & Distribution e a./Commissione, punto 45.
[13] CGUE 29.04.2021, Causa C‑504/19, Banco de Portugal e a., punto 57; CGUE 05.03.2015, Cause riunite C‑93/13 P e C‑123/13 P, Commissione e a./Versalis e a., punto 94.
[14] L’articolo 16 del Regolamento n. 1/2003, intitolato “Applicazione uniforme del diritto comunitario in materia di concorrenza”, al paragrafo 1 dispone: “… Quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all’articolo 234 del trattato…”.