Dopo aver stabilito, nella causa Pisciotti, che uno Stato Membro può, a determinate condizioni, operare distinzioni tra i propri cittadini e quelli di un altro Stato Membro per i fini dell’estradizione verso uno Stato Terzo[1], in data 22 dicembre 2022 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è nuovamente pronunciata sull’interpretazione degli articoli 18 e 21 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[2]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una richiesta di estradizione inoltrata dalle autorità della Bosnia-Erzegovina a quelle della Repubblica federale di Germania ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva inflitta ad S.M. per fatti di corruzione con una sentenza del Tribunale municipale di Bosanska Krupa (Bosnia‑Erzegovina) del 24 marzo 2017.
Questi i fatti.
S.M., avente le cittadinanze croata, bosniaca e serba, lavora in Germania dal 22 maggio 2020, ed era stato rimesso in libertà dopo essere stato temporaneamente detenuto in custodia cautelare a fini di estradizione. Dopo che le autorità tedesche avevano informato quelle croate della domanda di estradizione riguardante S.M. senza ottenere alcun riscontro, la Generalstaatsanwaltschaft München(procura generale di Monaco di Baviera) aveva chiesto all’Oberlandesgericht München (Tribunale superiore del Land Monaco di Baviera; il “giudice del rinvio”) di dichiarare irricevibile l’estradizione di S.M.
Alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, pertanto, il giudice del rinvio aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se gli articoli 18[3] e 21[4] TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato Membro, in presenza di una domanda di estradizione presentata da uno Stato terzo ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva di un cittadino di un altro Stato Membro con residenza permanente nel primo Stato – il cui diritto nazionale vieta soltanto l’estradizione dei propri cittadini al di fuori dell’Unione e prevede la possibilità che tale pena sia eseguita sul suo territorio a condizione che lo Stato terzo vi acconsenta – proceda all’estradizione di tale cittadino dell’Unione, conformemente agli obblighi ad esso incombenti in forza di una convenzione internazionale, laddove non possa concretamente prendere in carico l’esecuzione di tale pena in assenza di un simile consenso.
La Corte ha preliminarmente ricordato che, in ragione della sua qualità di cittadino dell’Unione, un cittadino di uno Stato Membro che soggiorna legalmente in un altro Stato ha il diritto di avvalersi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e rientra nell’ambito di applicazione dei trattati ai sensi dell’articolo 18 TFUE, che contiene il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza[5]. Di conseguenza, la circostanza che il cittadino di uno Stato Membro, diverso da quello destinatario di una domanda di estradizione, possegga anche la cittadinanza dello Stato terzo autore di tale domanda non può impedirgli di far valere i diritti e le libertà conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, in quanto la doppia cittadinanza di uno Stato Membro e di uno Stato terzo non può privare l’interessato di questi ultimi[6].
Le norme nazionali di uno Stato Membro sull’estradizione che introducono una differenza di trattamento a seconda che la persona reclamata sia cittadino di tale Stato o di un altro Stato Membro, nella misura in cui conducono a non riconoscere ai cittadini di altri Stati Membri che soggiornano legalmente nel territorio dello Stato richiesto la protezione contro l’estradizione di cui godono quelli di quest’ultimo, sono idonee ad incidere sulla libertà dei primi di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati Membri[7]. In una situazione come quella del caso concreto, pertanto, la differenza di trattamento consistente nel permettere l’estradizione di un cittadino dell’Unione, avente la cittadinanza di uno Stato Membro diverso da quello richiesto, si traduce in una restrizione della libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati Membri, ai sensi dell’articolo 21 TFUE[8].
Una simile restrizione può essere giustificata solo se è basata su considerazioni oggettive e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale[9]. Più particolarmente, l’obiettivo di evitare il rischio di impunità delle persone che hanno commesso un reato deve essere considerato legittimo, e consente di giustificare una misura restrittiva di una libertà fondamentale come quella prevista all’articolo 21 TFUE, sempre che tale misura risulti necessaria ai fini della tutela degli interessi che essa mira a garantire e unicamente nei limiti in cui tali obiettivi non possano essere raggiunti mediante misure meno restrittive[10]. A tal riguardo, se è vero che il principio del ne bis in idem, quale garantito dal diritto nazionale, può costituire un ostacolo all’avvio di azioni penali, da parte di uno Stato Membro, nei confronti di persone che sono oggetto di una domanda di estradizione finalizzata all’esecuzione di una pena, per evitare il rischio dell’impunità per tali persone esistono procedure, previste dal diritto nazionale e/o da quello internazionale, atte a far sì che le persone di cui trattasi scontino la loro pena, segnatamente, nello Stato di cui hanno la cittadinanza, aumentando in questo modo le loro possibilità di reinserimento sociale dopo aver scontato la pena[11]. Ciò vale, in particolare, per la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate[12], che consente ad una persona condannata nel territorio di uno Stato firmatario di chiedere di essere trasferita nel territorio del proprio Stato di origine per ivi scontare la condanna che le è stata inflitta.
Nel caso di una domanda di estradizione ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva, la misura alternativa all’estradizione, meno lesiva dell’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione con residenza permanente nello Stato Membro richiesto, consiste precisamente nella possibilità, qualora essa esista nel diritto di quest’ultimo, che tale pena sia eseguita nel suo territorio. Qualora tale possibilità esista, inoltre, i cittadini dello Stato Membro richiesto e quelli di altri Stati Membri con residenza permanente nel primo Stato, e che danno quindi prova di un sicuro grado di inserimento nella società di quest’ultimo, si trovano in una situazione comparabile[13]. In tali circostanze, pertanto, gli articoli 18 e 21 TFUE impongono che i cittadini di altri Stati Membri con residenza permanente nello Stato richiesto, e che sono oggetto di una domanda di estradizione di uno Stato terzo finalizzata all’esecuzione di una pena detentiva, possano scontare la loro pena nel territorio di tale Stato Membro alle medesime condizioni dei cittadini di quest’ultimo.
In presenza di una norma nazionale che introduce una differenza di trattamento tra i cittadini dello Stato Membro richiesto e quelli dell’Unione che vi risiedono in modo permanente vietando soltanto l’estradizione dei primi, incombe su tale Stato Membro un obbligo di verificare attivamente se esista una misura alternativa all’estradizione, meno lesiva dell’esercizio dei diritti e delle libertà che tali cittadini traggono dagli articoli 18 e 21 TFUE, quando questi ultimi sono oggetto di una domanda di estradizione presentata da uno Stato terzo[14]. Di conseguenza, laddove l’applicazione di una tale misura alternativa all’estradizione consista, come nel caso concreto, nel fatto che i cittadini dell’Unione con residenza permanente nello Stato Membro richiesto possano scontare la loro pena in tale Stato alle stesse condizioni dei cittadini dello stesso, ma tale applicazione sia condizionata all’ottenimento del consenso dello Stato terzo autore della domanda di estradizione, gli articoli 18 e 21 TFUE impongono allo Stato richiesto di cercare attivamente di procurarsi il consenso di quest’ultimo, utilizzando a tal fine tutti i meccanismi di cooperazione e di assistenza in materia penale di cui dispone.
Qualora lo Stato terzo autore della domanda di estradizione acconsenta a che la pena detentiva sia eseguita nel territorio dello Stato Membro richiesto, lo stesso è in grado di consentire ai cittadini dell’Unione oggetto di tale domanda, e che risiedono in modo permanente in tale territorio, di scontarvi la loro pena garantendo così un trattamento identico a quello che esso riserva ai propri cittadini in materia di estradizione. In un caso del genere, l’applicazione della misura alternativa all’estradizione potrebbe anche permettere allo Stato Membro richiesto di esercitare le proprie competenze in conformità agli obblighi convenzionali che lo vincolano allo Stato terzo autore della domanda di estradizione. Il consenso di quest’ultimo all’esecuzione della totalità della pena oggetto della domanda di estradizione nel territorio dello Stato Membro richiesto, infatti, è idoneo a rendere superflua l’esecuzione di tale domanda. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la Repubblica federale di Germania riuscisse ad ottenere il consenso della Bosnia-Erzegovina a che S.M. sconti la pena ivi inflitta nel suo territorio, l’applicazione della misura alternativa all’estradizione richiesta dagli articoli 18 e 21 TFUE non comporterebbe necessariamente che tale Stato Membro violi gli obblighi ad esso incombenti in forza della Convenzione europea di estradizione nei confronti dello Stato terzo. Laddove quest’ultimo, invece, non acconsentisse a che la pena detentiva in questione fosse scontata nel territorio dello Stato Membro richiesto, la misura alternativa all’estradizione richiesta dagli articoli 18 e 21 TFUE non potrebbe essere applicata, di talché lo Stato Membro potrebbe procedere all’estradizione della persona interessata, conformemente agli obblighi ad esso incombenti in applicazione di tale convenzione, dal momento che il rifiuto di una simile estradizione non consentirebbe, in tal caso, di evitare il rischio di impunità di tale persona.
Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che:
“Gli articoli 18 e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi impongono a uno Stato membro destinatario di una domanda di estradizione presentata da uno Stato terzo ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva di un cittadino di un altro Stato membro con residenza permanente nel primo Stato membro, il cui diritto nazionale vieta soltanto l’estradizione dei propri cittadini al di fuori dell’Unione europea e prevede la possibilità che tale pena sia eseguita sul suo territorio a condizione che lo Stato terzo vi acconsenta, di cercare attivamente di procurarsi tale consenso dello Stato terzo autore della domanda di estradizione, utilizzando tutti i meccanismi di cooperazione e di assistenza in materia penale di cui esso dispone nell’ambito delle sue relazioni con detto Stato terzo;
qualora un simile consenso non fosse ottenuto, essi non ostano a che, in siffatte circostanze, il suddetto primo Stato membro proceda all’estradizione di tale cittadino dell’Unione, conformemente agli obblighi ad esso incombenti in applicazione di una convenzione internazionale, purché tale estradizione non pregiudichi i diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.
[1] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[2] CGUE 22.12.2022, Causa C-237/21, S.M.
[3] L’articolo 18 TFUE dispone: “… Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni…”.
[4] L’articolo 21 TFUE dispone: “… Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.
Quando un’azione dell’Unione risulti necessaria per raggiungere questo obiettivo e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare disposizioni intese a facilitare l’esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1.
Agli stessi fini enunciati al paragrafo 1 e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo…”.
[5] CGUE 17.12.2020, Causa C‑398/19, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), punto 30.
[6] Ibidem, punto 32.
[7] CGUE 17.12.2020, Causa C‑398/19, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), punto 39; CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 28.
[8] CGUE 17.12.2020, Causa C‑398/19, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), punto 40; CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 30.
[9] CGUE 17.12.2020, Causa C‑398/19, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), punto 41; CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 31.
[10] CGUE 17.12.2020, Causa C‑398/19, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), punto 42; CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 32.
[11] CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 36.
[12] Convenzione del Consiglio d’Europa, del 21 marzo 1983, sul trasferimento delle persone condannate.
[13] CGUE 13.11.2018, Causa C‑247/17, Raugevicius, punto 46.
[14] Ibidem, punti 35-42.