LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA SENTENZA CHE ANNULLA PARZIALMENTE LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE E FISSA UN’AMMENDA DI IMPORTO IDENTICO A QUELLO DELL’AMMENDA INFLITTA INIZIALMENTE

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Pubblicazioni, Società

In data 4 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C‑70/23 P, Westfälische Drahtindustrie e a. contro Commissione, sull’impugnazione con cui la Westfälische Drahtindustrie GmbH (“WDI”), la Westfälische Drahtindustrie Verwaltungsgesellschaft mbH & Co. KG e la Pampus Industriebeteiligungen GmbH & Co. KG chiedevano l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione Europea[1] che aveva respinto il loro ricorso diretto ad ottenere i) l’annullamento della lettera della Commissione del 2 marzo 2020 che aveva intimato loro di pagarle la somma di circa 12 milioni di euro corrispondente al saldo ancora dovuto dell’ammenda inflitta loro il 30 settembre 2010, ii) la dichiarazione che l’ammenda era stata interamente pagata il 17 ottobre 2019 con il versamento della somma di circa 18 milioni di euro, e iii) la condanna della Commissione a versare alla WDI la somma di circa 1,6 milioni di euro, maggiorata degli interessi a partire da quest’ultima data, a titolo di arricchimento senza causa di tale istituzione.

Questi i fatti.

Con la Decisione C(2010) 4387 final del 30 giugno 2010[2] la Commissione aveva sanzionato diverse imprese, tra cui la WDI e le altre ricorrenti, per aver preso parte ad un’intesa sul mercato dell’acciaio per precompresso, con un’ammenda il cui pagamento doveva avvenire entro tre mesi dalla data della sua notifica. Di conseguenza, dopo aver proposto un ricorso con cui chiedevano l’annullamento di tale decisione nonché la riduzione dell’ammenda inflitta, le ricorrenti avevano presentato una domanda di provvedimenti provvisori chiedendo la sospensione dell’esecuzione della Decisione C(2010) 4387 final fino alla pronuncia della sentenza su tale ricorso. Con l’ordinanza del 13 aprile 2011[3], pertanto, il presidente del Tribunale aveva accolto in parte la domanda di provvedimenti provvisori, disponendo la sospensione dell’obbligo imposto alle ricorrenti di costituire una garanzia bancaria a favore della Commissione per evitare la riscossione immediata dell’ammenda, a condizione che esse versassero a titolo provvisorio, da un lato, la somma di 2 milioni di euro e, dall’altro, rate mensili di 300.000 euro fino alla pronuncia della sentenza sul ricorso di annullamento.

Successivamente, in data 15 luglio 2015 il Tribunale aveva annullato[4] la Decisione C(2010) 4387 final nella parte in cui infliggeva un’ammenda alle ricorrenti, condannando queste ultime al pagamento di un’ammenda di importo identico a quello fissato nella decisione stessa. Di conseguenza, la WDI e le altre ricorrenti avevano impugnato la sentenza del Tribunale dinnanzi alla Corte di Giustizia, che tuttavia aveva respinto il loro ricorso[5]. Le ricorrenti, pertanto, avevano chiesto al Tribunale di interpretare la sentenza del 2015 nel senso che gli interessi applicati all’importo dell’ammenda ivi inflitta fossero dovuti a decorrere dalla pronuncia di quest’ultima. In data 17 maggio 2018, tuttavia, il Tribunale aveva dichiarato tale domanda irricevibile[6].

In esecuzione dell’ordinanza del 2011, la WDI aveva pagato in via provvisoria alla Commissione una somma totale di circa 16 milioni di euro nel periodo compreso tra il 29 giugno 2011 e il 16 giugno 2015. In data 16 ottobre 2019, inoltre, la WDI aveva informato la Commissione, da un lato, di aver già pagato 31 milioni di euro e, dall’altro, che intendeva pagare sin da subito il saldo dell’ammenda dovuta, che stimava in circa 18 milioni di euro e che avrebbe versato il giorno successivo. Con la lettera del 2 marzo 2020, tuttavia,la Commissione aveva manifestato il proprio disaccordo sulla posizione espressa dalla WDI, intimandole di versarle la somma di 12 milioni di euro corrispondente al saldo ancora dovuto. Di conseguenza, le ricorrenti si erano nuovamente rivolte al Tribunale, che ne aveva respinto la domanda di risarcimento in quanto non sussisteva una violazione sufficientemente qualificata degli obblighi della Commissione ai sensi dell’articolo 266 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[7]. Le ricorrenti, pertanto, si erano rivolte alla Corte deducendo tre motivi di impugnazione.

Con il primo e il secondo motivo, le ricorrenti sostenevano che l’esercizio, da parte del Tribunale, della sua competenza estesa al merito nell’ambito della sentenza del 2015 lo aveva indotto a fissare un’ammenda qualificabile come nuova e giuridicamente distinta rispetto a quella che la Commissione aveva loro inflitto con la Decisione C(2010) 4387 final.

La Corte ha preliminarmente ricordato che il sistema di controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti ai sensi degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE consiste in un controllo di legittimità degli atti delle istituzioni stabilito all’articolo 263[8] TFUE, che può essere integrato, su richiesta della parte ricorrente, dall’esercizio da parte del Tribunale di una competenza estesa al merito per quanto riguarda le sanzioni inflitte in tale settore dalla Commissione stessa[9]. Più particolarmente, la portata del controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE si estende a tutti gli elementi delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti in applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE di cui il Tribunale garantisce un controllo approfondito, in diritto e in fatto, alla luce dei motivi dedotti dalle parti ricorrenti e in considerazione di tutti gli elementi sottoposti da questi ultimi. Nell’ambito di tale controllo, tuttavia, i giudici dell’Unione non possono, in ogni caso, sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto in questione[10]. Nell’esercizio della propria competenza estesa al merito prevista dal Regolamento n. 1/2003[11], per contro, il giudice dell’Unione è autorizzato, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la propria valutazione, per la determinazione dell’importo di quest’ultima, a quella della Commissione, autrice dell’atto in cui detto importo è stato inizialmente fissato, potendo pertanto riformare l’atto impugnato, anche in assenza di annullamento, al fine di estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda irrogata[12]. Di conseguenza, la competenza estesa al merito di cui dispone il Tribunale sulla base dell’articolo 31 del Regolamento n. 1/2003, che gli consente di estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda irrogata dalla Commissione, si riferisce e si limita all’importo di quest’ultima[13].

L’articolo 31 del Regolamento n. 1/2003, inoltre, conferisce al Tribunale una competenza anche di merito che costituisce parte integrante del suo potere di decidere sui ricorsi proposti contro le decisioni con le quali la Commissione ha inflitto una simile ammenda, di talché lo scopo di quest’ultimo articolo non è quello di autorizzare il Tribunale ad imporre una nuova ammenda giuridicamente distinta da quella fissata dalla Commissione, e bensì di integrare il suo controllo giurisdizionale consentendogli di modificare l’importo di quella inizialmente inflitta. Quando sostituisce la propria valutazione a quella della Commissione, pertanto, il giudice dell’Unione sostituisce, nella decisione di quest’ultima, l’importo inizialmente ivi fissato con quello che risulta dalla sua valutazione, presumendosi perciò che la decisione della Commissione, in virtù dell’effetto sostitutivo della sentenza pronunciata dal giudice dell’Unione, sia sempre stata quella risultante dalla valutazione di quest’ultimo.

Tutto ciò premesso, né il modo in cui il Tribunale ha fissato l’importo dell’ammenda né la natura dei fattori da esso presi in considerazione allorché ha sostituito la propria valutazione a quella della Commissione nella sentenza del 2015 possono condurre alla conclusione che tale ammenda, così riformata, ne costituisca una nuova giuridicamente distinta da quella inflitta dalla Commissione nella Decisione C(2010) 4387 final, e pertanto i primi due motivi di impugnazione devono essere respinti.

Con il terzo motivo, invece, le ricorrenti sostenevano che il Tribunale aveva violato il loro diritto ad un equo processo.

Secondo la Corte, tuttavia, gli argomenti delle ricorrenti si basavano tutti sulla errata premessa secondo cui l’ammenda inflitta dalla Commissione sarebbe stata annullata e sostituita da un’ammenda giurisdizionale, di talché non era affatto necessario che il Tribunale motivasse più dettagliatamente il rigetto dei motivi fatti valere dinanzi ad esso. L’obbligo di motivare le sentenze che incombe al Tribunale, inoltre, non gli impone di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti nella controversia. La motivazione, infatti, può essere implicita, a condizione di consentire agli interessati di conoscere i motivi sui quali si fonda la sentenza di cui è chiesto l’annullamento nonché alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo nell’ambito di un’impugnazione[14]. Di conseguenza, anche il terzo motivo deve essere respinto.

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[1] Tribunale 23.11.2022, Causa T-275/20, Westfälische Drahtindustrie e a. contro Commissione.

[2] Dec. Comm. C(2010) 4387 final, del 30.06.2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, Caso COMP/38344 – Acciaio per precompresso.

[3] Tribunale 13.04.2011, Causa T-393/10 R, Westfälische Drahtindustrie GmbH e altri contro Commissione europea.

[4] Tribunale 15.07.2015, Causa T-393/10, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea.

[5] CGUE 07.07.2016, Causa C-523/15 P, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea.

[6] Tribunale 17.05.2018, Causa T-393/10 INTP, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea.

[7] L’articolo 266 TFUE dispone: “… L’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato o la cui astensione sia stata dichiarata contraria ai trattati sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea comporta.

Tale obbligo non pregiudica quello eventualmente risultante dall’applicazione dell’articolo 340, secondo comma…”.

[8] L’articolo 263 TFUE al paragrafo 1 dispone: “… La Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi…”.

[9] CGUE 25.07.2018, Causa C‑123/16 P, Orange Polska/Commissione, punto 104.

[10] Ibidem, punto 105.

[11] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 31 del Regolamento, intitolato “Controllo della Corte di giustizia”, dispone: “… La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata…”.

[12] CGUE 25.07.2018, Causa C‑123/16 P, Orange Polska/Commissione, punto 105.

[13] CGUE 16.06.2022, Causa C‑698/19 P, Sony Optiarc e Sony Optiarc America/Commissione, punto 92.

[14] CGUE 07.03.2024, Causa C‑725/22 P, Nevinnomysskiy Azot e NAK «Azot»/Commissione, punto 131.