In data 22 marzo 2023, la Commissione ha proposto una nuova direttiva che stabilisce criteri comuni contro il c.d. “greenwashing”[1] e le dichiarazioni ambientali fuorvianti[2], in modo che, da un lato, i consumatori dispongano di informazioni migliori in base a cui scegliere prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente e, dall’altro, le imprese che si impegnano per migliorare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti siano più facilmente riconoscibili, aumentando così le loro vendite.
La proposta trova la sua ratio nell’impegno della Commissione, espresso in occasione del Green Deal europeo[3], a contrastare le dichiarazioni ambientali false e a garantire che i consumatori ricevano informazioni affidabili, comparabili e verificabili per consentire loro di prendere decisioni più sostenibili e ridurre il rischio di greenwashing. Nonostante i consumatori vogliano essere meglio informati sugli impatti ambientali dei loro prodotti, infatti, uno studio condotto dalla Commissione nel 2020[4] aveva rilevato che il 53,3% delle affermazioni esaminate era vago, fuorviante o infondato, mentre il 40% era del tutto privo di fondamento. La proposta, pertanto, mira i) ad aumentare il livello di protezione ambientale, contribuendo così ad accelerare la transizione verso un’economia circolare, pulita e climaticamente neutra nell’Unione, e ii) a rafforzare la competitività degli operatori economici che si adoperano per aumentare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e delle loro attività.
La proposta fa parte delle iniziative sull’economia circolare adottate dalla Commissione tra marzo e novembre 2022 quali, tra le altre, il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile per prodotti sostenibili[5], quello sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio[6] nonché quello sugli assorbimenti di carbonio[7]. Più particolarmente, la proposta integra quella relativa alla responsabilizzazione dei consumatori nella transizione verde[8] che, da un lato, modifica la Direttiva sui diritti dei consumatori[9] obbligando i professionisti a fornire ai consumatori informazioni sulla durabilità e sulla riparabilità dei prodotti e, dall’altro, modifica la Direttiva sulle pratiche commerciali sleali[10] introducendo, tra le altre cose, la definizione di “dichiarazione ambientale”[11].
In primo luogo, la proposta prevede che la verifica delle autodichiarazioni ambientali esplicite si basi su una valutazione che soddisfa determinati criteri minimi per evitare che le stesse siano fuorvianti e che, tra l’altro, i) specifica se la dichiarazione è correlata all’intero prodotto, ad una sua parte o a determinati suoi aspetti, ii) dimostra che gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali oggetto della dichiarazione sono significativi dal punto di vista del ciclo di vita, iii) si fonda su prove scientifiche ampiamente riconosciute, e iv) fornisce informazioni sul fatto che il prodotto è dotato di prestazioni ambientali significativamente migliori rispetto alla pratica comune[12]. Se, invece, si tratta di un’autodichiarazione comparativa[13], oltre ai suddetti requisiti la sua verifica richiede, tra l’altro, che i) le informazioni e i dati utilizzati per valutare gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali dei prodotti o delle imprese concorrenti sono equivalenti a quelli utilizzati per valutare gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali del prodotto o dell’impressa oggetto della dichiarazione, ii) la copertura delle fasi lungo la catena del valore è equivalente per i prodotti e per le imprese messi a confronto, e iii) vengono utilizzati gli stessi criteri[14]. In questo modo, la proposta contribuirà a migliorare l’affidabilità delle informazioni fornite ai consumatori e quindi avrà un impatto positivo sul loro processo decisionale, facilitando la scelta di prodotti che offrono migliori prestazioni ambientali.
In secondo luogo, la proposta affronta il problema della mancanza di informazioni affidabili sulle caratteristiche ambientali del prodottostabilendo che, una volta comunicate, tutte le autodichiarazioni devono i) riguardare solamente gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali che sono valutati in conformità con i requisiti stabiliti dalla proposta stessa e sono ritenuti significativi per il prodotto o l’impresa in questione, ii) includere, ove opportuno, informazioni su come i consumatori possono utilizzare in modo appropriato il prodotto per ridurre gli impatti ambientali, e iii) essere accompagnate da informazioni sulla loro verifica[15]. Le autodichiarazioni comparative, inoltre, non devono riguardare un miglioramento degli impatti, degli aspetti o delle prestazioni ambientali del prodotto in questione rispetto a quelle di un altro prodotto della stessa impresa o di un’impresa concorrente che non è più attiva sul mercato, a meno che non si basino su prove che dimostrino che il miglioramento è significativo ed è stato raggiunto negli ultimi cinque anni[16].
In terzo luogo, la proposta si concentra sui requisiti per le etichette ambientali e per i sistemi di etichettatura stabilendo che i) le informazioni sulla proprietà e sugli organi decisionali del sistema di etichettatura devono essere trasparenti, accessibili gratuitamente, facilmente comprensibili e sufficientemente dettagliate, ii) le condizioni di adesione devono essere proporzionate alle dimensioni e al fatturato delle imprese, e iii) il sistema deve prevedere il ritiro o la sospensione dell’etichetta ambientale in caso di ripetuta non conformità ai suoi requisiti[17].
La proposta, infine, specifica il modo in cui le dichiarazioni e le etichette ambientali dovranno essere verificate e certificate da terzi prima di poter essere utilizzate in una comunicazione commerciale. Più particolarmente, un organismo accreditato ai sensi del Regolamento 765/2008[18] effettuerà una verifica ex ante delle autodichiarazioni presentate dall’impresa che desidera utilizzarle e deciderà, in seguito, se emettere o meno un certificato di conformità valido in tutta l’Unione, che verrà condiviso tra gli Stati Membri tramite il sistema di informazione del mercato interno[19] e consentirà alle imprese di utilizzare le autodichiarazioni in questione in una comunicazione commerciale rivolta ai consumatori in tutto il mercato interno[20]. Ciò garantirà l’affidabilità delle autodichiarazioni a cui sono esposti i consumatori, agevolando l’applicazione dei requisiti previsti dalla proposta senza mettere a dura prova le risorse delle autorità competenti.
La proposta, che dovrà ora essere approvata dal Parlamento e dal Consiglio, porterà grandi benefici non soltanto ai consumatori, e bensì anche alle imprese europee. Introducendo norme uniformi per il mercato interno, infatti, la Direttiva conferirà un vantaggio competitivo alle imprese che si adoperano per sviluppare prodotti, servizi e pratiche organizzative rispettose dell’ambiente e per ridurre il loro impatto. Norme armonizzate e più chiare, inoltre, ridurranno i costi per le imprese che operano a livello transfrontaliero nel mercato interno e rafforzeranno la credibilità delle imprese al di fuori dell’Unione. Le microimprese[21], infine, saranno esentate dagli obblighi della proposta, a meno che esse stesse non vogliano avvalersene.
[1] Per “greenwashing” si intende la strategia di comunicazione attraverso cui certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche tendono a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.
[2] Com. Comm. COM(2023) 166 final del 22.03.2023, Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on substantiation and communication of explicit environmental claims.
[3] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[4] Disponibile al seguente LINK.
[5] Com. Comm. COM(2022) 142 final del 30.03.2022, Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce il quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili e abroga la direttiva 2009/125/CE.
[6] Com. Comm. COM(2022) 677 final del 30.11.2022, Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, che modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e la direttiva (UE) 2019/904 e che abroga la direttiva 94/62/CE.
[7] Com. Comm. COM(2022) 672 final del 30.11.2022, Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di certificazione dell’Unione per gli assorbimenti di carbonio.
[8] Com. Comm. COM(2022) 134 final del 30.03.2022, Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguardala responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.
[9] Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GUUE L 304 del 22.11.2011.
[10] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, GUUE L 149 dell’11.06.2005.
[11] Il nuovo articolo 2 della Direttiva 2005/29, intitolato “Definizioni”, alla lettera o) dispone: “… Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
o) “dichiarazione ambientale”: nel contesto di una comunicazione commerciale, messaggio o dichiarazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o implica che un dato prodotto o professionista ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo…”.
[12] Si veda l’articolo 3 della proposta.
[13] Nello specifico si tratta di quelle affermazioni che rendono esplicito o implicano che un prodotto o un’impresa hanno un minore impatto ambientale o una migliore prestazione ambientale rispetto ad altri prodotti o competitors.
[14] Si veda l’articolo 4 della proposta.
[15] Si veda l’articolo 5 della proposta.
[16] Si veda l’articolo 6 della proposta.
[17] Si veda l’articolo 8 della proposta.
[18] Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93, GUUE L 218 del 13.08.2008.
[19] Regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno e che abroga la decisione 2008/49/CE della Commissione, GUUE L 316 del 14.11.2012.
[20] Si vedano gli articoli 10-11 della proposta.
[21] Ossia quelle con meno di dieci dipendenti e meno di 2 milioni di euro di fatturato.