NE BIS IN IDEM. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA SANZIONE PENALE IRROGATA IN UNO STATO MEMBRO DOPO L’ADOZIONE DI UNA SANZIONE RELATIVA A PRATICHE COMMERCIALI SLEALI IN UN ALTRO STATO MEMBRO MA DIVENUTA DEFINITIVA PRIMA DI QUEST’ULTIMA

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In data 14 settembre 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-27/22, Volkswagen Group Italia e Volkswagen Aktiengesellschaft, sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS)[1] nonché dell’articolo 3, paragrafo 4, e dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera e), della Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la Direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le Direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il Regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio[2]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Volkswagen Group Italia SpA (“VWGI”) e la Volkswagen Aktiengesellschaft (“VWAG”) e, dall’altro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in merito alla decisione di quest’ultima di irrogare a dette società una sanzione pecuniaria per pratiche commerciali sleali.

Questi i fatti.

In data 4 agosto 2016, l’AGCM aveva sanzionato in solido la VWGI e la VWAG con un’ammenda pari a 5 milioni di euro per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette consistenti, da un lato, nel commercializzare, a partire dal 2009, veicoli diesel nei quali era stato installato un software che consentiva di alterare la misurazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto (NOx) di questi ultimi durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti nell’ambito del procedimento di omologazione e, dall’altro, nel diffondere messaggi pubblicitari che, nonostante l’installazione di tale software, contenevano informazioni relative all’attenzione asseritamente prestata da tali società al livello delle emissioni inquinanti nonché all’asserita conformità dei veicoli in questione alle norme di legge in materia di emissioni. Di conseguenza, la VWGI e la VWAG avevano proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio.

Mentre tale ricorso era ancora pendente, tuttavia, la Procura di Braunschweig (Germania) aveva irrogato alla VWAG una sanzione pecuniaria di importo pari a circa 1 miliardo euro per aver colposamente violato le disposizioni dell’Ordnungswidrigkeitengesetz(legge in materia di illeciti amministrativi) relative all’obbligo di vigilanza sull’attività delle imprese per quanto riguarda lo sviluppo del suddetto software e la sua installazione in diversi milioni di veicoli venduti in tutto il mondo. Tale decisione era divenuta definitiva in data 13 giugno 2018, in quanto la VWAG aveva versato la sanzione pecuniaria ivi prevista rinunciando formalmente a proporre ricorso, di talché, nell’ambito del procedimento pendente dinanzi al TAR Lazio, la VWGI e la VWAG avevano dedotto l’illegittimità sopravvenuta della decisione dell’AGCM per violazione del principio del ne bis in idem. Poiché il TAR Lazio, tuttavia, aveva respinto il loro ricorso, la VWGI e la VWAG avevano interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (“giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 50[3] della Carta debba essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata ad una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa da tale normativa, costituisca una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione.

La Corte ha preliminarmente ricordato che, nell’ambito della valutazione della natura penale dei procedimenti e delle sanzioni del caso concreto, sono rilevanti tre criteri, consistenti i) nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, ii) nella sua natura, e iii) il nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere[4].

Per quanto riguarda il primo criterio, sebbene la sanzione e il procedimento per la sua irrogazione siano qualificati come amministrativi dal codice del consumo[5], l’articolo 50 della Carta non si applica esclusivamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come penali dal diritto nazionale, e bensì si estende anche, a prescindere da una tale qualificazione nel diritto interno, a procedimenti e sanzioni che debbano considerarsi come aventi natura penale in base agli altri due criteri[6]. A tale riguardo, il secondo di essi implica di verificare che la sanzione contemplata persegua, in particolare, una finalità repressiva, indipendentemente dalla circostanza che essa persegua anche una finalità preventiva, in quanto fa parte della natura stessa delle sanzioni penali l’essere volte tanto alla prevenzione quanto alla repressione di condotte illecite[7]. Ciò che avviene nel caso concreto, in quanto la sanzione pecuniaria varia a seconda della gravità e della durata dell’illecito in questione, dimostrando così una certa gradualità e progressività nella determinazione delle sanzioni che possono essere irrogate. Per quanto riguarda il terzo criterio, infine, il grado di severità viene valutato in funzione della pena massima prevista dalle disposizioni pertinenti[8]. Di conseguenza, una sanzione amministrativa pecuniaria che può raggiungere un importo di 5 milioni di euro presenta un elevato grado di severità, essendo pertanto di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta.

Con la seconda questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata ad una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato Membro, anche se tale condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

La Corte ha preliminarmente ricordato che l’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta alla una duplice condizione che, da un lato, vi sia una decisione definitiva anteriore e che, dall’altro, gli stessi fatti siano oggetto tanto della decisione anteriore quanto del procedimento o della decisione successivi[9].

Per quanto riguarda la prima condizione, affinché si possa ritenere che una decisione giudiziaria abbia statuito in via definitiva sui fatti sottoposti ad un secondo procedimento è necessario non solo che essa sia divenuta definitiva, e bensì anche che sia stata pronunciata previa una valutazione nel merito della causa[10]. Nel caso concreto, la decisione tedesca era divenuta definitiva il 13 giugno 2018, vale a dire successivamente a quella dell’AGCM. Di conseguenza, sebbene tale decisione non potesse essere invocata per opporsi al procedimento condotto dall’AGCM e alla sua decisione fintantoché non fosse divenuta definitiva, la situazione era mutata nel momento in cui essa era divenuta definitiva mentre quella dell’AGCM non lo era ancora. La decisione tedesca, inoltre, era stata emessa a seguito di una valutazione relativa al merito del caso, di talché il procedimento relativo alla sua adozione si era concluso con una decisione definitiva.

Per quanto riguarda la seconda condizione, il criterio rilevante ai fini della valutazione della sussistenza di uno stesso reato è quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto all’assoluzione o alla condanna definitiva dell’interessato[11]. La qualificazione giuridica dei fatti in diritto nazionale e l’interesse giuridico tutelato, inoltre, non sono rilevanti ai fini della constatazione della sussistenza di uno stesso reato, in quanto la portata della tutela conferita all’articolo 50 della Carta non può variare da uno Stato Membro all’altro[12]. Il principio del ne bis in idem, infine, può trovare applicazione solo qualora i fatti oggetto dei due procedimenti o delle due sanzioni in questione siano identici, non essendo perciò sufficiente che essi siano analoghi[13]. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio dovesse dichiarare che i fatti oggetto delle due procedure del caso concreto sono identici, il cumulo delle sanzioni irrogate alla VWAG costituirebbe una limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta.

Con la terza questione, infine, il giudice del rinvio chiedeva a quali condizioni possano essere giustificate limitazioni all’applicazione del principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta.

La Corte ha preliminarmente ricordato che un eventuale cumulo di procedimenti e sanzioni rispetta il contenuto essenziale dell’articolo 50 della Carta a condizione che le normative nazionali in questione non consentano di perseguire e sanzionare i medesimi fatti a titolo dello stesso reato o al fine di perseguire lo stesso obiettivo, e bensì prevedano unicamente la possibilità di un cumulo ai sensi di normative diverse[14].

Tutto ciò premesso, per quanto riguarda la questione se la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem risponda ad un obiettivo di interesse generale conformemente all’articolo 52, paragrafo 1[15], della Carta, le due normative nazionali del caso concreto perseguono obiettivi legittimi e distinti. Mentre, infatti, la disposizione nazionale in forza della quale è stata adottata la decisione tedesca mira a far sì che le imprese e i loro dipendenti agiscano nel rispetto della legge, sanzionando pertanto l’inadempimento colposo dell’obbligo di vigilanza nel contesto di un’attività imprenditoriale, le norme del codice del consumo applicate dall’AGCM recepiscono la Direttiva 2005/29 e mirano a conseguire un livello elevato di tutela dei consumatori, contribuendo così al corretto funzionamento del mercato interno.

Il principio di proporzionalità, inoltre, richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto dalla normativa nazionale non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi da essa perseguiti, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva, e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti[16]. A tale riguardo, le autorità pubbliche possono legittimamente optare per risposte giuridiche complementari a fronte di determinati comportamenti nocivi per la società mediante diversi procedimenti, che formino un insieme coerente, in modo da trattare sotto i suoi diversi aspetti il problema sociale in questione, purché tali risposte giuridiche combinate non rappresentino un onere eccessivo per la persona coinvolta. Di conseguenza, il fatto che due procedimenti perseguano obiettivi di interesse generale distinti, che è legittimo tutelare cumulativamente, può essere preso in considerazione, nell’ambito dell’analisi della proporzionalità di un cumulo di procedimenti e sanzioni, quale fattore diretto a giustificarlo, a condizione che tali procedimenti siano complementari e che l’onere supplementare rappresentato da detto cumulo possa così essere giustificato dai due obiettivi perseguiti[17]. Più particolarmente, per essere ritenuto giustificato un cumulo di procedimenti o sanzioni per gli stessi fatti deve soddisfare tre condizioni, ossia i) che esso non costituisca un onere eccessivo per l’interessato, ii) che esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo, e iii) che i procedimenti in questione siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.

Nel caso concreto, la decisione dell’AGCM prevede una sanzione pecuniaria di 5 milioni di euro, che si aggiungerebbe a quella di 1 miliardo irrogata alla VWAG con la decisione tedesca. Tenuto conto del fatto che l’impresa aveva accettato quest’ultima sanzione pecuniaria, pertanto, quella irrogata dall’AGCM non aveva comportato che il cumulo di tali sanzioni rappresentasse un onere eccessivo per la VWAG. Secondo la Corte, inoltre, nulla consente di ritenere che la VWAG non abbia potuto prevedere che la condotta in questione potesse comportare procedimenti e sanzioni in almeno due Stati Membri, che fossero fondati o sulle norme applicabili alle pratiche commerciali sleali o su altre norme. Nessun coordinamento, infine, pare aver avuto luogo tra la procura tedesca e l’AGCM, sebbene i procedimenti in questione sembrino essere stati condotti in parallelo per alcuni mesi e che la procura tedesca fosse a conoscenza della decisione dell’AGCM nel momento in cui aveva adottato la propria decisione.

Di conseguenza, la Corte ha statuito che:

L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, costituisce una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione, quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità.

Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso autorizza la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 di tale Carta, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, purché le condizioni previste all’articolo 52, paragrafo 1, di detta Carta, come precisate dalla giurisprudenza, siano soddisfatte, vale a dire qualora, in primo luogo, tale cumulo non rappresenti un onere eccessivo per l’interessato, in secondo luogo, esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo e, in terzo luogo, i procedimenti di cui trattasi siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo”.

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[1] Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, GUUE L 239 del 22.09.2000.

[2] GUUE L 149 dell’11.06.2005.

[3] L’articolo 50 della Carta, intitolato “Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, dispone: “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge…”.

[4] CGUE 04.05.2023, Causa C‑97/21, MV – 98, punto 38.

[5] L’articolo 27 del codice del consumo al paragrafo 9 dispone: “… Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’AGCM dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 000 euro a 5 000 000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso di pratiche commerciali scorrette ai sensi dell’articolo 21, commi 3 e 4, la sanzione non può essere inferiore a 50 000 euro…”.

[6] CGUE 04.05.2023, Causa C‑97/21, MV – 98, punto 41.

[7] Ibidem, punto 42.

[8] Ibidem, punto 46.

[9] CGUE 22.03.2022, Causa C‑117/20, bpost, punto 28.

[10] Ibidem, punto 29.

[11] Ibidem, punto 33.

[12] Ibidem, punto 34.

[13] Ibidem, punto 36.

[14] Ibidem, punto 43.

[15] L’articolo 52 della Carta, intitolato “Portata e interpretazione dei diritti e dei principi”, al paragrafo 1 dispone: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui…”.

[16] CGUE 22.03.2022, Causa C‑117/20, bpost, punto 48.

[17] Ibidem, punto 49.