In data 22 dicembre 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nelle Cause riunite C‑148/21 e C‑184/21, Louboutin (Usage d’un signe contrefaisant sur un marché en ligne), sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea[1]. Tali domande erano state presentate nell’ambito di controversie tra il sig. Christian Louboutin, un creatore francese di calzature e di borse di lusso i cui prodotti più noti sono scarpe da donna con tacco alto, e la Amazon Europe Core Sàrl, la Amazon EU Sàrl, la Amazon Services Europe Sàrl, la Amazon.com Inc. nonché la Amazon Services LLC (congiuntamente “Amazon”) in merito all’asserito uso, da parte di Amazon, di segni identici al marchio dell’Unione europea di cui il sig. Louboutin è titolare e senza il consenso di quest’ultimo, per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato.
Questi i fatti.
A partire dalla metà degli anni ‘90, il sig. Louboutin aveva apposto alle sue calzature a tacco alto una suola esterna il cui colore rosso era stato registrato dal 10 maggio 2016 come marchio dell’Unione Europea.
Nella Causa C-148/21, il sig. Louboutin aveva proposto dinanzi al Tribunal d’arrondissement de Luxembourg (Tribunale circoscrizionale di Lussemburgo; il “giudice del rinvio”) un’azione per contraffazione nei confronti di Amazon sostenendo che sui siti internet di vendita online gestiti da quest’ultima comparissero regolarmente annunci di vendita relativi a scarpe con suole rosse che riguardavano prodotti immessi in commercio senza il suo consenso. Alla luce della necessità di interpretare la normativa italiana rilevante in materia, pertanto, il giudice del rinvio aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali.
Similmente, nella Causa C-184/21 il sig. Louboutin aveva proposto dinanzi al Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles(Tribunale del commercio di Bruxelles di lingua francese; il “giudice del rinvio”) un’azione per contraffazione nei confronti di Amazon diretta ad ottenerne l’inibitoria dell’uso di tale marchio e il risarcimento del danno da esso cagionato. Di conseguenza, il giudice del rinvio aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali.
Con le loro questioni, i giudici del rinvio chiedevano se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a)[2], del Regolamento 2017/1001 debba essere interpretato nel senso che si possa ritenere che il gestore di un sito internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online usi esso stesso un segno identico ad un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita su detto mercato, senza il consenso del titolare del citato marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno. Essi si chiedono, in particolare, se sia rilevante a tal riguardo il fatto che detto gestore ricorra ad una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei loro prodotti, servizi complementari consistenti nel fornire assistenza per la presentazione dei loro annunci nonché nello stoccaggio e nella spedizione dei prodotti proposti sul medesimo mercato.
La Corte ha preliminarmente ricordato che il titolare del marchio ha diritto di vietare ad un terzo, salvo proprio consenso, di usare un segno identico quando tale uso avviene nel commercio, è effettuato per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato, e pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio stesso[3]. A tale riguardo, l’articolo 9 del Regolamento 2017/1001 ha lo scopo di fornire al titolare di un marchio dell’Unione uno strumento legale che gli consenta di vietare, e quindi di far cessare, ogni uso del suo marchio compiuto da un terzo senza il suo consenso[4]. L’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento 2017/1001, inoltre, implica, quanto meno, che quest’ultimo lo utilizzi nell’ambito della propria comunicazione commerciale, di talché una persona può così permettere ai propri clienti di fare uso di segni identici o simili a marchi senza utilizzare essa stessa tali segni[5]. Di conseguenza, l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte di vendita che compaiono in un mercato online ha luogo unicamente ad opera dei clienti‑venditori del relativo gestore e non ad opera di questo, in quanto esso non utilizza il suddetto segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale[6].
La “comunicazione commerciale” di un’impresa indica, di norma, tutte le forme di comunicazione destinate ai soggetti terzi, volte a promuovere le sue attività, i suoi beni o i suoi servizi o ad indicare lo svolgimento di una siffatta attività, di talché l’uso di un segno a tale scopo da parte di un gestore presuppone che esso appaia, agli occhi dei terzi, come parte integrante di tale comunicazione e, pertanto, come rientrante nella sua attività. A tale riguardo, laddove il prestatore di un servizio utilizza un segno identico o simile ad un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, egli fa uso di detto segno laddove lo utilizzi in modo tale da creare un nesso tra quest’ultimo e i servizi da esso forniti[7]. Nello specifico, un simile prestatore non fa uso esso stesso di un segno identico o simile ad un marchio altrui quando il servizio da esso fornito non è, per sua natura, paragonabile a quello volto a promuovere la commercializzazione di prodotti recanti tale segno e non comporta la creazione di un nesso tra questo servizio e detto segno, in quanto il prestatore in questione non ha visibilità per il consumatore[8]. Un nesso del genere, per contro, esiste allorché il gestore di un mercato online fa pubblicità, mediante un servizio di posizionamento su internet e partendo da una parola chiave identica ad un marchio altrui, a prodotti recanti detto marchio messi in vendita dai suoi clienti nel suo mercato online, in quanto una simile pubblicità crea, per gli internauti che effettuano una ricerca a partire da tale parola chiave, un’evidente associazione fra i suddetti prodotti contrassegnati da marchio e la possibilità di acquistarli attraverso detto mercato[9].
Al fine di accertare se il gestore di un sito internet di vendita online che integra un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico ad un marchio altrui, che compare negli annunci relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, pertanto, occorre valutare se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento stabilisca un nesso tra i servizi di detto gestore e il segno in questione. A tale riguardo, assumono particolare rilevanza tanto la modalità di presentazione degli annunci, sia individualmente che nel loro complesso, sul sito internet in questione quanto la natura e la portata dei servizi forniti dal suo gestore.
Per quanto riguarda la modalità di presentazione di tali annunci, quelli pubblicati su un sito internet di vendita online che integra un mercato online devono essere presentati in modo da consentire ad un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di distinguere facilmente le offerte provenienti, da un lato, dal gestore di tale sito internet e, dall’altro, da venditori terzi attivi sul mercato online ivi integrato[10]. Di conseguenza, la circostanza che il gestore di un tale sito ricorra ad una modalità di presentazione uniforme delle offerte ivi pubblicate, mostrando allo stesso tempo i propri annunci e quelli dei venditori terzi e facendo apparire il proprio logo di noto distributore tanto sul suo sito internet quanto su tutti i suddetti annunci, può rendere difficile tale chiara distinzione e dare quindi all’utente normalmente informato e ragionevolmente attento l’impressione che sia il suddetto gestore a commercializzare, in nome e per conto proprio, anche i prodotti offerti in vendita dai menzionati venditori terzi. Del pari, anche la natura e la portata dei servizi forniti dal gestore di un sito internet di vendita online che integra un mercato online ai venditori terzi che propongono su tale mercato prodotti recanti il segno in questione, come quelli consistenti, in particolare, nel trattamento delle domande degli utenti relative a tali prodotti o nello stoccaggio, nella spedizione e nella gestione dei resi di detti prodotti, possono dare l’impressione, ad un utente normalmente informato e ragionevolmente attento, che questi stessi prodotti siano commercializzati da detto gestore, in nome e per conto proprio, e quindi creare un nesso tra i suoi servizi e i segni che appaiono su detti prodotti nonché negli annunci dei menzionati venditori terzi.
Di conseguenza, la Corte ha statuito che:
“L’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che si può ritenere che il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio dell’Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita sul mercato in parola, senza il consenso del titolare di detto marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno, se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisce un nesso tra i servizi del menzionato gestore e il segno in questione, il che si verifica in particolare quando, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, un utente siffatto potrebbe avere l’impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno. È rilevante a tale riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti”.
[1] GUUE L 154 del 16.06.2017.
[2] L’articolo 9 del Regolamento 2017/1001, intitolato “Diritti conferiti dal marchio UE”, al paragrafo 2 lettera a) dispone: “… Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:
a) il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato…”.
[3] CGUE 03.03.2016, Causa C‑179/15, Daimler, punto 26.
[4] CGUE 02.04.2020, Causa C‑567/18, Coty Germany, punto 38.
[5] Ibidem, punto 39.
[6] CGUE 02.04.2020, Causa C‑567/18, Coty Germany, punto 40; CGUE 12.07.2011, Causa C‑324/09, L’Oréal e a., punti 102-103.
[7] CGUE 12.07.2011, Causa C‑324/09, L’Oréal e a., punto 92; CGUE 15.12.2011, Causa C‑119/10, Frisdranken Industrie Winters, punto 32.
[8] CGUE 15.12.2011, Causa C‑119/10, Frisdranken Industrie Winters, punto 33.
[9] CGUE 12.07.2011, Causa C‑324/09, L’Oréal e a., punti 93-97.
[10] Ibidem, punto 94.