“QUASI” ANTI-SUIT INJUNCTIONS E ORDINE PUBBLICO. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SUL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DELLE DECISIONI DI UNO STATO MEMBRO CHE “INFLUENZINO” LA PROSECUZIONE DI UN PROCEDIMENTO INSTAURATO IN UN ALTRO STATO MEMBRO

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Prospettive, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia, Stefania Merati

In data 7 settembre 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-590/21, Charles Taylor Adjusting, in merito al riconoscimento e all’esecuzione nell’Unione di provvedimenti comunemente denominati “quasi” anti-suit injunctions, ossia provvedimenti lato sensu inibitori emessi da uno Stato Membro e che rendano più gravoso e/o comunque influenzino l’avvio o la prosecuzione di un procedimento in un altro Stato.

In particolare, la Corte si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 34, punto 1, e dell’articolo 45, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernenti il c.d. limite dell’ordine pubblico quale motivo di diniego al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale[1], ad esito di una controversia relativa al riconoscimento e all’esecuzione in Grecia di una sentenza e di due ordinanze della High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Commercial Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (Sezione commerciale)].

Questi i fatti.

Accordo transattivo che conclude procedimenti nel Regno Unito, e procedimento in Grecia

In data 3 maggio 2006, la nave Alexandros T. era affondata con il suo carico al largo della baia di Port Elizabeth (Sudafrica). La società proprietaria della nave, Starlight Shipping Co. (“Starlight”), e l’armatrice Overseas Marine Enterprises Inc. (“OME”), pertanto, avevano richiesto agli assicuratori –Charles Taylor Adjusting Ltd (“Charles Taylor”) e FD- il versamento di un indennizzo in ragione del sinistro assicurato. A seguito del loro diniego, la Starlight aveva avviato nei loro confronti un’azione giudiziaria nel Regno Unito nonché una domanda di arbitrato nei confronti di uno degli assicuratori. Mentre questi procedimenti erano ancora pendenti, la Starlight, la OME e gli assicuratori della nave avevano concluso accordi transattivi a composizione dei procedimenti pendenti tra le parti.

Successivamente alla conclusione di tali accordi – omologati nel Regno Unito – la Starlight e la ΟΜΕ, nonché gli altri proprietari della nave naufragata, avevano avviato una serie di nuove azioni giudiziarie dinanzi al Polymeles Protodikeio Peiraios (Tribunale collegiale di primo grado del Pireo, Grecia), chiedendo il risarcimento dei danni materiali e morali che avrebbero subito a causa di affermazioni false e diffamatorie, provenienti dagli assicuratori della nave e dai loro rappresentanti.

“Quasi” inibitoria e provvisionale nel Regno Unito

In risposta, gli assicuratori e i loro rappresentanti avevano instaurato ulteriori procedimenti contro la Starlight e la ΟΜΕ dinanzi ai giudici inglesi al fine di far dichiarare che le nuove azioni avviate in Grecia costituivano violazioni degli accordi transattivi. Le azioni proposte dai rappresentanti degli assicuratori nel Regno Unito avevano dato luogo alla sentenza e alle ordinanze della High Court, che contengono statuizioni relative i) alla violazione da parte della Starlight e della OME degli accordi transattivi, ii) a sanzioni cui queste ultime si espongono nel caso in cui non si conformino alla sentenza e alle ordinanze, iii) alla competenza dei giudici greci alla luce della clausola di elezione del foro contenuta negli accordi transattivi, iv) ad una decisione di indennizzo, a titolo di provvisionale, a favore dei rappresentanti degli assicuratori Charles Taylor e FD, con liquidazione non definitiva e condizionata alla prosecuzione del procedimento dinanzi ai giudici greci, e (v) alle spese giudiziali sostenute in Inghilterra.

Esecuzione in Grecia

La sentenza e le ordinanze della High Court sono state riconosciute e dichiarate parzialmente esecutive in Grecia dal Tribunale monocratico di primo grado del Pireo- Sezione Marittima (Monomeles Protodikeio Peiraios, Naftiko Tmima), su istanza della Charles Taylor e di FD.

Ad esito dell’appello interposto da Starlight e dalla OME, però, la Corte d’Appello monocratica del Pireo – Sezione Marittima(Monomeles Efeteio Peiraios, Naftiko Tmima) ha riconosciuto la sentenza e le ordinanze della High Court come “quasi” anti-suit injunctions”, vale a dire provvedimenti assimilabili ad ordini inibitori della proposizione di azioni giudiziarie che avrebbero impedito agli interessati di adire i giudici naturali in Grecia in violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)[2], nonché di norme costituzionali, che costituiscono materia di ordine pubblico in Grecia.

Infine, la Charles Taylor e la FD avevano impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione greca (Areios Pagos), il “giudice del rinvio”, che alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia aveva sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali.

Competenza giurisdizionale e anti-suit injunctions

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 34, punto 1[3], del Regolamento n. 44/2001, in combinato disposto con il suo articolo 45, paragrafo 1[4], debba essere interpretato nel senso che il giudice di uno Stato Membro può negare il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione del giudice di un altro Stato Membro per contrasto con l’ordine pubblico, allorché tale decisione ostacola la prosecuzione di un procedimento pendente dinanzi ad un altro giudice di tale primo Stato, concedendo ad una delle parti un indennizzo pecuniario provvisorio a titolo delle spese da lei sostenute per avviare tale procedimento, per il motivo che, da un lato, l’oggetto di tale procedimento è coperto da un accordo transattivo lecitamente concluso e omologato dal giudice dello Stato che ha pronunciato la suddetta decisione, e che, dall’altro, il giudice del primo Stato Membro, dinanzi al quale è stato avviato il procedimento controverso, difetta di competenza per effetto di una clausola attributiva di giurisdizione esclusiva. La Corte ha preliminarmente ricordato che il Regolamento 44/2001 non autorizza, salvo limitate eccezioni (tra cui la contrarietà all’ordine pubblico dello Stato Membro richiesto), il sindacato della competenza di un giudice da parte di un giudice di un altro Stato Membro[5].

In tale contesto, il divieto del giudice rivolto ad una parte (sotto minaccia di sanzioni) di avviare o di continuare un’azione dinanzi ad altro organo giurisdizionale straniero ha l’effetto di pregiudicare la competenza di quest’ultimo giudice a risolvere la controversia. Infatti, con un’inibitoria nella forma di una anti-suit injunction, si vieta al richiedente di intentare un’azione in altro Stato Membro, verificandosi così un’ingerenza nella competenza del giudice straniero, incompatibile con il Regolamento stesso[6].

“Quasi” anti-suit injunctions e ordine pubblico dello Stato Membro richiesto

Nel caso concreto, però, la sentenza e le ordinanze della High Court potrebbero essere qualificate come “quasi” anti-suit injunctionsin quanto:

  • non sono direttamente rivolte ai giudici greci e non vietano neppure formalmente alla parte di proporre o di proseguire un’azione dinanzi all’ organo giurisdizionale straniero, ma
  • hanno l’effetto di dissuadere la Starlight e la OME, nonché i loro rappresentanti, dall’adire gli organi giurisdizionali greci o dal mantenere pendenti dinanzi ad essi un’azione avente lo stesso oggetto di quelle intraprese dinanzi agli organi giurisdizionali del Regno Unito, con una condanna (provvisoria) alle spese per il giudizio avviato, “celata” sotto forma di indennizzo (provvisionale).

Un provvedimento inibitorio dotato di tali effetti non sarebbe compatibile con il Regolamento 44/2001.

Il giudice dello Stato Membro richiesto, tuttavia, non può negare il riconoscimento di una decisione promanante da un altro Stato Membro per il solo motivo di ritenere che, in tale decisione, il diritto nazionale o quello dell’Unione sia stato non correttamenteapplicato[7]. Occorre valutare, però, se tale organo giurisdizionale di uno Stato Membro abbia il potere, nell’esame di un ricorso contro una dichiarazione di esecutività di una decisione di un organo giurisdizionale di un altro Stato Membro, di revocare quest’ultima poiché assimilabile ad una “quasi” anti-suit injunction, che, in linea di principio, è incompatibile con il Regolamento 44/2001.

A tal riguardo, secondo la Corte, è ammissibile ricorrere alla clausola dell’ordine pubblico di cui all’articolo 34, punto 1, del Regolamento 44/2001 nel caso in cui il riconoscimento della decisione pronunciata in un altro Stato Membro possa contrastare in modo inaccettabile con l’ordinamento dello Stato richiesto, in quanto tale decisione lederebbe un principio fondamentale. Più particolarmente, per rispettare il divieto di riesame nel merito della decisione pronunciata in un altro Stato Membro, la lesione dovrebbe costituire una violazione manifesta di una norma essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato Membro richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento[8]. La Corte sottolinea, inoltre, che l’errore manifesto potrebbe riguardare anche le regole di diritto dell’Unione: Infatti, incombe al giudice nazionale l’obbligo di garantire la tutela dei diritti stabiliti dall’ordinamento dell’Unione con la stessa efficacia di quelli nazionali.

Le “quasi” anti-suit injunctions, al contrario, vanno in senso opposto a principio di mutua fiducia che gli Stati Membri accordano ai rispettivi ordinamenti e istituzioni giudiziarie e sulla quale è fondato il sistema di competenze del Regolamento 44/2001[9]. Di conseguenza, il riconoscimento e l’esecuzione della sentenza e delle ordinanze della High Court possono risultare incompatibili con l’ordine pubblico dell’ordinamento greco, nella misura in cui sono idonei a pregiudicare il principio fondamentale secondo cui, nello spazio giuridico civile e commerciale europeo, ogni giudice è giudice della propria competenza.

Infine, un provvedimento di tale natura potrebbe pregiudicare anche l’accesso stesso alla giustizia: la concessione della vittoria delle spese sostenute dal convenuto per l’avvio del procedimento pendente, anche sotto forma di indennizzo pecuniario provvisionale, potrebbe rendere più gravosa la prosecuzione del giudizio da parte del richiedente.

Nel caso di specie, secondo la Corte, la sentenza e le ordinanze della High Court non rispettano il principio generale secondo cui ciascun giudice adito deve accertare la propria competenza a pronunciarsi sulla controversia sottopostagli[10], in quanto esercita un’influenza sulla prosecuzione del procedimento avviato in Grecia.

Alla luce della risposta fornita alla prima questione, la Corte ha ritenuto non necessario rispondere alla seconda, con la quale il giudice del rinvio chiedeva se, secondo l’articolo 34, punto 1, del Regolamento n. 44/2001, come interpretazione dalla Corte stessa, sussista un ostacolo al riconoscimento e all’esecuzione in Grecia della decisione e delle ordinanze in questione, emanate dai giudici britannici, laddove esse siano in contrasto manifesto e diretto rispetto all’ordine pubblico nazionale, sicché sia possibile, in tal caso, disapplicare il principio di diritto dell’Unione relativo alla libera circolazione delle decisioni giudiziarie.

Risposte della Corte

Di conseguenza, la Corte ha statuito che:

L’articolo 34, punto 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in combinato disposto con l’articolo 45, paragrafo 1, dello stesso, deve essere interpretato nel senso che il giudice di uno Stato membro può negare il riconoscimento e l’esecuzione della decisione di un giudice di un altro Stato membro per contrasto con l’ordine pubblico, allorché tale decisione ostacola la prosecuzione di un procedimento pendente dinanzi ad un altro giudice di tale primo Stato membro, concedendo ad una delle parti un indennizzo pecuniario provvisorio a titolo delle spese da essa sostenute per avviare tale procedimento, per il motivo che, da un lato, l’oggetto di detto procedimento è coperto da un accordo transattivo, lecitamente concluso e omologato dal giudice dello Stato membro che ha pronunciato la decisione suddetta, e che, dall’altro, il giudice del primo Stato membro, dinanzi al quale è stato avviato il procedimento controverso, difetta di competenza per effetto di una clausola attributiva di giurisdizione esclusiva”.

Osservazioni conclusive

In conclusione, con una pronuncia chiarificatrice nella controversa materia delle anti-suit injunctions, più familiari ai sistemi di common law che a quelli continentali, la Corte ha posto l’accento sul limite dell’ordine pubblico, con specifico riferimento alle norme essenziali dell’ordinamento dell’Unione (che si riflettono senza soluzione di continuità sull’ordinamento dello Stato membro adito), al fine di delimitare il perimetro dell’ingerenza di uno Stato Membro nel delicato (e limitatissimo) sindacato sulla competenza giurisdizionale di un altro Stato Membro. Il limite al sindacato giurisdizionale viene in rilievo sia nella fase di riconoscimento ed esecuzione delle “quasi” anti-suit injunctions sia, in realtà, nella fase della pronuncia dell’inibitoria. Il provvedimento emesso, infatti, correrebbe il rischio di venire qualificato come “quasi” anti-suit injunction a seconda del tipo e grado di ingerenza esercitata sul procedimento in corso nell’altro Stato Membro. È una delle prime pronunce della CGUE in merito a questa tipologia “soft” di inibitoria, e sarà interessante vedere, caso per caso, quali inibitorie verranno qualificati come “quasi” anti-suit injunctions ed a quali condizioni le stesse siano compatibili con i principi fondamentali dell’Unione.

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[1] GUUE L 12 del 16.01.2001.

[2] L’articolo 6 CEDU, intitolato “Diritto ad un giusto processo”, al paragrafo 1 dispone: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia…”.

[3] L’articolo 34 del Regolamento n. 44/2001 al punto 1) dispone: “… Le decisioni non sono riconosciute: 1) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto…”.

[4] L’articolo 45 del Regolamento n. 44/2001 al paragrafo 1 dispone: “… Il giudice davanti al quale è stato proposto un ricorso ai sensi degli articoli 43 o 44 rigetta o revoca la dichiarazione di esecutività solo per uno dei motivi contemplati dagli articoli 34 e 35. Il giudice si pronuncia senza indugio…”.

[5] CGUE 10.02.2009, Causa C‑185/07, Allianz e Generali Assicurazioni Generali, punto 29; CGUE 27.04.2004, Causa C‑159/02, Turner, punto 26.

[6] CGUE 13.05.2015, Causa C‑536/13, Gazprom, punto 32; CGUE 10.02.2009, Causa C‑185/07, Allianz e Generali Assicurazioni Generali, punto 34; CGUE 27.04.2004, Causa C‑159/02, Turner, punto 27.

[7] CGUE 16.01.2019, Causa C‑386/17, Liberato, punto 54; CGUE 28.04.2009, Causa C‑420/07, Apostolides, punto 60.

[8] CGUE 16.07.2015, Causa C‑681/13, Diageo Brands, punto 44; CGUE 28.03.2000, Causa C‑7/98, Krombach, punto 37.

[9] CGUE 10.02.2009, Causa C‑185/07, Allianz e Generali Assicurazioni Generali, punto 30.

[10] CGUE 13.05.2015, Causa C‑536/13, Gazprom, punto 33; CGUE 10.02.2009, Causa C‑185/07, Allianz e Generali Assicurazioni Generali, punto 29.