In data 26 settembre 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-255/22 P, Orlen contro Commissione europea, sul ricorso con cui la Orlen S.A. (“Orlen”) chiedeva l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 2 febbraio 2022[1] che aveva respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della Decisione C(2018) 3106 final della Commissione[2], che aveva reso vincolanti gli impegni presentati dalla Gazprom PJSC e dalla Gazprom export LLC(congiuntamente “Gazprom”) chiudendo il procedimento amministrativo volto ad esaminare la conformità di pratiche riguardanti il settore del gas in alcuni Stati dell’Europa centrale e orientale (c.d. “PECO”)[3].
Tra il 2011 e il 2015, la Commissione aveva adottato diversi provvedimenti al fine di indagare sul funzionamento di tali mercati, inviando richieste di informazioni a diversi operatori, in particolare alla Gazprom e a taluni suoi clienti, tra cui la Orlen, ed effettuando accertamenti. Dopo aver formalmente avviato un procedimento volto ad adottare una decisione ai sensi del Regolamento n. 1/2003[4], in data 22 aprile 2015 la Commissione aveva inviato alla Gazprom una Comunicazione degli addebiti nella quale concludeva, in via preliminare, che quest’ultima deteneva una posizione dominante sui mercati nazionali della fornitura di gas all’ingrosso a monte nei PECO coinvolti e che, in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), essa ne abusava mettendo in atto una strategia anticoncorrenziale al fine di frammentare e isolare detti mercati e impedirvi in tal modo la libera circolazione del gas. Pur contestando le preoccupazioni in materia di concorrenza espresse dalla Commissione, in data 14 febbraio 2017 la Gazprom aveva presentato un progetto formale di impegni, cui aveva successivamente fatto seguito un progetto modificato. Di conseguenza, in data 24 maggio 2018 la Commissione aveva adottato la Decisione C(2018) 3106 final, con la quale aveva reso obbligatori tali impegni e chiuso il procedimento amministrativo concludendo che non sussistevano più motivi di intervento riguardo alle pratiche potenzialmente abusive inizialmente indicate nella Comunicazione.
Parallelamente al procedimento amministrativo sfociato nella Decisione C(2018) 3106 final, in data 9 marzo 2017 la Orlen aveva presentato una denuncia relativa a presunte pratiche abusive da parte della Gazprom, che corrispondevano in gran parte alle preoccupazioni già espresse dalla Commissione nella sua Comunicazione degli addebiti. Poiché la Decisione C(2018) 3106 finalaveva già fornito una risposta alle preoccupazioni della Orlen, in data 17 aprile 2019 la Commissione aveva adottato la Decisione C(2019) 3003 final[5], con la quale ne aveva rigettato la denuncia. Di conseguenza, la Orlen aveva proposto ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione, che tuttavia lo aveva parimenti respinto. La Orlen, pertanto, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia deducendo quattro motivi di impugnazione.
Con la prima parte del primo motivo, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva violato l’articolo 9[6] del Regolamento n. 1/2003 ritenendo che la Commissione avesse valutato correttamente l’adeguatezza degli impegni proposti dalla Gazprom anche se gli stessi non rispondevano alle preoccupazioni espresse nella Comunicazione degli addebiti e non erano prospettici, ossia, per loro natura, in grado di prevenire future infrazioni simili.
Secondo la Corte, tuttavia, l’argomentazione della Orlen non può essere accolta, in quanto quest’ultima non è stata in grado di dimostrare né l’esistenza di un errore manifesto nella valutazione, da parte della Commissione, dell’adeguatezza degli impegni proposti dalla Gazprom al fine di porre rimedio alle preoccupazioni espresse nella Comunicazione degli addebiti né, tantomeno, l’assenza di censura, da parte del Tribunale, di un tale errore di valutazione, limitandosi, al contrario, a semplici affermazioni. Di conseguenza, la prima parte del primo motivo deve essere respinta.
Con la seconda parte del primo motivo, invece, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva manifestamente snaturato i fatti in numerose occasioni, ciò che l’avrebbe condotto ad un’errata applicazione dell’articolo 9 del Regolamento n. 1/2003 nonché a ritenere erroneamente che la Commissione non fosse incorsa in un errore manifesto di valutazione quanto all’adeguatezza degli impegni proposti dalla Gazprom.
Secondo la Corte, tuttavia, benché, nel caso concreto, non è escluso che, dopo l’adozione della Decisione C(2018) 3106 final, i rimedi degli obiettivi approvati dalla Commissione e diretti a ripristinare sul mercato polacco, nel quale opera la Orlen, condizioni di approvvigionamento e di distribuzione di gas pienamente concorrenziali non abbiano prodotto a priori i loro effetti o corrisposto alle aspettative soggettive di un particolare operatore economico, da ciò non si può dedurre che tale decisione sia viziata da errori manifesti di valutazione che il Tribunale avrebbe omesso di sanzionare. Quest’ultimo, infatti, aveva correttamente valutato le importazioni di gas dalla Germania verso la Polonia nell’ambito della sua valutazione dell’obbligo di modificare i punti di consegna, di talché non è contestato che, a partire dall’adozione della Comunicazione, la Polonia abbia beneficiato del miglioramento dell’infrastruttura di trasporto transfrontaliero del gas in misura significativa, in quanto le importazioni erano diventate possibili senza cambiare il punto di consegna. Di conseguenza, il Tribunale non aveva commesso alcun errore di diritto nel controllo della valutazione, da parte della Commissione, della questione delle importazioni di gas verso la Polonia in relazione all’adeguatezza dell’assenza di impegno, da parte della Gazprom, in merito all’istituzione di un maggior numero di punti di consegna modificabili e riguardanti la Polonia, e pertanto anche la seconda parte del primo motivo deve essere respinta.
Con la terza parte del primo motivo ed il secondo motivo, che la Corte ha esaminato congiuntamente, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel controllo della valutazione, da parte della Commissione, dell’adeguatezza degli impegni omettendo di prendere in considerazione gli obiettivi perseguiti dall’articolo 194[7] TFUE, ivi compreso, in particolare, il principio di solidarietà energetica.
La Corte ha preliminarmente ricordato che, al pari dei principi generali del diritto europeo, anche il principio di solidarietà costituisce un criterio di valutazione della legittimità delle misure adottate dalle istituzioni dell’Unione[8], di talché esso deve essere preso in considerazione da queste ultime nonché dagli Stati Membri nell’ambito della creazione o del funzionamento del mercato interno e, segnatamente, di quello del gas naturale, provvedendo a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell’Unione, ciò che implica non soltanto far fronte a situazioni di emergenza, allorché queste si verificano, e bensì anche adottare misure volte a prevenirle.
Tutto ciò premesso, il Tribunale aveva sottolineato che gli impegni assunti all’esito di un procedimento ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento n. 1/2003 non possono pervenire ad un risultato contrario a norme specifiche dei trattati, ritenendo così, da un lato, che la Commissione dovesse ottemperare all’obbligo di agire conformemente alle disposizioni del TFUE e ai principi generali del diritto dell’Unione e, dall’altro, che le spettasse verificare se gli impegni proposti nell’ambito di tale procedimento non violassero, in quanto tali, l’articolo 194, paragrafo 1, TFUE. Più particolarmente, tali obblighi implicano che la Commissione non potrebbe accettare impegni che rischino di portare ad una violazione dell’articolo 194 TFUE e porre così in pericolo gli obiettivi perseguiti dal principio di solidarietà energetica o la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione, malgrado il fatto che gli stessi possano rispondere alle preoccupazioni in materia di concorrenza sul mercato interessato. Ciò, tuttavia, non significa che la Commissione, agendo in qualità di regolatore della concorrenza nell’ambito del procedimento previsto dal Regolamento n. 1/2003, disponga della competenza ad imporre obblighi indipendenti ed ulteriori rispetto a quelli diretti a porre rimedio ai problemi di concorrenza individuati nel corso della sua indagine, richiedendo su tale base impegni maggiormente vincolanti. Di conseguenza, il Tribunale aveva dunque rifiutato, senza commettere errori di diritto, di assimilare l’applicazione del principio di solidarietà energetica da parte della Commissione all’imposizione di obblighi positivi imputabili a quest’ultima, che esulano dall’ambito degli addebiti sollevati nei confronti della Gazprom o all’imposizione di obblighi maggiormente vincolanti, e pertanto sia il primo motivo nel suo insieme che il secondo motivo devono essere respinti.
Con la prima parte del terzo motivo, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva omesso di procedere ad un esame globale, da un lato, dell’insieme delle circostanze del caso concreto, ed in particolare dei diversi impegni e addebiti sollevati nei confronti delle stesse, indipendentemente dall’analisi individuale di ciascuno di essi e, dall’altro, dell’effetto cumulativo di tutte le irregolarità che lo stesso aveva recensito nell’ambito del suo controllo giurisdizionale relativo all’adeguatezza degli impegni.
Secondo la Corte, tuttavia, né dalla Decisione C(2018) 3106 final né dalla sentenza impugnata risulta che la Commissione o il Tribunale abbiano rinunciato a procedere ad un’analisi globale degli impegni sottoscritti dalla Gazprom. L’argomentazione per cui il Tribunale avrebbe dovuto constatare che un errore manifesto di valutazione della Commissione derivava dal cumulo di semplici errori che quest’ultima avrebbe commesso, inoltre, potrebbe essere corretta soltanto qualora esso avesse constatato l’inadeguatezza di almeno uno degli impegni accettati dalla Commissione idoneo a rimettere in discussione anche altri impegni, e se fosse stato dimostrato che questi presentavano un nesso tra loro, ciò che non è avvenuto nel caso concreto. Di conseguenza, la prima parte del terzo motivo deve essere respinta.
Con la seconda parte del terzo motivo, invece, la Orlen sosteneva che, per quanto riguarda gli impegni volti ad eliminare le preoccupazioni in materia di concorrenza, la Commissione avrebbe dovuto affrontare con particolare prudenza le ipotesi che prevedono un’evoluzione negativa della situazione.
Secondo la Corte, tuttavia, tanto la Commissione quanto il Tribunale avevano chiaramente preso in considerazione l’evoluzione potenziale futura del mercato, di talché quest’ultimo aveva ritenuto sufficiente che gli impegni finali contenessero una clausola di revisione dei prezzi e non una modifica immediata delle formule tariffarie prescritte dalle clausole esistenti. Di conseguenza, anche la seconda parte del terzo motivo deve essere respinta.
Con la prima parte del quarto motivo, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva fondato la facoltà prevista all’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento n. 1/2003 di riaprire il procedimento sulla violazione di un impegno il cui contenuto è stato da esso interpretato sulla base della motivazione della Decisione C(2018) 3106 final e non del suo dispositivo.
Secondo la Corte, tuttavia, il solo fatto di ricordare che gli impegni possono dar luogo, in caso di mancato rispetto da parte dell’impresa interessata, ad una riapertura del procedimento in applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento n. 1/2003 esprime la volontà non già di integrarli ex post, e bensì di vigilare sul loro rispetto. Di conseguenza, la prima parte del quarto motivo deve essere respinta.
Con la seconda parte del quarto motivo, invece, la Orlen sosteneva che il Tribunale aveva fondato la facoltà prevista all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del Regolamento n. 1/2003 di riaprire il procedimento evidenziando circostanze sulle quali la Decisione C(2018) 3106 final non era fondata e che non presentavano alcun nesso con l’oggetto di quest’ultima.
Secondo la Corte, tuttavia, il Tribunale si era limitato a ricordare che la Commissione poteva, se del caso, avvalersi della facoltà, prevista da tale disposizione, di riaprire il procedimento qualora uno dei fatti sui quali si basava la decisione in questione avesse subito una modifica importante, in particolare in caso di evoluzione dei mercati del gas. Il Tribunale, inoltre, non aveva indicato che tutti gli eventi futuri ai quali si riferivano i timori della Orlen, in particolare per quanto riguarda il gasdotto Nord Stream 2, costituivano un cambiamento tale da modificare la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fondava tale decisione. Anche la seconda parte del quarto motivo, pertanto, deve essere respinta, e con essa l’impugnazione nel suo insieme.
[1] Tribunale 02.02.2022, Causa T-616/18, Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo S.A. contro Commissione europea.
[2] Dec. Comm. C(2018) 3106 final del 24.05.2018 relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE, Caso AT.39816 – Forniture di gas a monte in Europa centrale e orientale.
[3] Ossia Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia e Slovacchia
[4] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003.
[5] Dec. Comm. C(2019) 3003 final del 17.04.2019 relativa al rigetto della denuncia, Caso AT.40497 – Prezzi del gas in Polonia.
[6] L’articolo 9 del Regolamento n. 1/2003, intitolato “Impegni”, dispone: “… Qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato.
La Commissione, su domanda o d’ufficio, può riaprire il procedimento:
a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione;
b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; oppure
c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti…”.
[7] L’articolo 194 TFUE dispone: “… Nel quadro dell’instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente, la politica dell’Unione nel settore dell’energia è intesa, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, a:
a) garantire il funzionamento del mercato dell’energia,
b) garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione,
c) promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili,
d) promuovere l’interconnessione delle reti energetiche.
Fatte salve le altre disposizioni dei trattati, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 1. Tali misure sono adottate previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.
Esse non incidono sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico, fatto salvo l’articolo 192, paragrafo 2, lettera c).
In deroga al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le misure ivi contemplate se sono principalmente di natura fiscale…”.
[8] CGUE 15.07.2021, Causa C‑848/19 P, Germania/Polonia, punto 45.