PROPRIETÀ INTELLETTUALE E PIATTAFORME ONLINE. L’AG SZPUNAR SI PRONUNCIA NEL SENSO DELL’IMPOSSIBILITÀ, PER IL TITOLARE DEL MARCHIO, DI VIETARE L’USO DA PARTE DEL GESTORE DI UN MERCATO ONLINE DI UN SEGNO IDENTICO O SIMILE PER PRODOTTI O SERVIZI IDENTICI O SIMILI

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Proprietà Intellettuale, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia

In data 2 giugno 2022, l’Avvocato Generale Szpunar ha reso note le sue Conclusioni nelle Cause riunite C‑148/21 e C-184/21,Louboutin, sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea[1]. Le domande pregiudiziali erano state presentate nell’ambito di due controversie insorte tra il Sig. Christian Louboutin, un creatore francese di calzature i cui prodotti più noti sono scarpe da donna con tacco alto e caratteristica suola di colore rosso, ed Amazon Europe Core Sàrl, Amazon EU Sàrl, Amazon Services Europe Sàrl, Amazon.com, Inc.ed Amazon Services LLC (congiuntamente “Amazon”).

Questi i fatti.

Nella Causa C‑148/21 il Signor Louboutin, invocando una lesione dei diritti esclusivi che gli derivavano dal marchio dell’Unione europeaconsistente nel colore rosso applicato alle suole delle sue calzature, si era rivolto al Tribunal d’arrondissement de Luxembourg(Tribunale circoscrizionale di Lussemburgo; il “giudice del rinvio”) chiedendo che i) Amazon fosse dichiarata responsabile della violazione del suo marchio, ii) Amazon cessasse, a pena di sanzione pecuniaria, di far uso nel commercio di segni identici a detto marchio in tutto il territorio dell’Unione, e iii) gli fosse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno derivante dai controversi utilizzi illeciti. Ritenendo necessario determinare se il funzionamento particolare delle piattaforme gestite da Amazon possa comportare l’uso di un segno identico al marchio a titolo di integrazione degli annunci di venditori terzi nella propria comunicazione commerciale, il giudice del rinvio aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali.

Nella Causa C‑184/21, invece, il Signor Louboutin aveva proposto dinanzi al Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles(Tribunale del commercio di Bruxelles di lingua francese; anche il “giudice del rinvio”) un’azione diretta ad ottenere l’inibitoria dell’uso del suo marchio da parte di Amazon ed il risarcimento del danno cagionato da quest’ultimo. Anche in questo caso, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante, il giudice del rinvio aveva sospeso il procedimento ed aveva rivolto alla Corte di Giustiziadue questioni pregiudiziali.

Con le loro questioni pregiudiziali, i giudici del rinvio chiedevano di conoscere se l’articolo 9, paragrafo 2[2], del Regolamento n. 2017/1001 debba essere interpretato nel senso che occorra ritenere che il gestore di una piattaforma di vendite online usi un marchio in un’offerta di vendita pubblicata da un terzo su detta piattaforma, quando, da una parte, il gestore pubblica in maniera uniforme sia le proprie offerte sia quelle dei terzi senza distinguere nella loro visualizzazione in ragione della rispettiva origine e facendo comparire il proprio logo di noto distributore su detti annunci e, dall’altra, offre ai venditori terzi servizi complementari di stoccaggio e spedizione dei prodotti pubblicati sulla sua piattaforma, informando i potenziali acquirenti del fatto che si farà carico di tali attività. I giudici del rinvio chiedevano alla Corte, inoltre, se la percezione di un internauta normalmente informato e ragionevolmente attento rilevi ai fini dell’interpretazione della nozione di “uso” ai sensi della predetta disposizione.

L’AG ha preliminarmente ricordato che il termine “usare” di cui all’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento n. 2017/1001 implica, da parte del terzo intermediario online, un comportamento attivo nonché un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso[3], in quanto solo chi eserciti il controllo su tale atto è in grado di far cessare l’uso[4]. L’atto d’uso da parte di un intermediario online, inoltre, implica, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale[5].

A tal proposito, è stato osservato che la comunicazione commerciale di un’impresa ricomprende, di norma, tutte le forme di comunicazione volte a promuovere le sue attività, i suoi beni o i suoi servizi o ad indicare lo svolgimento di siffatte attività, ed è destinata ai soggetti terzi nell’ottica di far conoscere o segnalare l’attività dell’impresa. Di conseguenza, la comunicazione può essere concepita unicamente nel rapporto tra l’impresa che usa il segno ed i soggetti terzi rispetto ad essa, di talché l’utilizzo, da parte di un intermediario online, di un segno nella propria comunicazione commerciale richiede che quest’ultimo appaia, all’esterno dell’impresa in questione, come una sua parte integrante[6]. La condizione relativa all’utilizzo del segno nella comunicazione commerciale presuppone, pertanto, un suo utilizzo da parte dell’intermediario online tale da far sì che il destinatario della comunicazione crei uno specifico nesso fra l’intermediario e il segno, che ne integra l’appropriazione da parte dell’intermediario. Tale condizione deve, però, venire apprezzata unicamente dal punto di vista dell’utente del mercato online, destinatario della comunicazione commerciale del gestore, al fine di valutare se il segno di cui trattasi sia percepito da tale utente come integrato nella sua comunicazione commerciale in virtù della sua appropriazione da parte dell’intermediario online.

Per quanto riguarda l’utente del mercato online cui occorre fare riferimento per stabilire se, in base alla sua percezione, il segno sia integrato dal gestore nella propria comunicazione commerciale, l’AG ritiene necessario rifarsi allo standard adottato per stabilire se l’uso di un segno da parte di un terzo leda una delle funzioni essenziali del marchio, ossia quello dell’utente di internet normalmente informato e ragionevolmente attento[7]. Quale destinatario della comunicazione commerciale del gestore della piattaforma, infatti, tale utente costituisce necessariamente il punto di riferimento per stabilire se l’intermediario si sia appropriato del segno utilizzandolo nella propria comunicazione. Uno standard che presuppone un livello normale di informazione ed un’attenzione ragionevole da parte dell’utente, inoltre, appare ancor più giustificato nella misura in cui, per una parte degli utenti delle piattaforme di vendite online, l’identità del venditore è scarsamente rilevante ed il solo criterio per pervenire alla decisione di acquisto è il prodotto e il suo prezzo.

Tutto ciò premesso, nel caso concreto, tanto le offerte di venditori terzi quanto quelle di Amazon vengono presentate in maniera uniforme e comprendono tutte il logo di quest’ultima, essendo specificato, all’interno degli annunci, se i prodotti in questione siano venduti da venditori terzi o direttamente da Amazon. Benché, inoltre, Amazon sia un distributore di grande notorietà, essa è parimenti nota anche per la sua attività di mercato online; di talché i relativi utenti sanno che sono pubblicati sia annunci di prodotti venduti direttamente da Amazon sia annunci pubblicati da venditori terzi. Di conseguenza, la mera coesistenza degli annunci di Amazon e di quelli dei venditori terzi non induce a concludere che un utente di internet normalmente informato e ragionevolmente attento possa percepire i segni pubblicati all’interno degli annunci dei venditori terzi come parte della comunicazione commerciale di Amazon. Ciò vale anche, mutatis mutandis, sia per gli annunci pubblicitari pubblicati su siti di terzi che recano il logo di Amazon e che rinviano ad offerte di vendita pubblicate su tale sito da parte di venditori terzi, sia per l’integrazione, da parte di Amazon, di annunci di venditori terzi nei negozi presenti sulla sua piattaforma, o negli elenchi dei prodotti più venduti o più regalati.

L’AG, infine, ha esaminato la questione se il fatto che Amazon offra un servizio integrato, che ricomprende anche un’assistenza nell’elaborazione degli annunci, oltre allo stoccaggio e alla spedizione di determinati prodotti, rilevi ai fini della qualificazione dell’uso del segno presente all’interno di tali annunci.

Più particolarmente, sebbene il coinvolgimento di Amazon dalla pubblicazione dell’annuncio recante il segno controverso sino alla spedizione del prodotto possa consentirle un maggior controllo sulla vendita di un prodotto lesivo di un marchio, esso va in realtà a beneficio del consumatore, in quanto mira ad assicurargli una fornitura rapida ed una garanzia a seguito dell’acquisto. Tale coinvolgimento, pertanto, non è sufficiente a dimostrare un uso del segno di cui trattasi da parte di Amazon nella propria comunicazione commerciale. Secondo l’AG, infatti, non si può ritenere che il segno sia stato utilizzato dal gestore di un mercato online nell’ambito della propria comunicazione commerciale quando quest’ultimo effettua lo stoccaggio di prodotti recanti il segno per conto di un venditore terzo senza perseguire lui stesso lo scopo di offrirli in vendita o di immetterli in commercio[8]. Ciò che vale anche quando il gestore spedisca tali prodotti per conto del terzo, in quanto in tale situazione per gli utenti di internet normalmente informati e ragionevolmente attenti sarà comunque chiaro che è solo il venditore terzo a voler offrire i prodotti o immetterli in commercio.

Di conseguenza, l’AG ha suggerito alla Corte di Giustizia di statuire che:

L’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il gestore di una piattaforma di vendite online usi un marchio nel contesto di un’offerta di vendita pubblicata da un terzo su detta piattaforma in ragione del fatto che, da una parte, pubblica in maniera uniforme sia le proprie offerte sia offerte di terzi senza distinguerle nella loro visualizzazione in base alla rispettiva origine, facendo comparire il proprio logo di noto distributore su detti annunci sia sul proprio sito sia nelle sezioni pubblicitarie di siti Internet di terzi, e dall’altra, offre ai venditori terzi servizi complementari di assistenza, di stoccaggio e di spedizione dei prodotti pubblicati sulla sua piattaforma, informando i potenziali acquirenti che si farà carico della fornitura di tali servizi, a condizione che tali elementi non inducano un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento a percepire il marchio di cui trattasi come parte integrante della comunicazione commerciale del gestore”.

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[1] GUUE L 154 del 16.06.2017.

[2] L’articolo 9 del Regolamento n. 2017/1001, intitolato “Diritti conferiti dal marchio UE”, al paragrafo 2 dispone: “Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a) il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;
b) il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;
c) il segno è identico o simile al marchio UE, a prescindere dal fatto che sia usato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per i quali il marchio UE è stato registrato, se il marchio UE gode di notorietà nell’Unione e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio UE o reca pregiudizio agli stessi…”.

[3] CGUE 02.07.2020, Causa C‑684/19, mk advokaten, punto 23; CGUE 03.03.2016, Causa C‑179/15, Daimler, punto 41.

[4] CGUE 03.03.2016, Causa C‑179/15, Daimler, punto 41.

[5] CGUE 02.04.2020, Causa C 567/18, Coty Germany GmbH contro Amazon Services Europe Sàrl e a., punto 39; CGUE 12 luglio 201, Causa C-324/09, L’Oréal SA e altri contro eBay International AG e altri, punto 107; CGUE 23.03.2010, Cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google, punto 56.

[6] CGUE 19.02.2009, Causa C‑62/08, UDV North America, punto 47.

[7] CGUE 23.03.2010, Cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google, punto 84.

[8] CGUE 02.04.2020, Causa C 567/18, Coty Germany GmbH contro Amazon Services Europe Sàrl e a., punti 45-47.