In data 4 marzo 2024, la Commissione ha sanzionato la Apple Inc. (“Apple”) con un’ammenda record pari a circa 1,8 miliardi di euro per aver utilizzato la propria piattaforma Apple Store per distorcere la concorrenza nel mercato dei servizi di streaming musicale, a danno sia dei propri competitors che dei consumatori.
La decisione conclude le due indagini antitrust che la Commissione aveva avviato in data 16 giugno 2020 nei confronti della Apple in merito i) alle regole previste per gli sviluppatori relativamente alla distribuzione delle app tramite il suo App Store[1], e ii) ai termini, alle condizioni e alle altre misure previste per l’integrazione di Apple Pay sui dispositivi iOS/iPadOS[2].
In data 30 aprile 2021 la Commissione aveva inviato una prima Comunicazione degli addebiti, rilevando che la Apple detiene una posizione dominante nel mercato della distribuzione delle app di streaming musicale. Più particolarmente, l’App Storerappresenta l’unico canale attraverso cui gli sviluppatori di app possono raggiungere i consumatori che utilizzano i dispositivi mobili della Apple dotati del sistema operativo iOS. Viene così a formarsi un c.d. “ecosistema chiuso” in cui Apple controlla ogni aspetto dell’esperienza dell’utente su iPhone/iPad. Di conseguenza, le regole della Apple distorcono la concorrenza aumentando i costi degli sviluppatori di app di streaming concorrenti, ciò che, a sua volta, comporta prezzi più alti per gli utenti che decidono di abbonarsi in-app (IAP) sui dispositivi iOS. La Apple, inoltre, agisce come intermediario forzoso di tutte le transazioni IAP, assumendo il pieno controllo anche sul sistema di fatturazione e sulle comunicazioni per i competitors.
Successivamente, in data 28 febbraio 2023 la Commissione aveva inviato ad Apple una seconda Comunicazione degli addebiti che, sostituendo quella precedente, evidenziava preoccupazioni relative al fatto che le restrizioni contrattuali che la Apple aveva imposto agli sviluppatori di app, da un lato, non fossero né necessarie né proporzionate per il funzionamento dell’App Store su iPhone e iPade, dall’altro, potessero comportare costi maggiori per gli utenti che usufruiscono dei servizi di streaming sui dispositivi mobili della Apple[3].
Secondo la Commissione, la Apple vieta agli sviluppatori di app di streaming musicale, da un lato, di informare esaurientemente gli utenti iOS sui servizi di abbonamento alternativi e più economici disponibili al di fuori dell’app e, dall’altro, di fornire qualsiasi informazione su come abbonarsi a tali offerte, abusando così della propria posizione dominante sui mercati rilevanti in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Più particolarmente, la condotta della Apple, che è durata per quasi dieci anni, non solo ha portato molti utenti iOS a pagare prezzi significativamente più alti per gli abbonamenti di streaming musicale, ma li ha anche danneggiati offrendo loro un’esperienza di peggiore qualità. Gli utenti iOS, infatti, o hanno dovuto svolgere molteplici ricerche per reperire offerte pertinenti al di fuori dell’app, oppure non si sono mai abbonati ad alcun servizio perché non sono riusciti a trovare quello più conveniente.
Oltre all’ammenda, la Commissione ha ingiunto alla Apple di eliminare le restrizioni contrattuali controverse e di astenersi dal porre nuovamente in essere tali condotte o dall’adottare in futuro pratiche aventi un oggetto o un effetto equivalente.
In considerazione dell’ingentissimo numero di utenti dell’App Store sui dispositivi iPhone e iPad, non è fuori luogo domandarsi quali scenari potrebbero aprirsi con l’instaurazione di azioni di danno follow-on da parte di decine di milioni di danneggiati. È ragionevole prevedere che tali iniziative prenderebbero la via delle azioni collettive, a cui non mancheranno i finanziamenti dei litigation funders. C’è anche da chiedersi se delle prospettive risarcitorie potranno aprirsi anche per gli autori, le organizzazioni collettive di gestione dei diritti, gli editori musicali e gli altri attori della filiera, che potrebbero, a vario titolo, argomentare che le condotte abusive accertate nei confronti di Apple si ripercuotono negativamente anche su di loro, con effetti preclusivi o distorsivi anche nei mercati contigui, a monte e a valle dei loro servizi.
La sanzione della Commissione, infine, arriva a pochi giorni dai mutamenti epocali che la Apple dovrà introdurre nelle regole di distribuzione delle app per iPhone a seguito dell’entrata in vigore del c.d. “Digital Markets Act”[4]. Essendo stata designata come gatekeeper, infatti, la Apple dovrà rispettare gli obblighi pervasivi previsti dal Regolamento[5] a partire dal 7 marzo 2024, ragion per cui, come annunciato lo scorso gennaio, gli store di terzi saranno per la prima volta ammessi su iOS, interrompendo così l’egemonia dell’App Store come unico distributore di app per iPhone.
[1] Nello specifico i) l’obbligo di utilizzare il sistema di acquisti “IAP” (in-app purchase) per la distribuzione di contenuti digitali a pagamento, rispetto ai quali la Apple trattiene una percentuale pari a circa il 30% del corrispettivo pagato dall’utente, e ii) il divieto per gli sviluppatori di informare gli utenti in merito a forme di acquisto alternative, e più economiche, al di fuori delle app.
[2] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[3] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[4] Regolamento (UE) 2022/1925 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2022 relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale e che modifica le direttive (UE) 2019/1937 e (UE) 2020/1828, GUUE L 265 del 12.10.2022.
[5] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile LINK.