In data 8 giugno 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-468/20, Fastweb e altri, sull’interpretazione degli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), della Direttiva 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (c.d. “Direttiva accesso”)[1], dell’articolo 3 della Direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (c.d. “Direttiva autorizzazioni”)[2], dell’articolo 8, paragrafi 2 e 4, della Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (c.d. “Direttiva quadro”)[3], degli articoli 20, 21 e 22 della Direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (c.d. “Direttiva servizio universale”)[4] nonché dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di controversie tra quattro operatori di telefonia fissa e mobile operanti in Italia, ossia la Fastweb SpA (“Fastweb”), la Tim SpA (“Tim”), la Vodafone Italia SpA (“Vodafone”) e la Wind Tre SpA (“Wind”), e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) in merito alla decisione di quest’ultima di imporre una cadenza minima, da un lato, per il rinnovo delle offerte commerciali e, dall’altro, per la fatturazione dei servizi di telefonia fissa e mobile.
Questi i fatti.
Nel 2016, l’AGCOM aveva avviato una procedura di consultazione pubblica nel settore dei servizi di comunicazione elettronica in Italia, nel corso della quale aveva evidenziato criticità riguardanti, da un lato, la conoscibilità in modalità gratuita del credito residuo nell’ambito della telefonia mobile e, dall’altro, la cadenza della fatturazione nell’ambito della telefonia fissa. A seguito di tale procedura, l’AGCOM aveva adottato la Delibera n. 121/17/CONS che prevedeva che i) la cadenza di rinnovo delle offerte di telefonia fissa e quella di fatturazione di tali servizi era fissata su base mensile o suoi multipli, ii) la cadenza per la telefonia mobile non poteva essere inferiore a quattro settimane, e iii) gli operatori dì telefonia mobile che adottavano cadenze di rinnovo delle offerte e della fatturazione su base diversa da quella mensile avrebbero dovuto informare prontamente l’utente, tramite l’invio di un SMS, dell’avvenuto rinnovo dell’offerta.
La Fastweb, la Tim, la Vodafone e la Wind avevano impugnato la delibera dell’AGCOM dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che tuttavia aveva respinto i loro ricorsi. Di conseguenza, le ricorrenti avevano interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se gli articoli 49[5] e 56[6] TFUE nonché l’articolo 8, paragrafi 2 e 4[7], della Direttiva quadro e gli articoli da 20[8] a 22[9] della Direttiva servizio universale, in combinato disposto con i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che attribuisce all’autorità nazionale di regolamentazione (ANR) il potere di adottare una decisione che, da un lato, impone agli operatori di servizi di telefonia mobile di praticare una cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e di fatturazione che non siano inferiori a quattro settimane e, dall’altro, impone agli operatori di servizi di telefonia fissa e di servizi ad essi collegati una cadenza di rinnovo di tali offerte e di fatturazione su base mensile o suoi multipli.
La Corte ha preliminarmente ricordato che poiché la Direttiva quadro non intende stabilire un elenco specifico ed esaustivo dei poteri che gli Stati Membri possono attribuire alle ANR al fine di garantire lo svolgimento delle loro funzioni, queste ultime dispongono di un ampio potere che consente loro di valutare caso per caso la necessità di regolamentare un mercato in funzione della singola situazione[10]. In tali circostanze, una normativa nazionale che attribuisce all’ANR, al fine di tutelare gli utenti finali, il potere di adottare una decisione che garantisca, in particolare, una migliore trasparenza e comparabilità delle offerte commerciali e della fatturazione dei servizi di telefonia contribuisce alla realizzazione degli obiettivi della Direttiva quadro di protezione degli interessi di questi ultimi nonché di promuovere la diffusione di informazioni chiare sulle tariffe per le comunicazioni elettroniche accessibili al pubblico. Di conseguenza, il potere di disciplinare la cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e quella di fatturazione dei servizi di telefonia può rientrare, in linea di principio, tra quelli di cui devono disporre le ANR al fine di poter svolgere le funzioni e conseguire gli obiettivi assegnati dalla Direttiva quadro.
Per essere conforme a tale direttiva, tuttavia, l’esercizio di tale potere deve essere proporzionato agli obiettivi così perseguiti e rispettare il principio della parità di trattamento. Più particolarmente, il principio di proporzionalità implica che la misura in questione sia idonea ad assicurare, in modo coerente e sistematico, il conseguimento degli obiettivi perseguiti e che non vada oltre quanto necessario per il loro raggiungimento, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti[11]. A tale proposito, l’esercizio da parte dell’AGCOM del potere, attribuito dal diritto italiano, di imporre una cadenza minima tanto per il rinnovo delle offerte commerciali quanto per la fatturazione dei servizi di comunicazione elettronica è idoneo a rimediare alle criticità rilevate da quest’ultima in occasione della consultazione pubblica che aveva preceduto la Delibera n. 121/17/CONS. La fissazione di una cadenza uniforme, infatti, consente agli utenti finali di comparare le diverse offerte commerciali e di avere piena conoscenza degli oneri finanziari derivanti dai contratti loro proposti, evitando così di creare la parvenza di prezzi meno elevati derivante da un calcolo effettuato sulla base di un dato temporale inferiore a quello consolidato nella prassi. Le misure oggetto della delibera, inoltre, sono le meno restrittive per garantire in modo efficace la protezione dei consumatori rispetto alle criticità individuate dall’AGCOM.
Il principio della parità di trattamento, invece, impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato[12]. Più particolarmente, la comparabilità delle situazioni ai fini dell’accertamento di una violazione di tale principio deve essere valutata alla luce dell’oggetto e dello scopo della normativa nazionale in questione[13]. Nel caso concreto, dato che la normativa nazionale in questione è volta a consentire all’ANR di garantire la protezione dei consumatori assicurando una base uniforme per la comparazione delle offerte commerciali e consentendo un migliore controllo delle spese generate dal servizio ricevuto, le differenze dovute alle caratteristiche delle diverse categorie di servizi in questione sembrano dimostrare una mancanza di comparabilità delle situazioni di tali categorie di servizi, di talché la Delibera n. 121/17/CONS sembra trattare in modo diverso situazioni diverse rispettando così il principio della parità di trattamento.
Per quanto riguarda, infine, la compatibilità della normativa nazionale italiana con gli articoli 49 e 56 TFUE, la Corte ha rilevato che le misure comprese nella Delibera n. 121/17/CONS si applicano senza distinzione del luogo di stabilimento dei fornitori di servizi di telefonia. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Fastweb, inoltre, la normativa di uno Stato Membro non costituisce una restrizione ai sensi del TFUE per il solo fatto che altri Stati Membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio[14]. Di conseguenza, l’esistenza di una restrizione ai sensi del TFUE non può essere dedotta dal semplice fatto che le limitazioni introdotte con la Delibera n. 121/17/CONS non esistono in altri Stati Membri.
Di conseguenza, la Corte ha statuito che:
“Gli articoli 49 e 56 TFUE nonché l’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, paragrafo 2, lettera a), paragrafo 4, lettere b) e d), e paragrafo 5, lettera b), della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, nonché gli articoli da 20 a 22 della direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, in combinato disposto con i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che attribuisce all’autorità nazionale di regolamentazione il potere di adottare una decisione che, da un lato, impone agli operatori di servizi di telefonia mobile di praticare una cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e una cadenza di fatturazione che non siano inferiori a quattro settimane e, dall’altro, impone agli operatori di servizi di telefonia fissa e di servizi ad essi collegati una cadenza di rinnovo di tali offerte e una cadenza di fatturazione su base mensile o suoi multipli, a condizione che le due categorie di servizi di cui trattasi si trovino, alla luce dell’oggetto e dello scopo di detta normativa nazionale, in situazioni diverse”.
[1] GUUE L 108 del 24.04.2002.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] L’articolo 49 TFUE dispone: “… Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali…”.
[6] L’articolo 56 TFUE dispone: “… Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione…”.
[7] L’articolo 8 della Direttiva quadro, intitolato “Obiettivi generali e principi dell’attività di regolamentazione”, ai paragrafi 2 e 4 dispone: “… Le autorità nazionali di regolamentazione promuovono la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, dei servizi di comunicazione elettronica e delle risorse e servizi correlati, tra l’altro:
a) assicurando che gli utenti, compresi gli utenti disabili, ne traggano il massimo beneficio sul piano della scelta, del prezzo e della qualità;
b) garantendo che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche;
c) incoraggiando investimenti efficienti in materia di infrastrutture e promuovendo l’innovazione;
d) incoraggiando un uso efficace e garantendo una gestione efficiente delle radiofrequenze e delle risorse di numerazione.
(…)
Le autorità nazionali di regolamentazione promuovono gli interessi dei cittadini dell’Unione europea, tra l’altro:
a) garantendo a tutti i cittadini un accesso al servizio universale quale specificato nella direttiva 2002/22/CE (direttiva servizio universale);
b) garantendo un livello elevato di protezione dei consumatori nei loro rapporti con i fornitori, in particolare predisponendo procedure semplici e poco onerose di composizione delle controversie espletate da un organismo indipendente dalle parti in causa;
c) contribuendo a garantire un livello elevato di protezione dei dati personali e della vita privata;
d) promuovendo la diffusione di informazioni chiare, in particolare imponendo la trasparenza delle tariffe e delle condizioni di uso dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico;
e) prendendo in considerazione le esigenze di gruppi sociali specifici, in particolare degli utenti disabili;
f) garantendo il mantenimento dell’integrità e della sicurezza delle reti di comunicazione pubbliche…”.
[8] L’articolo 20 della Direttiva servizio universale, intitolato “Contratti”, dispone: “… I paragrafi 2, 3 e 4 lasciano impregiudicata l’applicazione delle norme comunitarie in materia di tutela dei consumatori, in particolare l’applicazione delle direttive 97/7/CE e 93/13/CE, e delle norme nazionali in conformità del diritto comunitario. 2. Gli Stati membri provvedono affinché i consumatori, qualora si abbonino a servizi che forniscono la connessione e/o l’accesso alla rete telefonica pubblica, abbiano diritto di stipulare contratti con una o più imprese che forniscono detti servizi. Il contratto indica almeno:
a) la denominazione e l’indirizzo del fornitore del servizio;
b) i servizi forniti, i livelli di qualità dei servizi offerti e il tempo necessario per l’allacciamento iniziale;
c) i tipi di servizi di manutenzione offerti;
d) il dettaglio dei prezzi e delle tariffe nonché le modalità secondo le quali possono essere ottenute informazioni aggiornate in merito a tutte le tariffe applicabili e a tutti i costi di manutenzione;
e) la durata del contratto, le condizioni di rinnovo e di cessazione dei servizi e del contratto;
f) le disposizioni relative all’indennizzo e al rimborso applicabili qualora non sia raggiunto il livello di qualità del servizio previsto dal contratto e
g) il modo in cui possono essere avviati i procedimenti di risoluzione delle controversie ai sensi dell’articolo 34.
Gli Stati membri possono estendere tali obblighi affinché sussistano anche nei confronti di altri utenti finali.
I contratti stipulati tra consumatori da un lato e, dall’altro, fornitori di servizi di comunicazione elettronica diversi dai fornitori di connessione e/o accesso alla rete telefonica pubblica contengono anch’essi le informazioni elencate nel paragrafo 2. Gli Stati membri possono estendere tale obbligo affinché sussista anche nei confronti di altri utenti finali.
Gli abbonati hanno il diritto di recedere dal contratto, senza penali, all’atto della notifica di proposte di modifiche delle condizioni contrattuali. Gli abbonati sono informati con adeguato preavviso, non inferiore a un mese, di tali eventuali modifiche e sono informati nel contempo del loro diritto di recedere dal contratto, senza penali, qualora non accettino le nuove condizioni…”.
[9] L’articolo 22 della Direttiva servizio universale, intitolato “Qualità del servizio”, dispone: “… Gli Stati membri provvedono affinché le autorità nazionali di regolamentazione, dopo aver assunto il parere dei soggetti interessati, possano prescrivere alle imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico di pubblicare, a uso degli utenti finali, informazioni comparabili, adeguate ed aggiornate sulla qualità dei servizi offerti. Le informazioni sono comunicate, a richiesta, anche all’autorità nazionale di regolamentazione prima della pubblicazione.
Le autorità nazionali di regolamentazione possono precisare, tra l’altro, i parametri di qualità del servizio da misurare, nonché il contenuto, la forma e le modalità della pubblicazione, per garantire che gli utenti finali abbiano accesso ad informazioni complete, comparabili e di facile consultazione. Se del caso, possono essere utilizzati i parametri, le definizioni e i metodi di misura indicati nell’allegato III…”.
[10] CGUE 19.10.2016, Causa C‑424/15, Ormaetxea Garai e Lorenzo Almendros, punto 48; CGUE 15.09.2016, Causa C‑28/15, Koninklijke KPN e a., punto 36.
[11] CGUE 02.03.2023, Causa C‑78/21, PrivatBank e a., punto 70; CGUE 20.03.2018, Causa C‑524/15, Menci, punto 46.
[12] CGUE 15.09.2022, Causa C‑675/20 P, Brown/Commissione e Consiglio, punto 66.
[13] CGUE 26.06.2018, Causa C‑451/16, MB (Cambiamento di sesso e pensione di fine lavoro), punto 42; CGUE 09.03.2017, Causa C‑406/15, Milkova, punti 56-57; CGUE 16.12.2008, Causa C‑127/07, Arcelor Atlantique e Lorraine e a., punti 25-26.
[14] CGUE 12.09.2013, Causa C‑475/11, Konstantinides, punto 47.