TERMINE DECADENZIALE E PROCEDIMENTI ANTITRUST. IL RINVIO DEL TAR LAZIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

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In data 1o agosto 2023, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale relativa alla compatibilità dell’articolo 14 della Legge 24 novembre 1981, n. 689[1] con l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

La questione era stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la Caronte & Tourist s.p.a. (“Caronte”) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) in merito all’annullamento del provvedimento n. 30086/2022[2], con cui quest’ultima aveva accertato l’esistenza di un abuso di posizione dominante da parte della Caronte mediante l’imposizione di prezzi eccessivi per il servizio di traghettamento di veicoli nello stretto di Messina. Di conseguenza, la Caronte aveva proposto ricorso dinnanzi al TAR Lazio deducendo, tra le altre cose, la violazione dell’articolo 14[3] della Legge 689/1981, in quanto l’AGCM avrebbe avviato il procedimento per l’accertamento dell’illecito antitrust oltre il termine perentorio di 90 giorni ivi previsto, con la conseguente decadenza dal potere di accertare la violazione in questione.

Il TAR Lazio ha preliminarmente ricordato che, nelle procedure istruttorie antitrust, al fine di non incorrere nella decadenza, una volta completata la fase pre-istruttoria l’AGCM è tenuta a contestare, entro 90 giorni, la violazione mediante la notifica dell’atto di apertura del procedimento, di talché il dies a quo non coincide necessariamente con la prima segnalazione dell’illecito, e bensì con la conclusione dell’accertamento svolto nella fase pre-istruttoria. Di conseguenza, i 90 giorni decorrono una volta completata la raccolta degli elementi fattuali necessari a contestare l’illecito[4]. Il dies a quo fissato per determinare il suddetto termine, inoltre, non è individuabile ex ante in maniera inequivocabile, essendo sempre dipendente dalla completezza degli elementi indicati nella segnalazione ovvero dagli atti acquisiti immediatamente dopo. Ove dedotta la censura in sede di impugnazione giurisdizionale, pertanto, il giudice deve procedere ad un giudizio di prognosi postuma, immedesimandosi nella posizione dell’AGCM e verificando se gli elementi disponibili in un certo momento fossero o meno sufficienti a formulare la contestazione[5]. L’eventuale sforamento del termine di contestazione, infine, si traduce nell’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento dell’AGCM. Sebbene, infatti, la principale conseguenza dell’accertamento dell’infrazione sia l’intimazione a rimuovere la stessa, l’unicità dell’atto e, soprattutto, del procedimento determinano che il tardivo avvio di quest’ultimo infici inevitabilmente il provvedimento finale adottato. Di conseguenza, la pronuncia del giudice investe sia la sanzione pecuniaria sia eventuali ulteriori disposizioni, ponendo sostanzialmente nel nulla l’operato dell’AGCM[6].

Tutto ciò premesso, il TAR Lazio ha ritenuto dirimente, ai fini della risoluzione della controversia, sciogliere il dubbio circa la compatibilità con il diritto europeo dell’applicazione dell’articolo 14 della Legge 689/1981 alle procedure antitrust condotte dall’AGCM. L’articolo 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287[7], infatti, ha trasposto nell’ordinamento nazionale l’articolo 102 TFUE, essendo le due disposizioni sostanzialmente equivalenti nella portata precettiva. Di conseguenza, pur trattandosi di un abuso di posizione dominante limitato al mercato nazionale, sussiste un interesse dell’Unione alla corretta applicazione delle disposizioni di legge per la repressione degli illeciti anticoncorrenziali[8]. Mentre l’articolo 14 della Legge 689/1981 impone all’AGCM di avviare il procedimento istruttorio entro un termine decadenziale di 90 giorni, inoltre, in relazione alle procedure antitrust condotte a livello europeo la Corte di Giustizia ha statuito l’obbligo per la Commissione di concludere il procedimento entro un termine ragionevole[9], ciò che ha reso necessario chiarire se tale disarmonia nell’avvio delle indagini antitrust in ragione del mercato (nazionale o comune) nel quale si sviluppa l’illecito sia compatibile o meno con il diritto europeo.

Di conseguenza, il TAR Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 102 TFUE, letto alla luce dei principi di tutela della concorrenza ed effettività dell’azione amministrativa, debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale, quale quella discendente dall’applicazione dell’articolo 14 della Legge 689/1981 che impone all’AGCM di avviare il procedimento istruttorio per l’accertamento di un abuso di posizione dominante entro il termine decadenziale di 90 giorni, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza degli elementi essenziali della violazione, potendo questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell’illecito.

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[1] Legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale, GU n. 329 del 30.11.1981.

[2] AGCM Provvedimento n. 30086 del 29.03.2022, Caso A541 – Servizi traghettamento veicoli stretto di Messina.

[3] L’articolo 14 della Legge 689/1981, intitolato “Contestazione e notificazione”, al paragrafo 2 dispone: “Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento…”.

[4] Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 maggio 2020, n. 3572.

[5] Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1761.

[6] Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 febbraio 2022, n. 834.

[7] Legge 10 ottobre 1990, n. 287, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, GU n.240 del 13.10.1990. L’articolo 3 della Legge, denominato “Abuso di posizione dominante”, dispone: “È vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato:

a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
d) subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi…”.

[8] CGUE 11.12.2007, Causa C-280/06, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri.

[9] CGUE 15.10.2002, Causa C-254/99, ICI/Commissione.