INTERPRETAZIONE CONFORME DEL DIRITTO NAZIONALE. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA NORMATIVA CHE PREVEDE UN MEZZO DI RICORSO STRAORDINARIO CHE CONSENTE LA RIAPERTURA DI UN PROCEDIMENTO CIVILE CONCLUSO CON UNA SENTENZA DEFINITIVA

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In data 9 aprile 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-582/21, FY contro Profi Credit Polska S.A. w Bielsku Białej, sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, e dell’articolo 19, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione Europea (TUE) nonché dei principi di equivalenza e di interpretazione conforme del diritto nazionale. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra FY e la Profi Credit Polska S.A. w Bielsku Białej (“Profi Credit”) in relazione a somme dovute da FY in esecuzione di un contratto di credito al consumo.

Questi i fatti.

In data 16 giugno 2015, FY aveva stipulato con la Profi Credit un contratto di credito al consumo ai sensi del quale la somma totale dovuta ammontava a circa 3.000 euro, rimborsabile in 48 rate mensili. Alla conclusione di tale contratto, inoltre, FY aveva emesso una cambiale in bianco, che era stata successivamente riempita dalla Profi Credit indicando la somma di circa 1.880 euro nonché una data di scadenza del pagamento. Successivamente, la Profi Credit aveva proposto un’azione diretta ad ottenere il pagamento di tale somma a titolo di capitale dinanzi al Sąd Rejonowy dla Warszawy Pragi-Południe (Tribunale circondariale Varsavia Praga-Sud), che in data 17 aprile 2018 aveva pronunciato una sentenza contumaciale, munita di formula esecutiva, con la quale FY era stata condannata a versare il suddetto importo.

Dopo che la sentenza contumaciale era divenuta definitiva, FY aveva presentato una domanda di riapertura del procedimento dinnanzi al giudice di primo grado, sostenendo che quest’ultimo avesse erroneamente interpretato la Direttiva 93/13[1] privandola della possibilità di agire ai sensi dell’ustawa – Kodeks postępowania cywilnego (legge recante il codice di procedura civile)[2]. Poiché tale giudice aveva respinto la sua domanda, FY si era rivolta al Sąd Okręgowy Warszawa-Praga (Tribunale regionale Varsavia-Praga; il “giudice del rinvio”) che, alla luce di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 4, paragrafo 3[3], e l’articolo 19, paragrafo 1[4], TUE nonché il principio di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che, qualora un mezzo di ricorso straordinario istituito da una disposizione processuale nazionale consenta ad un singolo di chiedere la riapertura di un procedimento che ha condotto ad una sentenza definitiva invocando una successiva decisione della Corte costituzionale dello Stato Membro interessato che dichiara la non conformità alla Costituzione o ad un’altra norma di rango superiore di una disposizione di diritto nazionale, o di una sua certa interpretazione, sul fondamento della quale tale sentenza è stata pronunciata, essi impongono che detto mezzo di ricorso sia parimenti esperibile nel caso in cui sia invocata una decisione della Corte che statuisce in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

La Corte ha preliminarmente ricordato che il diritto dell’Unione non esige che, per tener conto dell’interpretazione di una sua disposizione offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest’ultimo ritorni necessariamente sulla stessa[5]. Al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, infatti, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione[6]. Di conseguenza, il diritto dell’Unione non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una situazione nazionale contrastante[7]. In assenza di una normativa dell’Unione in materia, pertanto, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati Membri, nel rispetto tuttavia dei principi di equivalenza e di effettività[8], che deve essere esaminato tenendo conto del ruolo delle norme in questione nel procedimento complessivamente inteso, del suo svolgimento e delle specificità di tali norme dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali[9]. Tutto ciò premesso, qualora le norme processuali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato al fine di rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere prevista, sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione oggetto del procedimento principale al diritto dell’Unione[10].

Nel caso concreto, l’oggetto del ricorso dinanzi al Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) è quello di ottenere da quest’ultimo una pronuncia sulla validità di una disposizione di diritto nazionale o di una sua certa interpretazione che si pone in contrasto con la Costituzione o con altre norme di rango superiore. Un elemento essenziale di tale procedimento sembra risiedere nel fatto che, a seguito di una decisione di accoglimento di un siffatto ricorso, con la quale il Trybunał Konstytucyjny ne dichiara la non conformità alla Costituzione polacca o a un’altra norma di rango superiore, la disposizione di diritto nazionale contestata è privata della sua forza vincolante. Di conseguenza, quando è in discussione dinanzi al Trybunał Konstytucyjny una certa interpretazione di una disposizione di diritto nazionale, la decisione che ne dichiara l’incompatibilità con la Costituzione o con un’altra norma di rango superiore pare avere l’effetto, per analogia, di privare ipso facto detta interpretazione della sua capacità di fungere da fondamento per una sentenza. Le decisioni del Trybunał Konstytucyjny, pertanto, contengono una constatazione relativa alla non conformità della disposizione di diritto nazionale in questione, o di una sua certa interpretazione, alla Costituzione polacca o a un’altra norma di rango superiore, che non richiede l’adozione di una decisione giurisdizionale successiva e ha l’effetto di privare tale disposizione o interpretazione della sua forza vincolante e di espungerla dall’ordinamento giuridico nazionale, privando così di fondamento giuridico la sentenza definitiva che era stata pronunciata su tale base.

Le sentenze pregiudiziali interpretative, tuttavia, si distinguono dalle decisioni del Trybunał Konstytucyjny. Se è vero che il ruolo della Corte è quello di fornire un’interpretazione vincolante del diritto dell’Unione, infatti, le conseguenze che derivano da tale interpretazione per il caso concreto rientrano nella responsabilità dei giudici nazionali. Nell’ambito del procedimento pregiudiziale, pertanto, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione nazionale con il diritto dell’Unione, in quanto tale valutazione spetta al giudice nazionale alla luce degli elementi interpretativi forniti dalla Corte stessa[11]. Di conseguenza, la portata di una decisione del Trybunał Konstytucyjny che dichiara l’incompatibilità con la Costituzione polacca o con un’altra norma di rango superiore di una disposizione di diritto nazionale o di una sua certa interpretazione si distingue da quella di una sentenza pregiudiziale, con cui la Corte non si pronuncia, interpretando il diritto dell’Unione, direttamente sull’eventuale incompatibilità di una disposizione di diritto nazionale o di una sua interpretazione, in quanto tale questione deve essere risolta in definitiva dal giudice del rinvio.

Con la seconda questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale debba essere interpretato nel senso che una disposizione di diritto nazionale che istituisce un mezzo di ricorso straordinario con il quale una parte può chiedere la riapertura di un procedimento concluso con sentenza definitiva qualora, per effetto di una violazione del diritto, essa sia stata privata della possibilità di agire, debba essere oggetto di un’interpretazione estensiva in modo da includere nel suo ambito di applicazione la situazione in cui il giudice che ha accolto la domanda di un professionista fondata su un contratto stipulato con un consumatore, con sentenza definitiva pronunciata in contumacia, ha omesso di esaminare d’ufficio tale contratto sotto il profilo dell’eventuale presenza di clausole abusive, in violazione degli obblighi ad esso incombenti in forza della Direttiva 93/13.

La Corte ha preliminarmente ricordato che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema dei Trattati, in quanto consente ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle loro competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono la controversia ad essi sottoposta[12]. Più particolarmente, in forza di tale principio spetta ai giudici nazionali, tenendo conto di tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, decidere se e in quale misura una disposizione possa essere interpretata conformemente al diritto dell’Unione[13]. L’obbligo, per i giudici nazionali, di fare riferimento al contenuto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto nazionale, tuttavia, trova un limite nei principi generali del diritto, e non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale[14].

Tutto ciò premesso, nel caso concreto le modalità procedurali che accompagnano l’esercizio dell’opposizione di cui la sentenza contumaciale poteva essere oggetto presentano forti somiglianze con quelle che la Corte stessa, nella Causa Profi Credit Polska I[15], aveva ritenuto tali da generare un rischio non trascurabile che i consumatori interessati non propongano opposizione. Di conseguenza, spetta al giudice del rinvio verificare se le modalità in questione, qualora non consentissero di garantire il rispetto dei diritti che il consumatore trae dalla Direttiva 93/13, configurino la situazione consistente nel privare una parte, per effetto di una violazione del diritto, della possibilità di agire ai sensi dell’articolo 401, punto 2, del codice di procedura civile.

Il riconoscimento di un diritto alla riapertura di un procedimento concluso con una sentenza definitiva in applicazione del principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, tuttavia, non può essere considerato, a priori, come l’unico mezzo che possa garantire al consumatore la tutela voluta dalla Direttiva 93/13 in circostanze come quelle del caso concreto. Tenuto conto della situazione di inferiorità nella quale il consumatore si trova nei confronti del professionista, infatti, l’articolo 6, paragrafo 1[16], di tale direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Essendo tesa a sostituire all’equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti determinato dal contratto uno reale idoneo a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime[17], tale disposizione deve essere considerata come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico[18]. Data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico costituito dalla tutela dei consumatori, inoltre, la Direttiva 93/13 impone agli Stati Membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori[19].

Tutto ciò premesso, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere eventualmente abusivo di una clausola contrattuale, di talché esse rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati Membri, a condizione, tuttavia, di rispettare i principi di equivalenza e di effettività[20]. A tale riguardo, nessun elemento indica che l’articolo 401, punto 2, del codice di procedura civile sia applicabile nel caso sia stato omesso di sollevare d’ufficio un motivo fondato su una norma nazionale di ordine pubblico, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, della Direttiva 93/13 deve essere considerato equivalente. L’obbligo per gli Stati Membri di garantire l’effettività dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, inoltre, implica un requisito di tutela giurisdizionale effettiva, che vale, in particolare, per le modalità procedurali delle azioni in giudizio basate sui diritti derivanti dalla Direttiva 93/13[21]. Di conseguenza se, nel caso concreto, il giudice del rinvio giungesse alla constatazione che le modalità procedurali che disciplinano l’esercizio del diritto di proporre opposizione alla sentenza contumaciale non consentono di garantire il rispetto dei diritti che i consumatori traggono dalla Direttiva 93/13, tale procedura non sarebbe conforme al diritto ad un ricorso effettivo. Laddove il giudice del rinvio dovesse ritenere che il caso concreto non possa rientrare nell’ambito di applicazione del motivo di riapertura del procedimento civile previsto all’articolo 401, punto 2, del codice di procedura civile, consistente nel fatto che, per effetto di una violazione del diritto, una parte sia illegittimamente privata della possibilità di agire, pertanto, un consumatore quale FY dovrebbe disporre di un altro rimedio giuridico affinché gli sia effettivamente garantita la tutela voluta dalla Direttiva 93/13.

Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che:

L’articolo 4, paragrafo 3, TUE e il principio di equivalenza devono essere interpretati nel senso che qualora un mezzo di ricorso straordinario istituito da una disposizione processuale nazionale consenta a un singolo di chiedere la riapertura di un procedimento conclusosi con sentenza definitiva invocando una decisione successiva della Corte costituzionale dello Stato membro interessato che ha dichiarato la non conformità alla Costituzione o a un’altra norma di rango superiore di una disposizione di diritto nazionale, o di una certa interpretazione di una siffatta disposizione, sul cui fondamento tale sentenza è stata pronunciata, essi non impongono che tale mezzo di ricorso sia esperibile anche nel caso in cui sia invocata una decisione della Corte emessa in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, sempre che le conseguenze concrete di una siffatta decisione di tale Corte costituzionale per quanto riguarda la disposizione di diritto nazionale, o l’interpretazione di una siffatta disposizione, sulla quale detta sentenza definitiva si fonda, discendano direttamente da tale decisione.

Il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale deve essere interpretato nel senso che spetta al giudice nazionale valutare se una disposizione di diritto nazionale che istituisce un mezzo di ricorso straordinario con il quale una parte può chiedere la riapertura di un procedimento concluso con sentenza definitiva qualora, per effetto di una violazione del diritto, essa sia stata privata della possibilità di agire, possa essere oggetto di un’interpretazione estensiva in modo da includere nel suo ambito di applicazione la situazione in cui il giudice che ha accolto la domanda di un professionista fondata su un contratto stipulato con un consumatore, con sentenza definitiva resa in contumacia, abbia omesso di esaminare d’ufficio tale contratto sotto il profilo dell’eventuale presenza di clausole abusive, in violazione degli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e in cui risulti che le modalità procedurali dell’esercizio da parte di tale consumatore del suo diritto di proporre opposizione a detta sentenza contumaciale sono tali da generare un rischio non trascurabile che detto consumatore vi rinunci e non consentono, di conseguenza, di garantire il rispetto dei diritti che quest’ultimo trae da tale direttiva. Qualora una siffatta interpretazione estensiva non sia prospettabile a causa dei limiti costituiti dai principi generali del diritto e dall’impossibilità di procedere a un’interpretazione contra legem, il principio di effettività impone che il rispetto di tali diritti sia garantito nell’ambito di un procedimento di esecuzione di detta sentenza contumaciale o di un distinto procedimento successivo”.

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[1] Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, GUUE L 95 del 21.04.1993.

[2] L’articolo 401 del codice di procedura civile, al punto 2, prevede che può essere chiesta la riapertura del procedimento per nullità “… se una parte (…), per effetto di una violazione del diritto, sia stata privata della possibilità di agire; non è tuttavia possibile chiedere la riapertura del procedimento se l’impossibilità di agire sia cessata prima che la sentenza sia divenuta definitiva o se il difetto di rappresentanza sia stato fatto valere mediante eccezione oppure se la parte abbia confermato gli atti processuali anteriori compiuti…”.

[3] L’articolo 4 TUE al paragrafo 3 dispone: “In virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.

Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione.

Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione…”.

[4] L’articolo 19 TUE al paragrafo 1 dispone: “… La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati.

Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione…”.

[5] CGUE 06.10.2015, Causa C‑69/14, Târşia, punto 38; CGUE 10.09.2014, Causa C‑213/13, Impresa Pizzarotti, punto 60.

[6] CGUE 17.05.2022, Causa C‑600/19, Ibercaja Banco, punto 41; CGUE 06.10.2015, Causa C‑69/14, Târşia, punto 28.

[7] CGUE 17.05.2022, Causa C‑600/19, Ibercaja Banco, punto 42; CGUE 06.10.2015, Causa C‑69/14, Târşia, punto 29.

[8] CGUE 24.10.2018, Causa C‑234/17, XC e a., punto 21; CGUE 10.09.2014, Causa C‑213/13, Impresa Pizzarotti, punto 54.

[9] CGUE 24.10.2018, Causa C‑234/17, XC e a., punto 24.

[10] CGUE 06.10.2015, Causa C‑69/14, Târşia, punto 30.

[11] CGUE 20.04.2021, Causa C‑896/19, Repubblika, punto 30.

[12] CGUE 21.01.2021, Causa C‑308/19, Whiteland Import Export, punto 61.

[13] CGUE 17.04.2018, Causa C‑414/16, Egenberger, punto 71.

[14] CGUE 18.01.2022, Causa C‑261/20, Thelen Technopark Berlin, punto 28.

[15] CGUE 13.09.2018, Causa C‑176/17, Profi Credit Polska I, punti 64-70.

[16] L’articolo 6 dalla Direttiva 93/13 al paragrafo 1 dispone: “… Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive…”.

[17] CGUE 17.05.2022, Causa C‑600/19, Ibercaja Banco, punto 36.

[18] CGUE 21.12.2016, Cause riunite C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, Gutiérrez Naranjo e a., punto 54.

[19] Ibidem, punto 57.

[20] CGUE 13.09.2018, Causa C‑176/17, Profi Credit Polska I, punto 57.

[21] CGUE 22.04.2021, Causa C‑485/19, Profi Credit Slovakia, punto 54.