LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA DISTINZIONE TRA ACCORDO VERTICALE E ACCORDO ORIZZONTALE

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Prospettive, Pubblicazioni

In data 26 ottobre 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-331/21, Energias de Portugal e a., sull’interpretazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e dell’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e c), del Regolamento (UE) n. 330/2010[1]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia fra, da un lato, la EDP – Energias de Portugal SA (“EDP Energias”), la EDP Comercial – Comercialização de Energia SA (“EDP Comercial”), la MC retail SGPS SA (“MC retail”) nonché la Modelo Continente Hipermercados SA (“Modelo Continente”) e, dall’altro, la Autoridade da Concorrência (“AdC”) relativamente ad ammende inflitte a causa della conclusione di un accordo anticoncorrenziale.

Questi i fatti.

In data 5 gennaio 2012, la EDP Comercial e la Modelo Continente avevano concluso un accordo di partenariato che definiva i termini e le condizioni del c.d. “Piano EDP Continente” e mirava ad attrarre clienti, stimolare le vendite e offrire sconti ai consumatori. Più particolarmente, tale accordo prevedeva di potenziare lo sviluppo delle attività di fornitura di energia elettrica da parte della EDP Comercial e di vendita al dettaglio di prodotti alimentari da parte della Modelo Continente in diversi ipermercati e supermercati nonché in esercizi commerciali gestiti da altre società partecipate dal c.d. “Gruppo Sonae”[2]. Il Piano EDP Continente, inoltre, prevedeva sconti sui prezzi dell’energia elettrica riservati ai clienti titolari della c.d. “carta Continente”, una carta sconto rilasciata dalla Modelo Continente nel quadro di un programma di fidelizzazione. Nello specifico, oltre alla titolarità della carta in questione, i clienti che desideravano aderire al Piano EDP Continente dovevano sottoscrivere con la EDP Comercial un contratto di fornitura di energia elettrica a bassa tensione in regime di mercato liberalizzato nel Portogallo, beneficiando quindi di uno sconto del 10% sul loro consumo di energia elettrica[3].

In data 4 maggio 2017, la AdC aveva sanzionato la EDP Energias, la EDP Comercial, la MC retail e la Modelo Continente per aver violato l’articolo 9 della Lei n. 19/2012 – Aprova o novo regime jurídico da concorrência, revogando as Leis nos 18/2003, de 11 de junho, e 39/2006, de 25 de agosto, e procede à segunda alteração à lei n.°2/99, de 13 de janeiro (legge n. 19/2012 che approva il nuovo regime giuridico della concorrenza, che revoca le leggi n. 18/2003, dell’11 giugno, e n. 39/2006, del 25 agosto e che procede alla seconda modifica alla legge n. 2/99, del 13 gennaio, “NRGC”)[4], che riproduce l’articolo 101 TFUE. Più particolarmente, l’infrazione consisteva nella conclusione di un accordo di partenariato fra tali imprese avente ad oggetto una ripartizione di mercati, sotto forma di clausola di non concorrenza, sui mercati della fornitura di energia elettrica, di gas naturale e della distribuzione al dettaglio di derrate alimentari, tutti e tre situati nel Portogallo continentale, ed attuato in un momento cruciale del processo di liberalizzazione del mercato nazionale della fornitura di energia elettrica, che ne avrebbe rafforzato il carattere anticoncorrenziale.

Poiché la decisione dell’AdC era stata confermata dal Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza portoghese), le ricorrenti avevano proposto appello dinnanzi al Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona: il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte di Giustizia undici questioni pregiudiziali.

Con le questioni dalla terza alla settima, il giudice del rinvio chiedeva se e a quali condizioni l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che un’impresa che gestisce un rete di dettaglianti di prodotti di largo consumo può essere considerata, sul mercato dell’energia elettrica, un concorrente potenziale di un fornitore di energia elettrica con il quale essa ha concluso un accordo di partenariato contenente una clausola di non concorrenza, quand’anche tale impresa non eserciti alcuna attività sul mercato del prodotto in questione.

La Corte ha preliminarmente ricordato che, al fine di valutare se un’impresa assente da un mercato si trovi in un rapporto di concorrenza potenziale con una o più altre imprese ivi già presenti, occorre determinare se esistano possibilità reali e concrete che tale prima impresa integri detto mercato e faccia concorrenza alla seconda o alle seconde imprese[5]. Quando si tratta di un accordo che ha come conseguenza di mantenere temporaneamente fuori dal mercato un’impresa, pertanto, occorre determinare se sarebbero esistite, in sua assenza, possibilità reali e concrete che l’impresa accedesse a tale mercato ed entrasse in concorrenza con quelle che vi sono stabilite[6]. A tale riguardo, la dimostrazione di una situazione di concorrenza potenziale deve essere suffragata da una serie di elementi fattuali concordanti che tengano conto della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico che ne disciplina il funzionamento, volti a dimostrare che l’impresa interessata avrebbe avuto, in assenza dell’accordo, reali e concrete possibilità di accedere al mercato in questione[7].

Per quanto riguarda la percezione che l’impresa già presente sul mercato ha di quella con la quale ha concluso un accordo che prevede di mantenere quest’ultima al di fuori di tale mercato, la stipulazione di un tale accordo rappresenta un forte indizio dell’esistenza di una situazione di concorrenza potenziale. Se le parti di un patto di non concorrenza non si percepissero come concorrenti potenziali, infatti, non avrebbero alcun motivo di concludere un patto del genere. Di conseguenza, un indizio del genere può corroborare utilmente elementi oggettivi diretti a dimostrare le possibilità reali e concrete per l’impresa che non è presente sul mercato di entrare in quest’ultimo. Del pari, anche le attività delle entità del gruppo nel quale tale impresa è integrata, nonché le attività di tale impresa nel mercato interessato e nei mercati a monte e connessi prima della firma dell’accordo in questione, possono essere presi in considerazione ai fini dell’individuazione di una situazione di concorrenza potenziale. Sebbene, infatti, l’esistenza di possibilità reali e concrete di entrare nel mercato interessato debba essere valutata alla data di conclusione dell’accordo in questione, di talché sono esclusi gli indizi relativi a circostanze successive, lo stesso non vale per le attività economiche precedenti sul mercato interessato o sui mercati a monte o connessi delle entità del gruppo dell’impresa che non è presente sul mercato in parola o dell’impresa stessa, in quanto attività del genere possono risultare rilevanti per determinare le eventuali barriere all’ingresso o la struttura del mercato o, ancora, costituire indizi di una potenziale strategia economica redditizia di ingresso nel mercato interessato. La pertinenza delle misure preparatorie dell’impresa interessata al fine di entrare nel mercato interessato, tuttavia, non possono costituire un requisito autonomo al fine di dimostrare l’esistenza di una situazione di concorrenza potenziale. Misure del genere, infatti, sono rilevanti solo nei limiti in cui possono essere utili per dimostrare che l’impresa interessata aveva possibilità reali e concrete di entrare nel mercato in questione.

Con l’undicesima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a)[8], del Regolamento n. 330/2010, debba essere interpretato nel senso che rientra nelle categorie degli “accordi verticali” e dei “contratti di agenzia” un accordo di partenariato commerciale concluso tra due imprese attive su mercati del prodotto diversi, non situati a monte o a valle l’uno dell’altro, qualora esso consista nel favorire lo sviluppo delle vendite dei prodotti di queste due imprese mediante un meccanismo di promozione e di sconti incrociati, laddove ciascuna delle imprese in parola si fa carico di una parte dei costi connessi all’attuazione di tale partenariato.

La Corte ha preliminarmente ricordato che gli Orientamenti sulle restrizioni verticali[9] collocano i contratti di agenzia fra gli accordi verticali che generalmente non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, definendoli come contratti con cui ad un agente è conferito il potere di negoziare e/o di concludere contratti per conto di un’altra persona, il preponente, ai fini, segnatamente, della vendita di beni o servizi forniti da quest’ultimo. Nello specifico, il fattore determinante per definire un accordo di agenzia ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE è il rischio finanziario o commerciale assunto dall’agente in relazione alle attività per le quali è stato nominato come tale dal preponente, di talché un accordo sarà considerato un contratto di agenzia se l’agente non sopporta alcun rischio, o ne sopporta solo una parte trascurabile nell’ambito dei contratti che negozia o che conclude per conto del preponente.

Nel caso concreto, sebbene secondo le ricorrenti l’accordo di partenariato in questione vada analizzato come risultante di due contratti di agenzia incrociati, essendo ciascuno dei contraenti incaricato della promozione delle vendite dell’altro contraente, secondo la Corte non può essere qualificato come contratto di agenzia un accordo che suddivide tra le parti contraenti i rischi connessi alle operazioni da esso previste. Una tale qualificazione, del pari, non può essere accolta laddove i contraenti non operano, ai fini dell’accordo o della pratica concordata considerati, nell’ambito di una stessa catena di produzione o di distribuzione.

Con la decima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che una clausola di non concorrenza contenuta in un accordo di partenariato commerciale concluso tra due imprese operanti su mercati di prodotti diversi e diretto a favorire lo sviluppo delle vendite dei prodotti di queste due imprese mediante un meccanismo di promozione e di sconti incrociati possa essere considerata una restrizione accessoria a tale accordo.

La Corte ha preliminarmente ricordato che se un’operazione o una determinata attività non ricade nell’ambito di applicazione del divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, per la sua neutralità o per il suo effetto positivo sul piano della concorrenza, neppure una restrizione dell’autonomia commerciale di uno o più partecipanti a tale operazione o a tale attività ricade in tale divieto qualora sia obiettivamente necessaria per l’attuazione di tale operazione o attività e proporzionata agli obiettivi dell’una o dell’altra[10]. Qualora non sia possibile dissociare una tale restrizione dall’operazione o dall’attività principale senza comprometterne l’esistenza e gli obiettivi, infatti, occorre esaminare la compatibilità con l’articolo 101 TFUE della restrizione in questione congiuntamente con quella dell’operazione o dell’attività principale cui essa è accessoria sebbene, considerata isolatamente, tale restrizione possa rientrare, prima facie, nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE[11]. A tale riguardo, nell’accertare se una restrizione anticoncorrenziale possa sottrarsi a tale divieto sulla base del rilievo che è accessoria ad un’operazione principale priva di tale carattere anticoncorrenziale, occorre appurare se la realizzazione di tale operazione risulterebbe impossibile in mancanza della restrizione in questione[12].

Tutto ciò premesso, spetterà al giudice del rinvio valutare se la clausola di non concorrenza contenuta nell’accordo di partenariato fosse oggettivamente necessaria per la sua attuazione e se fosse proporzionata agli obiettivi ivi previsti, verificando, in particolare, se non esistesse una soluzione meno restrittiva della concorrenza alla quale le parti dell’accordo avrebbero potuto ricorrere al momento della sua conclusione.

Con le questioni prima e ottava, infine, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che costituisce un accordo avente per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza una clausola di non concorrenza che consiste in particolare, nell’ambito di un accordo di partenariato commerciale, nel vietare ad una delle parti di entrare nel mercato nazionale della fornitura di energia elettrica nel quale l’altra parte è un attore principale, e ciò al momento delle ultime fasi della liberalizzazione del mercato in parola, anche qualora i consumatori traggano taluni vantaggi da detto accordo e tale clausola di non concorrenza sia limitata nel tempo.

La Corte ha preliminarmente ricordato che, per ricadere nel divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo deve avere per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno. L’alternatività di tale condizione rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo[13], di talché, nel caso in cui ne venga dimostrata l’anticoncorrenzialità, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza[14]. La nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto”, inoltre, deve essere interpretata restrittivamente, potendo essere applicata solo ad alcuni tipi di coordinamento tra imprese che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario[15]. Determinate pratiche collusive tra imprese, infatti, rivelano, di per sé e tenuto conto del tenore delle loro disposizioni, degli obiettivi da esse perseguiti nonché del contesto economico e giuridico nel quale esse si inseriscono, un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario, dal momento che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per la loro stessa natura, come dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza[16].

Fra le pratiche collusive che possono rientrare nella categoria delle restrizioni per oggetto figurano gli accordi di ripartizione dei mercati. Accordi del genere, infatti, costituiscono violazioni particolarmente gravi della concorrenza[17], giacché essi hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono ad una categoria di accordi espressamente vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE in quanto un tale oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale in questione[18]. Ciò vale anche per gli accordi di esclusione dai mercati, i quali hanno lo scopo di eliminare la concorrenza potenziale e di impedire il libero gioco della concorrenza mantenendo un concorrente potenziale al di fuori del mercato interessato.

In un’ipotesi del genere, pertanto, l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca un tale accordo può limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per concludere per la sussistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto[19]. Del pari, quando le parti fanno valere effetti favorevoli alla concorrenza promananti da un accordo, in quanto elementi del contesto di quest’ultimo, tali effetti vanno debitamente presi in considerazione ai fini della sua qualificazione come restrizione per oggetto, nei limiti in cui possono rimettere in discussione la valutazione globale del grado sufficientemente dannoso della pratica collusiva in questione[20]. La mera esistenza di effetti favorevoli alla concorrenza, tuttavia, non può essere sufficiente ad escludere una tale qualificazione. È soltanto qualora detti effetti siano dimostrati, pertinenti, specifici dell’accordo in questione, sufficientemente importanti e tali che consentono di dubitare ragionevolmente del carattere sufficientemente dannoso per la concorrenza dell’accordo stesso, infatti, che la qualificazione di restrizione per oggetto deve essere esclusa[21].

Di conseguenza, la Corte ha statuito che:

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che un’impresa che gestisce una rete di dettaglianti di prodotti di largo consumo deve essere considerata, sul mercato dell’energia elettrica, un concorrente potenziale di un fornitore di energia elettrica con il quale essa ha concluso un accordo di partenariato contenente una clausola di non concorrenza, quand’anche tale impresa non esercitasse alcuna attività su detto mercato del prodotto al momento della conclusione dell’accordo in parola, purché sia dimostrato, sulla base di un complesso di elementi di fatto concordanti che tengono conto della struttura del mercato nonché del contesto economico e giuridico che ne disciplina il funzionamento, che esistono possibilità reali e concrete che tale impresa integri detto mercato e si ponga in concorrenza con il summenzionato fornitore.

L’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, deve essere interpretato nel senso che non rientra nelle categorie degli «accordi verticali» e dei «contratti di agenzia» un accordo di partenariato commerciale concluso tra due imprese operanti su mercati del prodotto diversi, mercati non situati a monte o a valle l’uno dell’altro, quando detto accordo consiste nel favorire lo sviluppo delle vendite dei prodotti di queste due imprese mediante un meccanismo di promozione e di sconti incrociati, laddove ciascuna delle imprese in parola si fa carico di una parte dei costi connessi all’attuazione di tale partenariato.

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che una clausola di non concorrenza contenuta in un accordo di partenariato commerciale concluso tra due imprese operanti su mercati del prodotto diversi e diretto a favorire lo sviluppo delle vendite dei prodotti di queste due imprese mediante un meccanismo di promozione e di sconti incrociati non può essere considerata una restrizione accessoria a tale accordo di partenariato, salvo qualora la restrizione configurata della clausola in parola sia obiettivamente necessaria all’attuazione di detto accordo di partenariato e proporzionata agli obiettivi del medesimo.

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce un accordo avente per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza una clausola di non concorrenza che consiste in particolare, nell’ambito di un accordo di partenariato commerciale, nel vietare a una delle parti dell’accordo in parola di entrare nel mercato nazionale della fornitura di energia elettrica nel quale l’altra parte di detto accordo è un attore principale, e ciò al momento delle ultime fasi della liberalizzazione del mercato summenzionato, anche qualora i consumatori traggano taluni vantaggi da detto accordo e tale clausola di non concorrenza sia limitata nel tempo, purché da un’analisi del tenore di tale clausola nonché del suo contesto economico e giuridico risulti che detta clausola presenta un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che l’esame dei suoi effetti non sia necessario”.

Scarica l’articolo


[1] Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUUE L 102 del 23.04.2010.

[2] La Modelo Continente e la MC retail facevano parte di un insieme di società presenti in molteplici settori di attività, in particolare la distribuzione al dettaglio, le telecomunicazioni e gli audiovisivi, i centri commerciali, i prodotti a base di legno, il turismo e l’energia, con un’organizzazione sotto l’egida di holding e di sub-holding, strutturate per settore di attività e/o settore d’affari

[3] Inizialmente, l’importo degli sconti era interamente a carico della EDP Comercial. La Modelo Continente doveva emettere mensilmente una nota di addebito per l’importo dei buoni emessi ed effettivamente attivati nel corso del mese precedente, che doveva essere pagata alla fine del mese di emissione di ciascuna fattura. In funzione dell’incremento del traffico negli esercizi del Gruppo Sonae e dell’aumento del fatturato risultante dal Piano EDP Continente, tuttavia, era previsto che la Modelo Continente si facesse carico di una parte degli sconti concessi.

[4] L’articolo 9 del NRGC al paragrafo 1 dispone: “… Sono vietati gli accordi tra imprese, le pratiche concordate tra imprese e le decisioni di associazioni di imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere sensibilmente la concorrenza in tutto o in parte del mercato nazionale…”.

[5] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 36.

[6] Ibidem, punto 37.

[7] Ibidem, punto 39.

[8] L’articolo 1 del Regolamento n. 330/2010, intitolato “Definizioni”, al paragrafo 1 lettera a) dispone: “… Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

a) per «accordi verticali» si intendono gli accordi o le pratiche concordate conclusi tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi…”.

[9] GUUE C 130 del 19.05.2010.

[10] CGUE 23.01.2018, Causa C‑179/16, F. Hoffmann-La Roche e a., punto 69; CGUE 11.09.2014, Causa C‑382/12 P, MasterCard e a./Commissione, punto 89.

[11] CGUE 23.01.2018, Causa C‑179/16, F. Hoffmann-La Roche e a., punto 70; CGUE 11.09.2014, Causa C‑382/12 P, MasterCard e a./Commissione, punto 90.

[12] CGUE 23.01.2018, Causa C‑179/16, F. Hoffmann-La Roche e a., punto 71; CGUE 11.09.2014, Causa C‑382/12 P, MasterCard e a./Commissione, punto 91.

[13] CGUE 18.11.2021, Causa C-306/20, Visma Enterprise, punti 54-55; CGUE 26.11.2015, Causa C‑345/14, Maxima Latvija, punto 16.

[14] CGUE 29.06.2023, Causa C‑211/22, Super Bock Bebidas, punto 31.

[15] Ibidem, punto 32.

[16] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 67.

[17] CGUE 04.09.2014, Causa C‑408/12 P, YKK e a./Commissione, punto 26; CGUE 05.12.2013, Causa C‑449/11 P, Solvay Solexis/Commission, punto 82.

[18] CGUE 20.01.2016, Causa C‑373/14 P, Toshiba Corporation/Commissione, punto 28.

[19] Ibidem, punto 29.

[20] CGUE 12.01.2023, Causa C‑883/19 P, HSBC Holdings e a./Commissione, punto 139.

[21] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punti 103-107.