ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA NOZIONE DI “UNITÀ ECONOMICA” E SULLE CLAUSOLE DI ESCLUSIVA CONTENUTE IN CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE

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In data 19 gennaio 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella Causa C-680/20, Unilever Italia Mkt. Operations Srl contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sull’interpretazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Unilever Italia Mkt. Operations Srl (“Unilever”) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in merito ad una sanzione inflitta da quest’ultima alla suddetta società per abuso di posizione dominante sul mercato italiano della distribuzione e della commercializzazione di gelati confezionati ai gestori di punti vendita attivi nel canale c.d. “out-of-home[1].

Questi i fatti.

A seguito di un esposto da parte di La Bomba snc, in data 31 ottobre 2017 l’AGCM aveva inflitto alla Unilever un’ammenda pari a circa 60 milioni per aver adottato una strategia escludente fondata sull’applicazione agli esercenti dei punti vendita, da un lato, di clausole di esclusiva che prevedevano l’obbligo di rifornirsi esclusivamente presso di essa per l’intero loro fabbisogno e, dall’altro, di un’ampia serie di sconti e compensi incentivanti il mantenimento dell’esclusiva, scoraggiandoli così dal porre eventualmente termine al loro contratto per rifornirsi presso imprese concorrenti[2]. La Unilever aveva impugnato la decisione dell’AGCM dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio), che tuttavia aveva respinto integralmente il ricorso. Di conseguenza, la Unilever aveva interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (“giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori che fanno parte della rete di distribuzione di un produttore in posizione dominante possano essere imputati a quest’ultimo e, eventualmente, a quali condizioni.

La Corte ha preliminarmente ricordato che nei limiti in cui la loro attuazione implica la loro accettazione, almeno tacita, da parte di tutti i contraenti, le decisioni adottate nell’ambito di un coordinamento contrattuale, come un accordo di distribuzione, non rientrano in un comportamento unilaterale, e bensì si inseriscono nelle relazioni che le parti di tale coordinamento intrattengono tra loro[3], rientrando quindi nel diritto delle intese di cui all’articolo 101 TFUE. Ciò, tuttavia, non esclude che ad un’impresa in posizione dominante possa essere imputato il comportamento adottato dai distributori dei suoi prodotti o servizi, con i quali essa intrattiene solo rapporti contrattuali, e che, di conseguenza, venga constatato che essa ha commesso un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE, incombendole la particolare responsabilità di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno[4]. Tale obbligo, infatti, mira a prevenire non solo i pregiudizi alla concorrenza causati direttamente dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, e bensì anche quelli generati da comportamenti la cui attuazione sia stata delegata da tale impresa a soggetti giuridici indipendenti, tenuti ad eseguire le sue istruzioni. Qualora il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante sia materialmente attuato tramite un intermediario che fa parte di una rete di distribuzione, pertanto, esso le può essere imputato laddove risulti essere stato adottato conformemente alle istruzioni specifiche impartite da quest’ultima, cui i distributori interessati erano tenuti a conformarsi.

In una ipotesi del genere, poiché il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante è stato deciso unilateralmente, quest’ultima può esserne considerata come l’autrice e quindi come la sola eventuale responsabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. I distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con tale impresa, infatti, devono essere considerati come uno strumento di ramificazione territoriale della sua politica commerciale e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale è stata eventualmente attuata la prassi di esclusione in questione. Ciò vale, in particolare, quando un tale comportamento assume la forma di contratti tipo, interamente redatti da un produttore in posizione dominante e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti, che i distributori sono tenuti a far firmare ai gestori di punti vendita senza potervi apportare modifiche, salvo espresso accordo del produttore stesso. In tale ipotesi, pertanto, l’imputabilità all’impresa in posizione dominante del comportamento attuato dai distributori facenti parte della rete di distribuzione dei suoi prodotti o servizi non è subordinata né alla dimostrazione che gli stessi facciano parte anche di tale impresa, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, né all’esistenza di un vincolo “gerarchico” risultante da una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo destinati a tali distributori, idonei ad influire sulle decisioni di gestione che questi ultimi adottano riguardo alle loro rispettive attività.

Con la seconda questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, l’autorità garante della concorrenza competente è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare che tali clausole hanno l’effetto di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto l’impresa in posizione dominante e se, in ogni caso, in presenza di una pluralità di prassi controverse, tale autorità sia tenuta ad esaminare in modo dettagliato le analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa interessata, segnatamente ove siano fondate sul criterio detto del “concorrente altrettanto efficiente”.

La Corte ha preliminarmente ricordato che l’articolo 102 TFUE non ha lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che concorrenti meno efficienti restino sul mercato. Non tutti gli effetti preclusivi, infatti, pregiudicano necessariamente la concorrenza in quanto, per definizione, quella basata sui meriti può portare alla scomparsa dal mercato o all’emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione[5]. Le imprese in posizione dominante, tuttavia, sono tenute, indipendentemente dalle cause di una simile posizione, a non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno[6]. Di conseguenza, un abuso di posizione dominante potrà essere accertato quando il comportamento contestato abbia prodotto effetti preclusivi nei confronti di concorrenti di efficienza quantomeno pari all’autore di tale comportamento in termini di struttura dei costi, di capacità di innovazione o di qualità o, ancora, qualora esso si sia basato sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli riconducibili ad una concorrenza fondata sui meriti[7].

Spetta alle autorità garanti della concorrenza dimostrare il carattere abusivo di un comportamento alla luce di tutte le rilevanti circostanze fattuali che lo riguardano[8], comprese quelle messe in evidenza dagli elementi di prova dedotti a sua difesa dall’impresa in posizione dominante. A tale riguardo, per dimostrare il carattere abusivo di un comportamento, un’autorità garante della concorrenza non deve necessariamente provare che esso abbia effettivamente prodotto effetti anticoncorrenziali, in quanto l’articolo 102 TFUE mira a sanzionare il fatto, per una o più imprese, di sfruttare in modo abusivo una posizione dominante sul mercato interno, o su una sua parte sostanziale, indipendentemente dall’esito più o meno fruttuoso di tale sfruttamento[9]. Un’autorità garante della concorrenza, pertanto, può constatare una violazione dell’articolo 102 TFUE dimostrando che, durante il periodo nel quale il comportamento in questione è stato attuato, esso aveva, nelle circostanze del caso concreto, la capacità di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti. Tale dimostrazione, tuttavia, deve fondarsi su elementi di prova tangibili, che dimostrino la capacità effettiva della prassi in questione di produrre tali effetti, dovendo l’esistenza di un dubbio al riguardo andare a vantaggio dell’impresa che ha fatto ricorso alla prassi stessa[10].  Di conseguenza, una prassi non può essere qualificata come abusiva se è rimasta allo stato di progetto, e un’autorità garante della concorrenza non può basarsi sugli effetti che essa potrebbe o avrebbe potuto produrre se talune circostanze particolari, che non erano quelle esistenti sul mercato al momento della sua attuazione e la cui realizzazione risultava allora improbabile, si fossero realizzate. 

Le clausole con cui le controparti si sono impegnate a rifornirsi per la totalità o per una parte considerevole del loro fabbisogno presso un’impresa in posizione dominante, anche se non accompagnate da sconti, costituiscono, per loro natura, sfruttamento di posizione dominante, così come gli sconti di fedeltà concessi da una tale impresa[11]. A tale riguardo, nel caso in cui un’impresa in posizione dominante sostenga, nel corso del procedimento amministrativo, producendo elementi di prova a sostegno delle sue affermazioni, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti preclusivi contestati, l’autorità garante della concorrenza non solo è tenuta ad analizzare, da un lato, la portata di tale posizione sul mercato rilevante e, dall’altro, la misura in cui la prassi contestata copre il mercato, nonché le condizioni e le modalità di concessione degli sconti in questione, la loro durata e il loro importo, e bensì è anche tenuta a valutare l’eventuale esistenza di una strategia volta ad escludere i concorrenti che siano efficienti almeno tanto quanto l’impresa dominante[12]. L’effetto preclusivo derivante da un sistema di sconti, svantaggioso per la concorrenza, inoltre, può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza che vadano a beneficio anche del consumatore. Più particolarmente, una tale ponderazione degli effetti, favorevoli e sfavorevoli per la concorrenza, della prassi contestata può essere effettuata solo a seguito di un’analisi della capacità di esclusione di concorrenti efficienti almeno tanto quanto l’impresa in posizione dominante, inerente alla prassi di cui trattasi[13].

Dal momento che sia le prassi di sconti sia le clausole di esclusiva possono essere oggettivamente giustificate, o che gli svantaggi che esse generano possono risultare controbilanciati, se non addirittura superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche del consumatore, quanto detto finora è valido per entrambe le prassi. Sebbene le clausole di esclusiva suscitino, per loro natura, preoccupazioni legittime in relazione alla concorrenza, infatti, la loro capacità di escludere i concorrenti non è automatica[14]. Di conseguenza, quando un’autorità garante della concorrenza sospetti che un’impresa abbia violato l’articolo 102 TFUE facendo ricorso a clausole di esclusiva e quest’ultima contesti, nel corso del procedimento, la capacità concreta di tali clausole di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti, producendo elementi di prova a sostegno, essa deve assicurarsi, nella fase della qualificazione dell’infrazione, che tali clausole avessero, nelle circostanze del caso concreto, l’effettiva capacità di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto tale impresa.  L’autorità garante della concorrenza che ha avviato tale procedimento, inoltre, è altresì tenuta a valutare, in concreto, la capacità di tali clausole di restringere la concorrenza qualora, nel corso del procedimento amministrativo, l’impresa sospettata, senza negare formalmente che il suo comportamento avesse la capacità di restringere la concorrenza, sostenga che esistono giustificazioni per la sua condotta.

La produzione, nel corso del procedimento, di prove idonee a dimostrare l’inidoneità a produrre effetti restrittivi fa sorgere l’obbligo, per le autorità garanti della concorrenza, di esaminarle, in quanto il rispetto del diritto di essere ascoltato esige che esse ascoltino l’impresa in posizione dominante, prestando tutta l’attenzione richiesta alle osservazioni prodotte da quest’ultima ed esaminando, con cura e imparzialità, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie[15]. Qualora l’impresa in posizione dominante abbia prodotto uno studio economico al fine di dimostrare che la prassi che le viene contestata non era idonea ad estromettere i concorrenti, pertanto, l’autorità garante della concorrenza competente non può escluderne la rilevanza senza esporre le ragioni per le quali ritiene che esso non consenta di contribuire alla dimostrazione dell’incapacità delle prassi contestate di compromettere la concorrenza effettiva sul mercato interessato e, di conseguenza, senza mettere detta impresa in grado di determinare l’offerta di prove che potrebbe essere sostituita a detto studio. 

Per quanto riguarda, infine, il c.d. “criterio del concorrente altrettanto efficiente”[16], secondo la Corte esso è solo uno dei diversi metodi che consentono di valutare se una prassi abbia la capacità di produrre effetti preclusivi, di talché le autorità garanti della concorrenza non possono avere l’obbligo giuridico di fondarsi su di esso per dichiarare il carattere abusivo di una prassi[17]. Anche in presenza di prassi non tariffarie, tuttavia, la rilevanza di un tale criterio non può essere esclusa, in quanto esso può rivelarsi utile qualora le conseguenze della prassi in questione possano essere stimate. Di conseguenza, qualora un’impresa in posizione dominante sospettata di una prassi abusiva fornisca ad un’autorità garante della concorrenza un’analisi fondata sul criterio del concorrente altrettanto efficiente, detta autorità non può escludere tale prova senza neppure esaminarne il valore probatorio.

Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che:

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori.

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo all’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. Il ricorso al criterio detto «del concorrente altrettanto efficiente» ha carattere facoltativo. Tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio”.

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[1] Ossia in bar, caffetterie, circoli sportivi, piscine o altri luoghi ricreativi.

[2] Tali condotte erano state poste in essere dalla Unilever per la maggior parte tramite la sua rete di 150 distributori con i quali aveva instaurato un rapporto di esclusiva, in forza del quale: i) la Unilever vendeva i suoi prodotti a uno solo di tali distributori per la rivendita in un determinato territorio, ii) il distributore, che aveva quindi lo status di concessionario, era soggetto al contempo al divieto di vendita attiva nei territori attribuiti in esclusiva ad altri concessionari ed al divieto di produrre o commercializzare prodotti di operatori concorrenti, e iii) tale distributore doveva altresì acquistare l’attrezzatura destinata a conservare e presentare i gelati nei punti vendita, nonché il materiale di marketing che doveva poi essere retroceduto gratuitamente ai gestori dei detti punti vendita.

[3] CGUE 17.09.1985, Cause riunite 25/84 e 26/84, Ford-Werke e Ford of Europe/Commissione, punti 20-21.

[4] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 135.

[5] CGUE 12.05.2022, Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale e a., punto 73.

[6] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 135; CGUE 09.11.1983, Causa 322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, punto 57.

[7] CGUE 12.05.2022, Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale e a., punti 69-71 e 75-76.

[8] CGUE 12.05.2022, Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale e a., punto 72; CGUE 19.04.2012, Causa C‑549/10 P, Tomra Systems e a./Commissione, punto 18.

[9] CGUE 12.05.2022, Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale e a., punto 53.

[10] CGUE 31.03.1993, Cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, punto 126; CGUE 14.02.1978, Causa 27/76, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, punto 265.

[11] CGUE 13.02.1979, Causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, punto 89.

[12] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punti 138-139.

[13] Ibidem, punto 140.

[14] Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti, GUUE C 45 del 24.02.2009, punto 36.

[15] CGUE 12.05.2022, Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale e a., punto 52.

[16] Tale nozione fa riferimento a diversi criteri che hanno in comune il fine di valutare la capacità di una prassi di produrre effetti preclusivi anticoncorrenziali, facendo riferimento all’idoneità di un ipotetico concorrente dell’impresa in posizione dominante, altrettanto efficiente in termini di struttura dei costi, a proporre ai clienti una tariffa tanto vantaggiosa da indurli a cambiare fornitore, nonostante gli svantaggi generati, senza che ciò porti detto concorrente a subire perdite.

[17] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 57.