SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA NOZIONE DI “ANNUNCI DELL’EMITTENTE RELATIVI AI PROPRI PROGRAMMI”

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In data 30 gennaio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-255/21, Reti Televisive Italiane SpA (RTI) contro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), sull’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettera a), della Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi[1]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra Reti Televisive Italiane SpA(RTI)[2] e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) in merito alla legittimità di tre decisioni con cui quest’ultima aveva inflitto alla RTI sanzioni per violazione, da parte delle emittenti televisive Canale 5, Italia 1 e Rete 4, della normativa italiana relativa ai limiti di affollamento orario della pubblicità televisiva.

Questi i fatti.

Con tre decisioni del 19 dicembre 2017, l’AGCOM aveva sanzionato la RTI per aver violato dell’articolo 38, paragrafo 2, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici[3], calcolando l’affollamento pubblicitario televisivo sottoposto ai limiti ivi previsti prendendo in considerazione gli annunci promozionali dell’emittente radiofonica R101 effettuati sui canali televisivi Canale 5, Italia 1 e Rete 4. La RTI, pertanto, aveva presentato tre ricorsi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio, che tuttavia li aveva respinti. Di conseguenza, la RTI aveva impugnato tali sentenze dinanzi al Consiglio di Stato (il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 23, paragrafo 2[4], della Direttiva 2010/13 debba essere interpretato nel senso che la nozione di “annunci dell’emittente relativi ai propri programmi” comprende gli annunci promozionali effettuati da un’emittente televisiva per una stazione radio appartenente al suo stesso gruppo societario.

La Corte ha preliminarmente ricordato che sebbene la Direttiva 2010/13 definisca la pubblicità televisiva tenendo conto dello scopo promozionale dell’immagine o dell’annuncio televisivo in questione, ciò non avviene in caso di carattere informativo degli stessi, di talché, anche quando sono neutri e a carattere puramente informativo, gli annunci televisivi riguardanti i programmi o le trasmissioni di un’emittente costituiscono “pubblicità televisiva”[5] ai sensi della Direttiva 2010/13 allorché siano finalizzati ad indurre i telespettatori a guardare i programmi in questione e a promuovere la prestazione di servizi a titolo oneroso. Tali annunci, pertanto, sono soggetti ai limiti imposti al tempo di trasmissione oraria di pubblicità televisiva, fissati dall’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, a meno che non possano essere qualificati quali “annunci dell’emittente relativi ai propri programmi” ai sensi del paragrafo 2.

A tale riguardo, la Direttiva 2010/13 esclude dal suo ambito di applicazione i servizi di radiodiffusione radiofonici, che consistono normalmente in trasmissioni o programmi di contenuto sonoro e quindi senza immagini, anche quando essi sono accompagnati da elementi audiovisivi accessori indissociabili[6]. Di conseguenza, un’interpretazione come quella sostenuta dalla RTI, secondo cui gli annunci televisivi relativi alle trasmissioni o programmi di una stazione radio rientrano normalmente nell’articolo 23, paragrafo 2, della Direttiva 2010/13 equivarrebbe ad estenderne l’ambito di applicazione oltre quanto consentito dalla formulazione delle sue disposizioni, dando luogo a distorsioni della concorrenza a discapito degli operatori del mercato dei servizi di media radiofonici che non sono integrati in gruppi di radiodiffusione. Al fine di interpretare l’espressione “propri programmi” di cui all’articolo 23, paragrafo 2, della Direttiva 2010/13, inoltre, occorre prendere in considerazione non già, come nel diritto della concorrenza o in quello degli appalti pubblici, i legami giuridici e organizzativi delle imprese che giustificano la reciproca imputazione di azioni e capacità all’interno della stessa entità economica, e bensì la responsabilità editoriale dei programmi in questione. Affinché i programmi di una stazione radio facente parte del medesimo gruppo societario dell’emittente televisiva interessata possano essere qualificati come programmi propri di tale emittente, pertanto, quest’ultima deve assumerne la responsabilità editoriale ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera c)[7], della Direttiva 2010/13, che non può quindi fondarsi sui soli legami economici, organizzativi e giuridici esistenti tra un’emittente televisiva e un’emittente radiofonica in seno ad uno stesso gruppo societario.

Tutto ciò premesso, la Corte ha statuito che:

L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), deve essere interpretato nel senso che la nozione di «annunci dell’emittente relativi ai propri programmi» non include gli annunci promozionali effettuati da un’emittente televisiva per una stazione radio appartenente al medesimo gruppo societario di tale emittente, salvo che, da un lato, i programmi oggetto di tali annunci promozionali siano «servizi di media audiovisivi», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, il che implica che siano scindibili dall’attività principale di tale stazione radio e, dall’altro, detta emittente televisiva ne assuma la «responsabilità editoriale», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera c), di detta direttiva”.

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[1] GUUE L 95 del 15.04.2010.

[2] La RTI è una società di diritto italiano che fornisce servizi di media audiovisivi a copertura nazionale attraverso i suoi canali televisivi Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Essa detiene, inoltre, l’80% del capitale di Monradio Srl, che gestisce la stazione radio R101, mentre un’altra società appartenente, come RTI, al gruppo Mediaset detiene il restante 20%.

[3] Decreto 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione, GU n. 208 del 07.09.2005. L’articolo 38 del Decreto ai paragrafi 2 e 6 dispone: “… La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non può eccedere il 15 per cento dell’orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva.

(…)

Le disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 non si applicano agli annunci delle emittenti, anche analogiche, relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti…”.

[4] L’articolo 23 della Direttiva 2010/13 dispone: “La percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20%.

Il paragrafo 1 non si applica agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti…”.

[5] L’articolo 1 della direttiva 2010/13 al paragrafo 1 lettera i) dispone: “Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

i) «pubblicità televisiva», ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni…”.

[6] CGUE 21.10.2015, Causa C‑347/14, New Media Online, punti 34-37.

[7] L’articolo 1 della direttiva 2010/13 al paragrafo 1 lettera c) dispone: “Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

c) «responsabilità editoriale», l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta. La responsabilità editoriale non implica necessariamente la responsabilità giuridica ai sensi del diritto nazionale per i contenuti o i servizi forniti…”.