In data 16 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-181/24, Genmab A/S, sull’interpretazione dell’articolo 3, lettere b) e d), del Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali[1]. Tale rinvio era stato proposto nell’ambito della domanda della Genmab A/S (‘Genmab’) di riformare la decisione dello Szellemi Tulajdon Nemzeti Hivatala (Ufficio nazionale ungherese della proprietà intellettuale) con la quale le era stato rifiutato il rilascio di un certificato protettivo complementare (Supplementary Protection Certificate, SPC) per un medicinale commercializzato con il nome di “Kesimpta”.
Questi i fatti.
La Genmab aveva commercializzato un primo medicinale, l’Arzerra, contenente il principio attivo “ofatumumab”, che era tutelato dal brevetto europeo EP 328 4753 di cui la stessa Genmab era titolare. Dopo aver ottenuto nel 2010 un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) per tale medicinale, tuttavia, nel 2019 la Genmab l’aveva ritirata e, successivamente, aveva ottenuto un’altra AIC per il Kesimpta, il cui principio attivo era parimenti l’ofatumumab.
Sul fondamento del brevetto di base e dell’AIC successiva, in data 7 luglio 2021 la Genmab aveva chiesto all’Ufficio nazionale della proprietà intellettuale di rilasciarle un SPC. L’Ufficio, tuttavia, aveva respinto la domanda ritenendo che l’AIC successiva non fosse la prima per l’ofatumumab ai sensi del Regolamento n. 469/2009. Di conseguenza, la Genmab aveva proposto ricorso dinanzi allaFővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 3, lettera d)[2], del Regolamento n. 469/2009 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che l’AIC, presentata a sostegno di una domanda di SPC per un prodotto, sia considerata come la prima ai sensi di tale disposizione, se per quello stesso prodotto è stata rilasciata un’AIC precedente che però è stata ritirata prima della presentazione della domanda di SPC.
La Corte ha preliminarmente rilevato che sia il testo dell’articolo 3, lettera d), del Regolamento n. 469/2009, sia il contesto in cui tale disposizione si inserisce e gli obiettivi perseguiti dal legislatore europeo, nonché gli elementi inerenti alla genesi del regolamento stesso, indicano che la condizione prevista in tale disposizione è fondata su un criterio cronologico oggettivo in virtù del quale la prima AIC del prodotto, in quanto medicinale, designa quella rilasciata alla data più remota per il prodotto in questione nello Stato Membro considerato, a prescindere dal fatto che tale AIC sia ancora in corso di validità o meno.
Il testo dell’articolo 3, lettera d), del Regolamento n. 469/2009, infatti, non indica che la prima AIC deve essere la prima unicamente tra quelle in corso di validità alla data di presentazione della domanda di SPC, e bensì che occorre prendere in considerazione al riguardo l’insieme delle AIC rilasciate per il prodotto in esame nello Stato Membro in cui è stata presentata la domanda di SPC di cui trattasi. La domanda di SPC, inoltre, deve contenere il numero e la data dell’AIC, e qualora essa non sia la prima per il prodotto in esame, il numero e la data della prima AIC. Di conseguenza, se si dovesse tener conto solo delle AIC in corso di validità per stabilire quale sia la prima del prodotto in esame, ciò sarebbe stato espressamente previsto del Regolamento n. 469/2009. Nell’istituire il regime del SPC, infine, il legislatore europeo ha inteso favorire la protezione non di qualsiasi ricerca farmaceutica che dia luogo al rilascio di un brevetto e alla commercializzazione di un medicinale, e bensì di quella che conduce alla prima immissione in commercio di un principio attivo in quanto medicinale[3], un obbiettivo che sarebbe compromesso se si prendessero in considerazione solo le AIC in corso di validità per stabilire quale sia la prima per un dato prodotto.
Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che:
“L’articolo 3, lettera d), del regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, come modificato dal regolamento (UE) 2019/933 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che l’autorizzazione di immissione in commercio presentata a sostegno di una domanda di certificato protettivo complementare per un prodotto sia considerata come la prima autorizzazione di immissione in commercio ai sensi di tale disposizione, se per quello stesso prodotto è stata rilasciata un’autorizzazione di immissione in commercio precedente che però è stata ritirata prima della presentazione della domanda di certificato protettivo complementare”.
[1] GUUE L 152 del 16.06.2009.
[2] L’articolo 3 del Regolamento n. 469/2009, intitolato “Condizioni di rilascio del certificato”, alla lettera d) dispone: “… Il certificato viene rilasciato se nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7 e alla data di tale domanda:
(…)
d) l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale…”.
[3] CGUE 09.07.2020, Causa C‑673/18, Santen, punto 55; CGUE 21.03.2019, Causa C‑443/17, Abraxis Bioscience, punto 37.