ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE NEL MERCATO DELLE VENDITE ONLINE. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE TRA LA COMMISSIONE E LE AUTORITÀ GARANTI DELLA CONCORRENZA DEGLI STATI MEMBRI

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In data 20 aprile 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-815/21 P, Amazon.com e a. contro Commissione, sull’impugnazione della Amazon.com Inc., della Amazon Services Europe Sàrl, della Amazon EU Sàrl e della Amazon Europe Core Sàrl (congiuntamente “Amazon”) volta ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza[1] con cui il Tribunale dell’Unione Europea aveva respinto in quanto irricevibile il loro ricorso per l’annullamento parziale della Decisione C(2020) 7692 final della Commissione del 10 novembre 2020[2].

Questi i fatti.

In data 17 luglio 2019, la Commissione aveva avviato un’indagine formale per valutare se l’utilizzo, da parte di Amazon, di dati sensibili provenienti da venditori indipendenti che commercializzavano i loro prodotti sul suo marketplace costituiva una violazione delle norme europee in materia di concorrenza[3]. Ad esito di tale indagine, la Commissione aveva adottato la Decisione C(2020) 7692 final, con la quale aveva accertato che la condotta di Amazon poteva favorire artificiosamente le proprie offerte di vendita al dettaglio nonché quelle dei venditori della sua piattaforma di e-commerce che utilizzavano i suoi servizi di logistica e di consegna, violando perciò l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). L’indagine condotta dalla Commissione, inoltre, riguardava tutto lo Spazio Economico Europeo (SEE) ad eccezione dell’Italia, la cui Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva già iniziato ad indagare su problemi parzialmente simili nell’aprile del 2019, focalizzandosi sul mercato italiano.

Di conseguenza, Amazon aveva proposto dinnanzi al Tribunale dell’Unione un ricorso diretto all’annullamento parziale della Decisione C(2020) 7692 final nella parte in cui escludeva l’Italia dall’ambito di applicazione dell’indagine e dalle conseguenze giuridiche dell’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003[4]. Il Tribunale, tuttavia, aveva respinto il ricorso sostenendo che la decisione della Commissione produceva solo gli effetti propri di un atto procedurale e non incideva sulla situazione giuridica di Amazon, salvo che dal punto di vista procedurale. Quest’ultima, pertanto, si era rivolta alla Corte di Giustizia deducendo un unico motivo di impugnazione suddiviso in tre parti.

Con la seconda parte del motivo unico, Amazon sosteneva che il Tribunale aveva interpretato erroneamente l’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003 indicando, da un lato, che tale disposizione mira a proteggere le imprese dai procedimenti paralleli da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC) degli Stati Membri e della Commissione ammettendo al contempo, d’altro lato, che quest’ultima può discrezionalmente negare la tutela in questione.

La Corte ha preliminarmente ricordato che qualora, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 6, prima frase, del Regolamento n. 1/2003, la Commissione avvii un procedimento contro una o più imprese per una presunta violazione degli articoli 101 o 102 TFUE, le ANC degli Stati Membri sono private della loro competenza a perseguire (questa stessa o) queste stesse imprese per le stesse presunte condotte anticoncorrenziali, intervenute sullo stesso o sugli stessi mercati di prodotto e geografici nel corso dello stesso o degli stessi periodi[5]. Un tale esautoramento è giustificato dal fatto che le ANC degli Stati Membri hanno il potere di applicare le norme europee in materia di concorrenza parallelamente alla Commissione, di talché il Regolamento n. 1/2003 persegue segnatamente l’obiettivo di garantire l’applicazione coerente di tali norme nonché una gestione ottimale della rete delle autorità pubbliche responsabili della loro attuazione. Poiché, inoltre, l’applicazione parallela di tali norme non può andare a scapito delle imprese, l’esautoramento delle ANC degli Stati Membri permette anche di proteggere tali imprese da procedimenti paralleli da parte di tali autorità e della Commissione[6].

A tale riguardo, una decisione di avvio del procedimento non produce l’effetto di privare i destinatari della stessa dei loro diritti procedurali, in quanto tale procedimento è stato concepito proprio in modo da consentire alle imprese interessate di far conoscere il loro punto di vista e di informare la Commissione il più compiutamente possibile prima che essa adotti una decisione che incida sui loro interessi[7]. Di conseguenza, l’argomento di Amazon secondo cui l’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003 conferisce alle imprese una tutela contro i procedimenti paralleli da parte delle ANC degli Stati Membri e della Commissione, di cui quest’ultima l’avrebbe privata escludendo illegittimamente l’Italia dall’ambito di applicazione territoriale dell’indagine avviata dalla Decisione C(2020) 7692 final, si basa su un’interpretazione manifestamente erronea di tale disposizione.

La tutela fornita dall’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003, infatti, si applica solo nell’ipotesi di procedimenti paralleli da parte delle ANC degli Stati Membri e della Commissione riguardanti le stesse imprese per le medesime condotte asseritamente anticoncorrenziali, intervenute sullo stesso o sugli stessi mercati di prodotto e geografici nel corso dello stesso o degli stessi periodi. Tale protezione, inoltre, dipende dall’ambito di applicazione della decisione di avvio del procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE o dell’articolo 102 TFUE, di talché le imprese non possono avvalersene qualora la Commissione non abbia avviato alcun procedimento relativamente ad un determinato territorio. Nel caso concreto, pertanto, poiché l’ambito di applicazione territoriale del procedimento avviato in conformità alla Decisione C(2020) 7692 final non includeva l’Italia, la protezione contro i procedimenti paralleli di cui all’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003 non poteva trovare applicazione.

La tutela contro i procedimenti paralleli, inoltre, non implica alcun diritto per l’impresa a che il caso sia integralmente trattato dalla Commissione. Sostenere che una decisione della Commissione che avvia un procedimento per l’adozione di una decisione ai sensi del Regolamento n. 1/2003 debba necessariamente riguardare l’intero SEE, infatti, equivarrebbe a privarla dell’ampio potere discrezionale di cui essa dispone quando adotta una tale decisione, e pertanto la seconda parte del motivo unico di impugnazione deve essere respinta in quanto infondata.

Con la prima parte del motivo unico, invece, Amazon sosteneva che il Tribunale aveva violato l’articolo 263, primo e quarto comma[8], TFUE concludendo erroneamente che il ricorso di annullamento era irricevibile sulla base del rilievo che la Decisione C(2020) 7692 finalnon produceva alcun effetto giuridico nei suoi confronti.

Secondo la Corte, tuttavia, l’argomento si basa sull’erronea premessa che Amazon avrebbe potuto fondatamente avvalersi della tutela prevista dall’articolo 11, paragrafo 6, del Regolamento n. 1/2003. Di conseguenza, anche la prima parte del motivo unico dev’essere respinta in quanto infondata.

Con la terza parte del motivo unico, infine, Amazon sosteneva che l’ordinanza del Tribunale si basava su conclusioni in via subordinata erronee e inoperanti.

Poiché le prime due parti del motivo unico di impugnazione sono state respinte, tuttavia, la conclusione del Tribunale secondo la quale il ricorso di Amazon era irricevibile non può essere rimessa in discussione dalla terza parte di tale motivo, con cui Amazon si limita a contestare le conclusioni in via subordinata del Tribunale come erronee e inoperanti, di talché anche tale parte dev’essere respinta, così come l’impugnazione nel suo complesso.

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[1] Tribunale 14.10.2021, Causa T-19/21, Amazon.com, Inc. e a. contro Commissione europea.

[2] Dec. Comm. C(2020) 7692 final del 10.11.2020 che avvia un procedimento ai sensi dell’articolo 102 TFUE, Caso AT.40703 – Amazon – Buy Box.

[3] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.

[4] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 11 del Regolamento, intitolato “Cooperazione fra la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri”, al paragrafo 6 dispone: “… L’avvio di un procedimento da parte della Commissione per l’adozione di una decisione ai sensi del capitolo III priva le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato. Qualora un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro stia già svolgendo un procedimento, la Commissione avvia il procedimento unicamente previa consultazione di quest’ultima…”.

[5] CGUE 25.02.2021, Causa C‑857/19, Slovak Telekom, punto 30.

[6] Ibidem, punto 32.

[7] CGUE 29.01.2020, Causa C‑418/19 P, Silgan Closures e Silgan Holdings/Commissione, punto 48.

[8] L’articolo 263 TFUE ai paragrafi 1 e 4 dispone: “… La Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.

(…)

Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione…”.