In data 29 giugno 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-211/22, Super Bock Bebidas, sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) nonché dell’articolo 4, lettera a), del Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate[1] e degli orientamenti sulle restrizioni verticali[2]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Super Bock Bebidas SA (“Super Bock”), una società con sede in Portogallo la cui attività principale si basa sui mercati della birra e dell’acqua in bottiglia, AN e BQ, rispettivamente membro del consiglio di amministrazione della Super Bock e direttore del suo dipartimento commerciale per le vendite nel canale di distribuzione “HoReCa”, e, dall’altro, l’Autoridade da Concorrência (autorità portoghese della concorrenza) in merito alla legittimità della decisione con cui quest’ultima constatava che la Super Bock, AN e BQ avevano commesso un’infrazione alle norme in materia di concorrenza e infliggeva loro ammende a tale titolo.
Questi i fatti.
Ai fini della distribuzione delle bevande attraverso il canale HoReCa in Portogallo, la Super Bock aveva stipulato accordi di distribuzione esclusiva con distributori indipendenti, i quali rivendevano le bevande così acquistate nella quasi totalità del territorio portoghese. Nel periodo compreso tra il 15 maggio 2006 e il 23 gennaio 2017, tuttavia, la Super Bock aveva fissato e imposto in modo regolare, generalizzato e senza alcun cambiamento alla totalità di tali distributori le condizioni commerciali che questi dovevano rispettare al momento della rivendita dei prodotti che essa vendeva loro. Più particolarmente, la direzione vendite della Super Bock approvava, di regola ogni mese, un listino prezzi minimi di rivendita, che trasmetteva ai distributori. I responsabili di rete o di mercato in seno alla Super Bock trasmettevano poi tali prezzi ai distributori, che a loro volta avevano l’obbligo di comunicare a quest’ultima i dati relativi alla rivendita. In caso di mancato rispetto dei prezzi, inoltre, i distributori erano esposti, secondo le condizioni commerciali stabilite dalla Super Bock, ad azioni quali la revoca degli incentivi finanziari, consistenti in sconti commerciali sull’acquisto dei prodotti e nel rimborso degli sconti da loro applicati sulla rivendita, nonché la revoca delle forniture e della ricostituzione delle scorte.
Di conseguenza, l’autorità garante della concorrenza aveva sanzionato la Super Bock, AN e BQ in quanto tale pratica di fissazione dei prezzi e delle altre condizioni applicabili alla rivendita di prodotti da parte di una rete di distributori indipendenti nel canale di distribuzione HoReCa nella quasi totalità del territorio portoghese costituiva una violazione delle norme in materia di concorrenza. Poiché tale decisione era stata confermata dal Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza), la Super Bock, AN e BQ avevano interposto appello dinanzi al Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di rivolgere alla Corte di Giustizia sei questioni pregiudiziali.
Con la prima e la quarta questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita costituisce una “restrizione della concorrenza per oggetto” può essere effettuata senza esaminare in via preliminare se tale accordo riveli un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza o se si possa presumere che esso presenti, di per sé, un siffatto grado di dannosità.
La Corte ha preliminarmente ricordato che, per ricadere nel divieto sancito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo deve avere “per oggetto o per effetto” di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno. Più particolarmente, l’alternatività di tale condizione rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo[3], di talché laddove ne venga dimostrata la natura anticoncorrenziale non è necessario indagarne gli effetti sulla concorrenza[4]. A tale riguardo, la nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto” deve essere interpretata restrittivamente, e può essere applicata solo ad alcuni tipi di coordinamento tra imprese che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario[5]. La circostanza che un accordo costituisca un accordo verticale, inoltre, non esclude la possibilità che esso determini una restrizione della concorrenza per oggetto. Se è vero, infatti, che gli accordi verticali spesso sono, per loro natura, meno dannosi per la concorrenza di quelli orizzontali, anch’essi possono però, in determinate circostanze, avere un potenziale restrittivo particolarmente elevato[6]. Di conseguenza, il criterio giuridico essenziale per determinare se un accordo, sia esso orizzontale o verticale, comporti una restrizione della concorrenza per oggetto risiede nel rilievo che esso presenta, di per sé, un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza[7].
Al fine di valutare se tale criterio sia soddisfatto, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere e al contesto economico e giuridico nel quale esso si colloca, prendendo in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti nonché le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione[8]. Quando le parti dell’accordo deducono effetti favorevoli alla concorrenza collegati a quest’ultimo, inoltre, tali elementi devono essere presi in considerazione in quanto parte del contesto di tale accordo, di talché, a condizione che siano provati, pertinenti, specifici all’accordo in questione e sufficientemente significativi, essi potrebbero far sorgere un ragionevole dubbio sul fatto che l’accordo sia sufficientemente dannoso per la concorrenza[9]. Il giudice del rinvio, infine, dovrà anche tenere conto del fatto che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita può rientrare nella categoria delle restrizioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 4, lettera a) del Regolamento n. 330/2010[10].
Con la terza e la quinta questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che sussiste un “accordo”, ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati.
La Corte ha preliminarmente ricordato che affinché sussista un “accordo” ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE è sufficiente che le imprese in questione abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo[11], di talché un accordo non può fondarsi sull’espressione di una politica puramente unilaterale di una parte di un contratto di distribuzione[12]. Un atto o un comportamento apparentemente unilaterale, tuttavia, costituisce un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE qualora sia l’espressione della comune volontà di almeno due parti, non essendo di per sé determinate il modo con cui essa si manifesta[13]. Più particolarmente, la comune volontà delle parti può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione in questione, laddove esso contenga un invito esplicito a rispettare i prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore a imporre tali prezzi, sia dal comportamento delle parti e dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, dei distributori ad un invito a rispettare i prezzi minimi di rivendita[14].
Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101 TFUE debba essere interpretato nel senso che l’esistenza di un “accordo”, ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata unicamente mediante prove dirette.
In mancanza di norme dell’Unione relative ai principi che disciplinano la valutazione delle prove e il grado di intensità richiesto nei procedimenti nazionali ai sensi dell’articolo 101 TFUE, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato Membro il compito di stabilirle, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione[15]. Il principio di effettività, inoltre, esige che la prova di una violazione delle norme europee in materia di concorrenza possa essere apportata non solo mediante prove dirette, e bensì anche attraverso indizi, purché questi ultimi siano oggettivi e concordanti[16]. Di conseguenza, l’esistenza di un “accordo” ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE vertente su prezzi minimi di rivendita può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, e bensì anche in base a coincidenze e indizi concordanti, qualora se ne possa dedurre che un fornitore ha invitato i suoi distributori a seguire tali prezzi e che questi ultimi li hanno in pratica rispettati.
Con la sesta questione, infine, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità del territorio di uno Stato Membro impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati Membri.
Affinché sia ritenuta soddisfatta la condizione secondo cui un accordo, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, deve essere tale da pregiudicare il commercio fra gli Stati Membri, è necessario che, in base ad un complesso di elementi di fatto o di diritto, appaia sufficientemente probabile che esso sia atto ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale e non insignificante sui flussi di scambi tra Stati Membri in un modo tale da far temere che esso possa nuocere al conseguimento di un mercato unico. Tale influenza non deve, inoltre, essere insignificante[17]. Più particolarmente, un impatto sugli scambi tra gli Stati Membri risulta dalla combinazione di più fattori che di per sé non sarebbero necessariamente determinanti[18].
A tale proposito, la circostanza che un’intesa abbia per oggetto soltanto la commercializzazione dei prodotti in un unico Stato Membro non è sufficiente ad escludere che il commercio tra Stati Membri possa essere pregiudicato. Un’intesa che si estende a tutto il territorio di uno Stato Membro, infatti, ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal TFUE[19]. Analogamente, un’intesa che copre solo una parte del territorio di uno Stato Membro può, in determinate circostanze, essere in grado di pregiudicare il commercio tra Stati Membri[20]. Di conseguenza, spetta al giudice del rinvio determinare se, alla luce del contesto economico e giuridico dell’accordo in questione, quest’ultimo sia in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati Membri.
Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che:
“L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporta una restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere effettuata solo dopo aver stabilito che tale accordo rivela un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, degli obiettivi che esso mira a raggiungere nonché dell’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale esso si inserisce.
L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati, nei limiti in cui l’imposizione di tali prezzi da parte del fornitore e il loro rispetto da parte dei distributori siano l’espressione della comune volontà di tali parti. Tale comune volontà può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, qualora esso contenga un invito esplicito a rispettare prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore ad imporre siffatti prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita.
L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con il principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che: l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche mediante indizi, oggettivi e concordanti, da cui si può dedurre l’esistenza di un siffatto accordo.
L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro non impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri”.
[1] GUUE L 102 del 23.04.2010.
[2] GUUE C 130 del 19.05.2010.
[3] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punti 54-55; CGUE 26.11.2015, Causa C‑345/14, Maxima Latvija, punto 16.
[4] CGUE 20.01.2016, Causa C‑373/14 P, Toshiba Corporation/Commissione, punto 25.
[5] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punto 60; CGUE 26.11.2015, Causa C‑345/14, Maxima Latvija, punto 18.
[6] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punto 61; CGUE 14.03.2013, Causa C‑32/11, Allianz Hungária Biztosító e a., punto 43.
[7] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punto 59; CGUE 11.09.2014, Causa C‑67/13 P, CB/Commissione, punto 57.
[8] CGUE 14.03.2013, Causa C‑32/11, Allianz Hungária Biztosító e a., punto 36.
[9] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punti 103-107.
[10] L’articolo 4 del Regolamento n. 330/2010, intitolato “Restrizioni che eliminano il beneficio dell’esenzione per categoria — restrizioni fondamentali”, alla lettera a) dispone: “… L’esenzione di cui all’articolo 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto quanto segue:
a) la restrizione della facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni esercitate o incentivi offerti da una delle parti…”.
[11] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punto 94.
[12] CGUE 06.01.2004, Cause riunite C‑2/01 P e C‑3/01 P, BAI e Commissione/Bayer, punti 101-102.
[13] CGUE 13.07.2006, Causa C‑74/04 P, Commissione/Volkswagen, punto 37.
[14] CGUE 13.07.2006, Causa C‑74/04 P, Commissione/Volkswagen, punti 39-46; CGUE 06.01.2004, Cause riunite C‑2/01 P e C‑3/01 P, BAI e Commissione/Bayer, punti 100-102.
[15] CGUE 21.01.2016, Causa C‑74/14, Eturas e a., punti 30-32.
[16] Ibidem, punti 36-37.
[17] CGUE 16.07.2015, Causa C‑172/14, ING Pensii, punto 48; CGUE 11.07.2013, Causa C‑439/11 P, Ziegler/Commissione, punto 92.
[18] CGUE 11.07.2013, Causa C‑439/11 P, Ziegler/Commissione, punto 93.
[19] CGUE 16.07.2015, Causa C‑172/14, ING Pensii, punto 49; CGUE 26.11.1975, Causa 73/74, Groupement des fabricants de papiers peints de Belgique e a./Commissione, punti 25-26.
[20] CGUE 03.12.1987, Causa 136/86, Aubert, punto 18.