In data 15 dicembre 2022, l’Avvocato Generale Rantos ha presentato le sue Conclusioni nella Causa C-124/21 P, International Skating Union contro Commissione europea, in merito alla richiesta dell’International Skating Union (“ISU”) di annullare parzialmente la sentenza[1] con cui il Tribunale dell’Unione Europea aveva parzialmente respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della Decisione della Commissione C(2017) 8230 final dell’8 dicembre 2017 relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e dell’articolo 53 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE)[2]. L’AG, inoltre, si è pronunciato sull’impugnazione incidentale proposta parallelamente dai due atleti all’origine della denuncia che aveva portato la Commissione ad avviare il procedimento nei confronti dell’ISU nonché dall’European Elite Athletes Association (Associazione europea degli atleti di alto livello).
Questi i fatti.
In qualità di organismo esponenziale unico del pattinaggio artistico e di velocità su ghiaccio, l’ISU aveva predisposto alcune “regole di ammissibilità” che prevedevano un sistema di autorizzazione preventiva in base al quale gli atleti potevano prendere parte solamente agli eventi autorizzati dall’ISU e/o dalle federazioni nazionali affiliate, che erano organizzati da rappresentanti approvati dall’ISU stessa secondo le proprie regole. Di conseguenza, in caso di partecipazione ad un evento non autorizzato secondo queste modalità, gli atleti erano esposti a sanzioni che potevano giungere sino all’esclusione a vita da qualsiasi competizione ISU. A partire dal 30 giugno 2006, inoltre, il c.d. “regolamento arbitrale” dell’ISU prevedeva la possibilità per gli atleti di presentare ricorso contro una decisione di inammissibilità unicamente dinanzi al Tribunale arbitrale internazionale dello sport di Losanna (Court of Arbitration for Sport, CAS)[3]. In data 25 ottobre 2015, infine, l’ISU aveva pubblicato la Comunicazione n. 1974, che stabiliva che tutti gli eventi dovevano essere preventivamente autorizzati dal Consiglio dell’ISU ed organizzati secondo le sue regole, indicando una serie di requisiti generali, finanziari, tecnici, sportivi ed etici cui gli organizzatori dovevano attenersi[4].
Dopo che l’ISU non aveva autorizzato la competizione di pattinaggio di velocità con prove di nuovo formato (c.d. “Grand Prix”) organizzata nel 2014 dalla società coreana Icederby International Co. Ltd., due pattinatori olandesi avevano adito la Commissione sostenendo che le regole di ammissibilità dell’ISU, nella versione del 2014, erano incompatibili con gli articoli 101 e 102 TFUE ed impedivano loro di partecipare al Grand Prix. Con la Decisione C(2017) 8230 final, pertanto, la Commissione aveva ritenuto che le regole di ammissibilità dell’ISU costituivano una restrizione della concorrenza per oggetto e per effetto, in quanto avevano lo scopo di limitare le possibilità dei pattinatori professionisti di partecipare liberamente a gare internazionali organizzate da enti terzi, privando quindi questi ultimi delle prestazioni degli atleti necessarie per l’organizzazione di tali competizioni. Di conseguenza, la Commissione aveva ingiunto all’ISU, sotto pena di penalità di mora periodiche, di porre fine all’infrazione accertata e di modificare il regolamento arbitrale qualora intendesse mantenere il sistema di autorizzazione preventiva.
In data 19 febbraio 2018, pertanto, l’ISU aveva impugnato la decisione della Commissione dinanzi al Tribunale dell’Unione, deducendo otto motivi di ricorso. Con la decisione del 16 dicembre 2020, tuttavia, quest’ultimo aveva dichiarato che la decisione della Commissione non era viziata da illegittimità nella parte in cui verteva sulle norme in materia di ammissibilità e di autorizzazione dell’ISU ma che essa era illegittima nella parte in cui riguardava le norme attuate da tale federazione in materia di arbitrato[5]. Di conseguenza, l’ISU e gli altri ricorrenti si erano rivolti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea deducendo due motivi di impugnazione in via principale e due motivi di impugnazione in via incidentale.
Con il primo motivo dell’impugnazione in via principale, l’ISU metteva in discussione la sentenza del Tribunale nella parte in cui confermava l’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto ingiustificata, concernente il sistema di previa autorizzazione e la clausola di esclusiva munita di sanzioni istituite tramite le sue norme. Più particolarmente, secondo l’ISU il Tribunale i) non aveva esaminato i suoi argomenti concernenti la valutazione, da parte della Commissione, di taluni fatti sottesi alla constatazione di una restrizione della concorrenza per oggetto, ii) aveva sostituito la propria valutazione fattuale e giuridica a quella della Commissione, assumendo l’esistenza di un’infrazione diversa da quella constatata dalla Decisione C(2017) 8230 final, sulla base di un’interpretazione erronea dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, e iii) era incorso in errori nell’analisi globale dei quattro elementi presi in considerazione dalla Commissione per concludere che le norme in materia di ammissibilità costituivano una restrizione della concorrenza per oggetto. Con il secondo motivo della loro impugnazione in via incidentale, inoltre, gli altri ricorrenti sostenevano che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che il comportamento dell’ISU consistente nel cercare di proteggere i propri interessi economici non rientrasse in un obiettivo anticoncorrenziale in sé.
L’AG ha preliminarmente ricordato che poiché l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziale di un accordo sono condizioni non cumulative, e bensì alternative per valutare se esso ricada nel divieto enunciato all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ciò rende necessario considerare in primo luogo l’oggetto stesso dell’accordo, alla luce del contesto economico in cui esso deve essere applicato[6]. A tale riguardo, mentre non occorre esaminare gli effetti di un accordo una volta che ne sia stato accertato l’oggetto anticoncorrenziale[7], nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza occorrerà procedere a tale analisi e, per vietare il comportamento in questione, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo[8]. Più particolarmente, per valutare se una decisione di associazione tra imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerata una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che mira a raggiungere nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca[9].
Il criterio giuridico essenziale per determinare l’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto risiede nella constatazione che un accordo presenta, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario ricercarne gli effetti[10]. Nello specifico, per giustificare la qualificazione di un accordo come restrizione per oggetto, senza che sia necessaria un’analisi dei suoi effetti concreti, deve esistere un’esperienza sufficientemente solida ed affidabile affinché si possa ritenere che tale accordo sia, per sua stessa natura, dannoso per il buon funzionamento del gioco della concorrenza[11].
Nel caso concreto, il Tribunale sosteneva che l’oggetto anticoncorrenziale delle norme dell’ISU poteva essere desunto dal fatto che quest’ultima godeva di un ampio potere discrezionale per rifiutare competizioni proposte da terzi, ciò che poteva condurre all’adozione di decisioni di diniego per motivi illegittimi. Secondo l’AG, tuttavia, non si può ritenere che l’idoneità teorica ad arrecare pregiudizio alla concorrenza sulla base dell’ampio potere discrezionale di cui può beneficiare una federazione sportiva possa essere sufficiente a configurare un oggetto anticoncorrenziale, a maggior ragione allorché gli effetti anticoncorrenziali che dovrebbero poter essere assunti siano incerti e, in ogni caso, non risultino dall’analisi effettuata dal Tribunale, essendosi quest’ultimo accontentato di un’interpretazione astratta delle norme in questione dell’ISU senza esaminare alcun esempio concreto della loro attuazione. L’esistenza stessa di un meccanismo di previa autorizzazione che consente ad organizzatori terzi di chiedere di accedere al mercato, indipendentemente dal potere discrezionale detenuto dall’ISU per rifiutare una siffatta autorizzazione, del pari, dovrebbe bastare, da sola, a sollevare interrogativi sul carattere sufficientemente dannoso delle norme dell’ISU sotto il profilo del diritto della concorrenza, di talché la questione di stabilire se il meccanismo istituito sia, in effetti, sufficiente ad assicurare una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi, o se esso restringa la concorrenza, può essere risolta soltanto sulla base di un’analisi degli effetti anticoncorrenziali. Secondo l’AG, inoltre, gli elementi presi in considerazione dal Tribunale per accertare il potere discrezionale di cui disporrebbe l’ISU non possono rivestire il carattere dannoso richiesto per dimostrare una restrizione della concorrenza per oggetto.
Per quanto riguarda la questione di stabilire se il Tribunale potesse, senza incorrere in errori di diritto, procedere ad un’analisi parallela dell’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto e dell’assenza di un carattere oggettivamente giustificato e proporzionato di tale restrizione, l’AG ha preliminarmente ricordato che, nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, gli obiettivi perseguiti da un accordo o da una decisione di associazione di imprese possono svolgere un ruolo sotto due aspetti nell’analisi. Più particolarmente, le finalità obiettive che un accordo mira a conseguire, che devono risultare chiaramente dalle misure in esame, sono rilevanti, da un lato, al fine di stabilire se quest’ultimo ricada nel divieto enunciato all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE[12] e, dall’altro, nel contesto dell’analisi delle restrizioni accessorie, che mira a stabilire se gli effetti restrittivi della concorrenza che derivano da una determinata misura ineriscano al perseguimento di un obiettivo legittimo e siano ad esso proporzionati.
Sebbene alcuni aspetti di queste due analisi possono sovrapporsi, l’esame degli obiettivi delle misure in questione differisce sotto il profilo concettuale nonché delle conseguenze che devono essere tratte. Contrariamente a quanto sembra sostenere il Tribunale, pertanto, il carattere sproporzionato di una misura rispetto ad un obiettivo legittimo non comporta automaticamente la qualificazione come restrizione della concorrenza per oggetto, di talché se è probabile che una misura qualificata come restrizione della concorrenza per oggetto sia, per sua natura, sproporzionata rispetto ad un obiettivo legittimo perseguito, non è necessariamente vero il contrario. Di conseguenza, il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nello stabilire che il sistema di autorizzazione preventiva dell’ISU poteva essere considerato una restrizione della concorrenza per oggetto poiché esso andava oltre quanto necessario al perseguimento dell’obiettivo di garantire che le competizioni sportive siano conformi a standard comuni.
Per quanto riguarda la questione della tutela degli interessi economici dell’ISU, infine, il Tribunale aveva ritenuto che anche qualora sia dimostrato che le norme in materia di ammissibilità adottate nel corso del 2016 perseguono altresì un tale obiettivo, il fatto che una federazione miri a tutelare i propri interessi economici non è, di per sé, anticoncorrenziale. Secondo l’AG, tale analisi non è viziata da alcun errore di diritto in quanto se è vero che taluni obblighi si impongono alle federazioni sportive al fine di delimitare i poteri di cui esse dispongono e di controllarne il corretto esercizio, la tutela degli interessi economici di una federazione sportiva come l’ISU sarebbe problematica sotto il profilo del diritto della concorrenza solo nel caso in cui essa impedisse in maniera ingiustificata l’accesso al mercato di un concorrente. Di conseguenza, il perseguimento, da parte di una federazione sportiva come l’ISU, dei propri interessi economici non è anticoncorrenziale in sé, e non può dunque essere utilizzato come un elemento indice di un obiettivo anticoncorrenziale nell’ambito della valutazione di una restrizione della concorrenza.
Tutto ciò premesso, secondo l’AG il Tribunale aveva commesso un errore di diritto in relazione alla qualificazione delle norme in materia di ammissibilità dell’ISU come restrizione/i della concorrenza per oggetto, di talché il primo motivo di impugnazione deve essere accolto e la causa dev’essere rinviata dinanzi al Tribunale.
Con il secondo motivo dell’impugnazione in via principale, l’ISU sosteneva che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto non esaminando il quarto motivo del suo ricorso, con il quale essa affermava che la sua decisione di non approvare il Grand Prix non rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE in quanto perseguiva un obiettivo legittimo e conforme al suo codice etico, il quale vietava qualsiasi forma di sostegno alle scommesse.
Secondo l’AG, né la Decisione C(2017) 8230 final né la sentenza del Tribunale prendevano specificamente in considerazione la decisione di rifiuto relativa al Grand Prix. Più particolarmente, nonostante il rifiuto connesso a tale evento sembra essere all’origine dell’indagine avviata dalla Commissione e sembra essere stato utilizzato, al pari di altri esempi di competizioni, per illustrare il modo in cui tali norme sono state applicate nella prassi, la Decisione C(2017) 8230 final verteva sulle norme in materia di ammissibilità adottate dall’ISU e sulla loro compatibilità con l’articolo 101 TFUE. Il Tribunale, pertanto, aveva ritenuto che tali norme fossero di per sé sufficienti per avvalorare la conclusione secondo cui esse erano risultate problematiche sotto il profilo del diritto della concorrenza, indipendentemente dalla prova specifica in questione. Di conseguenza, il secondo motivo di impugnazione in via principale deve essere respinto.
Con il primo motivo della loro impugnazione in via incidentale, strutturato in due parti, infine, gli altri ricorrenti contestavano la sentenza del Tribunale nella parte in cui quest’ultimo aveva ritenuto che il meccanismo di arbitrato esclusivo e obbligatorio istituito dall’ISU non potesse essere considerato rafforzante per la restrizione della concorrenza per oggetto ravvisata dalla Commissione.
Più particolarmente, con la prima parte del primo motivo gli altri ricorrenti sostenevano che il Tribunale aveva commesso errori nella sua analisi relativa alla giustificazione della competenza esclusiva del CAS per le controversie vertenti sugli aspetti anticoncorrenziali delle decisioni di inammissibilità dell’ISU.
Secondo l’AG, tuttavia, la distinzione operata dai ricorrenti tra, da un lato, le cause connesse alla specificità dello sport, per le quali l’arbitrato del CAS può essere giustificato da interessi legittimi, e, dall’altro, quelle aventi una dimensione economica senza apparenti collegamenti con lo sport, che in quanto tali non dovrebbero essere assoggettate alla giurisdizione esclusiva del CAS, è poco convincente in quanto artificiale. Sia la Commissione che il Tribunale, inoltre, avevano correttamente riconosciuto che il ricorso ad un meccanismo di arbitrato esclusivo e obbligatorio era un metodo generalmente accettato di risoluzione delle controversie e che il fatto di concludere una clausola compromissoria non restringeva di per sé la concorrenza. Di conseguenza, un meccanismo non statale di risoluzione delle controversie in primo o in secondo grado, come il CAS, con una possibilità di ricorso dinanzi ad un giudice statale in ultimo grado, risulta adeguato nel settore dell’arbitrato sportivo internazionale, e pertanto la prima parte del primo motivo dell’impugnazione incidentale dev’essere respinta.
Con la seconda parte del primo motivo, invece, i ricorrenti sostenevano che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto concludendo che il regolamento arbitrale non comprometteva la piena efficacia del diritto della concorrenza dell’Unione nonché il diritto ad una protezione giurisdizionale effettiva.
L’AG ha preliminarmente ricordato che, al fine di assicurare la coerenza e l’uniformità nell’interpretazione del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e la Corte di Giustizia ne garantiscono la piena ed effettiva applicazione nell’insieme degli Stati Membri, nonché la tutela giurisdizionale spettante agli amministrati in forza di tale diritto[13], anche nel settore del diritto della concorrenza[14]. In tale contesto, l’arbitrato riduce la piena efficacia e l’uniformità del diritto dell’Unione, nonché la possibilità di ottenere una tutela giurisdizionale effettiva, qualora il tribunale arbitrale non faccia parte del sistema dell’Unione e non sia soggetto ad un controllo completo del rispetto del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali[15]. A tale riguardo, la Corte di Giustizia opera una distinzione tra, da un lato, i trattati conclusi con gli Stati Membri, nei quali l’arbitrato è imposto alle parti private e mira a sottrarre le controversie alla competenza dei propri organi giurisdizionali, e, dall’altro, l’arbitrato commerciale, il quale è il risultato della volontà liberamente espressa delle parti interessate, concernente controversie tra parti di pari rango.
Nel caso concreto, l’arbitrato in questione si applica nei rapporti tra parti private ed una federazione sportiva internazionale (e non uno Stato Membro). La costituzione del CAS, pertanto, non trova origine in un trattato mediante il quale taluni Stati Membri avrebbero acconsentito a sottrarre alla competenza dei propri organi giurisdizionali controversie che possono riguardare l’applicazione o l’interpretazione del diritto della concorrenza. Anche laddove, inoltre, esistesse un’eventuale asimmetria di poteri tra una federazione sportiva e gli atleti, i quali possono essere considerati privi di qualsiasi altra scelta che non sia l’adesione alle norme di quest’ultima, a partire dal momento in cui, da un lato, l’indipendenza e l’imparzialità del CAS non vengono rimesse in discussione e, dall’altro, il ricorso all’arbitrato può essere giustificato da interessi legittimi connessi alla necessità che le controversie sportive siano assoggettate ad un organo giurisdizionale specializzato, un tale argomento non può essere accolto, e pertanto anche la seconda parte del primo motivo dell’impugnazione incidentale deve essere respinta
[1] Tribunale 16.12.2020, Causa T-93/18, International Skating Union contro Commissione europea.
[2] Decisione della Commissione C (2017) 8230 final, dell’8 dicembre 2017, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, Caso AT.40208 – Norme dell’Unione internazionale di pattinaggio in materia di ammissibilità.
[3] Il CAS, con sede a Losanna, è un’istituzione indipendente con il compito di risolvere le dispute sportive attraverso un arbitrato. Le decisioni del CAS sono definitive, salvo solo il ricorso di diritto al Tribunale Federale Svizzero.
[4] Nello specifico, tra le altre cose, i) qualsiasi richiesta di autorizzazione deve essere accompagnata da informazioni tecniche e sportive (quali quelle relative alla sede e all’ammontare dei premi da assegnare) nonché generali e finanziarie (quali il business plan, il budget e la copertura televisiva prevista per l’evento), ii) l’organizzatore e qualsiasi persona che coopera con lui sono tenuti a presentare una dichiarazione in cui dichiarano di accettare il Codice Etico dell’ISU impegnandosi a non essere coinvolti in alcuna attività di scommessa, e iii) l’ISU si riserva il diritto di chiedere ulteriori informazioni per ciascuna di tali categorie di requisiti.
[5] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.
[6] CGUE 18.11.2021, Causa C‑306/20, Visma Enterprise, punto 55.
[7] CGUE 04.06.2009, Causa C‑8/08, T-Mobile Netherlands e a., punti 28-30.
[8] CGUE 11.09.2014, Causa C‑67/13 P, CB/Commissione, punto 52.
[9] CGUE 16.07.2015, Causa C‑172/14, ING Pensii, punto 33.
[10] CGUE 02.04.2020, Causa C‑228/18, Budapest Bank e a., punto 37.
[11] CGUE 11.09.2014, Causa C‑67/13 P, CB/Commissione, punto 50.
[12] CGUE 11.09.2014, Causa C‑67/13 P, CB/Commissione, punto 53.
[13] CGUE 06.03.2018, Causa C‑284/16, Achmea, punti 35-36.
[14] Tribunale 09.02.2022, Causa T‑791/19, Sped-Pro/Commissione, punto 91.
[15] CGUE 26.10.2021, Causa C‑109/20, PL Holdings, punto 45; CGUE 06.03.2018, Causa C‑284/16, Achmea, punti 58-60.