In data 23 novembre 2022, il Tribunale dell’Unione Europea si è pronunciato nella Causa T-275/20, Westfälische Drahtindustrie e a. contro Commissione, sul ricorso con cui la Westfälische Drahtindustrie GmbH (“WDI”), la Westfälische Drahtindustrie Verwaltungsgesellschaft mbH & Co. KG (“WDV”) e la Pampus Industriebeteiligungen GmbH & Co. KG (Pampus”) chiedevano i) l’annullamento della lettera con cui la Commissione Europea aveva intimato loro di pagarle una somma pari a circa 12 milioni di euro, corrispondente al saldo restante dovuto dell’ammenda inflitta loro il 30 settembre 2010, ii) la dichiarazione che l’ammenda era stata interamente pagata in data 17 ottobre 2019, iii) la condanna della Commissione a versare alla WDI una somma pari a circa 1,6 milioni di euro a titolo di arricchimento senza causa, e, in subordine, iv) la condanna della Commissione a versare loro le suddette somme.
Questi i fatti.
Con la Decisione C(2010) 4387 definitivo[1], la Commissione aveva sanzionato diverse imprese, tra cui la WDI, la WDV e la Pampus, per aver partecipato ad un’intesa nel mercato dell’acciaio per precompresso, infliggendo loro un’ammenda complessiva pari a circa 117 milioni di euro, ridotta a circa 100 milioni di euro dalla Decisione C(2010) 6676 definitivo[2] (congiuntamente “la decisione controversa”). Successivamente, in data 13 aprile 2011, il presidente del Tribunale dell’Unione Europea aveva accolto[3] in parte la domanda di provvedimenti provvisori precedentemente presentata dalla WDI, dalla WDV e dalla Pampus disponendo la sospensione dell’obbligo ad esse imposto di costituire una garanzia bancaria a favore della Commissione per evitare la riscossione immediata delle ammende, a condizione che esse versassero a tale istituzione, da un lato, a titolo provvisorio, una somma pari a circa 2 milioni di euro prima del 30 giugno 2011 e, dall’altro, rate mensili pari a circa 300.000 euro il quindicesimo giorno di ogni mese a partire dal 15 luglio 2011 e fino a nuovo ordine, ma al più tardi fino alla pronuncia della sentenza nel procedimento principale.
In data 15 luglio 2015, lo stesso Tribunale aveva dichiarato[4] che la Commissione non era incorsa in errore quando aveva constatato l’esistenza di una violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), annullando la decisione controversa nella parte in cui infliggeva un’ammenda alle ricorrenti nonché la lettera del 14 febbraio 2011, in quanto la Commissione era incorsa in errori nel valutare la loro capacità contributiva, ma condannando la WDI, la WDV e la Pampus al pagamento di un’ammenda di importo identico a quello dell’ammenda che era stata loro inflitta da quest’ultima. La decisione del Tribunale era stata successivamente oggetto di impugnazione da parte delle tre società, che contestavano la presa in considerazione della loro capacità contributiva nel 2015, e non nel 2010, venendo tuttavia respinta dalla Corte di Giustizia[5].
Di conseguenza, in data 16 ottobre 2019 la WDI aveva informato la Commissione, da un lato, di aver già pagato circa 31 milioni di euro e, dall’altro, che intendeva già pagare il saldo dell’ammenda dovuta, in conto capitale e interessi, che stimava in circa 18 milioni di euro e che aveva provveduto a versare il giorno successivo. Con lettera del 2 marzo 2020, tuttavia, la Commissione aveva espresso il proprio disaccordo con la posizione espressa dalla WDI, indicando che gli interessi avevano iniziato a decorrere non a partire dalla sentenza del 15 luglio 2015, e bensì dalla data prevista dalla decisione controversa, ossia dal 4 gennaio 2011, e intimandole di versarle la somma pari a circa 12 milioni di euro corrispondente al saldo restante dovuto.
Il ricorso proposto dalla WDI, dalla WDV e dalla Pampus ha ad oggetto una domanda di annullamento, una domanda di accertamento e una domanda di pagamento connessa ad un arricchimento senza causa nonché, in subordine, una domanda di risarcimento del danno subìto a causa dell’illegittimità del comportamento della Commissione. Tali domande si fondano sull’affermazione secondo cui, con la sentenza del 15 luglio 2015, il Tribunale aveva i) annullato ex tunc l’ammenda inflitta dalla Commissione con la decisione controversa, ciò che avrebbe comportato un credito a favore delle ricorrenti, corrispondente alla somma pagata da queste ultime, in via provvisoria, tra il 29 giugno 2011 e il 16 giugno 2015, e ii) fissato una nuova ammenda distinta (c.d. “ammenda giurisdizionale”) con effetto dalla data di pronuncia della sentenza del 15 luglio 2015.
A sostegno della domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità del comportamento della Commissione, la WDI, la WDV e la Pampusdeducevano quattro motivi, vertenti sul fatto che i) l’ammenda loro inflitta dalla decisione controversa era stata annullata ex tunc dalla sentenza del 15 luglio 2015 ed era stata sostituita da un’ammenda giurisdizionale esigibile unicamente a partire dal giorno della pronuncia di tale sentenza, ii) in esecuzione della sentenza del 15 luglio 2015, e per effetto dell’annullamento ex tunc dell’ammenda inizialmente inflitta, le somme pagate a titolo provvisorio tra il 29 giugno 2011 e il 16 giugno 2015 in esecuzione dell’ordinanza emessa in sede di procedimento sommario non erano dovute e che la WDI aveva diritto al rimborso di tali somme, maggiorate degli interessi corrispondenti a tale periodo, iii) l’obbligo, fatto valere dalla Commissione, di versare gli interessi di mora a partire dal 4 gennaio 2011 violava l’articolo 266, primo comma[6], TFUE nonché l’articolo 99, paragrafo 4[7], e l’articolo 98, paragrafo 1, primo comma, lettera b[8]), del Regolamento 2018/1046, e iv) un tasso d’interesse nuovo e inferiore avrebbe dovuto essere fissato per l’ammenda giurisdizionale, calcolato con riferimento al tasso medio fissato dalla BCE nell’agosto 2015 per le sue principali operazioni di rifinanziamento.
Con la sentenza del 15 luglio 2015, il Tribunale aveva annullato la decisione controversa nella parte in cui imponeva alla WDI, alla WDV e alla Pampus un’ammenda pari a circa 46,5 milioni di euro condannandole, successivamente, a pagare un’ammenda di importo identico ritenendo che le stesse non fossero legittimate a sostenere che una riduzione dell’ammenda doveva essere loro concessa a causa della loro mancanza di capacità contributiva. In assenza di un esame esplicito della questione degli interessi, pertanto, occorre stabilire se dalla sentenza del 15 luglio 2015 si possa dedurre che l’ammenda fissata dal Tribunale fosse giuridicamente distinta da quella inflitta dalla Commissione nella decisione controversa.
A tale proposito, il Tribunale ha preliminarmente ricordato che la competenza estesa al merito conferita al giudice dell’Unione in materia di concorrenza, che gli consente di sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta dalla Commissione, si riferisce e si limita a quella inizialmente inflitta da quest’ultima[9]. Di conseguenza, l’ammenda stabilita dal giudice dell’Unione non costituisce una nuova ammenda, giuridicamente distinta da quella inflitta dalla Commissione[10]. Quando, inoltre, il giudice dell’Unione sostituisce la propria valutazione a quella della Commissione, e riduce l’importo dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, esso sostituisce, nella decisione della Commissione, l’importo ivi inizialmente fissato con quello che risulta dalla sua valutazione, di talché la decisione della Commissione, in virtù dell’effetto sostitutivo della sentenza del giudice dell’Unione, è sempre quella risultante dalla valutazione di quest’ultimo[11].
Nella sentenza del 15 luglio 2015, il Tribunale, in un primo momento, aveva annullato la decisione controversa nella parte in cui fissava l’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti e, in un secondo momento, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, ne aveva fissato l’importo allo stesso livello. A tal riguardo, se è vero che l’esercizio, da parte del Tribunale, del suo controllo di legittimità della decisione controversa ne aveva comportato l’annullamento in quanto, in tale provvedimento, la Commissione aveva inflitto un’ammenda alle ricorrenti, tale circostanza non implica affatto che il Tribunale fosse, per tale ragione, privo del potere di esercitare la sua competenza estesa al merito[12]. La circostanza secondo cui il Tribunale aveva da ultimo considerato opportuno mantenere, nella fattispecie, un importo dell’ammenda pari a quello fissato nella decisione controversa, inoltre, non incideva sulla regolarità dell’esercizio della sua competenza estesa al merito[13], di talché la Commissione era legittimata a considerare che, poiché quella fissata dal Tribunale non era una nuova ammenda, quest’ultima era esigibile dal 4 gennaio 2011.
La valutazione del Tribunale non viene rimessa in discussione dagli argomenti dedotti dalle ricorrenti.
L’annullamento dell’ammenda inflitta con la decisione controversa, infatti, non era stato giustificato dalla considerazione secondo cui la Commissione non era legittimata ad infliggere un’ammenda alle ricorrenti né nel 2010 né nel 2011 in mancanza di capacità contributiva all’epoca. Più particolarmente, nell’ambito del suo controllo di legittimità il Tribunale si era limitato a constatare che la Commissione aveva commesso errori nel valutare la capacità contributiva delle ricorrenti, senza indicare che nessuna ammenda poteva essere loro inflitta nel 2010 e nel 2011. Nell’ambito del suo esame della capacità contributiva delle ricorrenti nel 2015, inoltre, il Tribunale aveva constatato che, sulla base del piano di pagamento provvisorio fissato nell’ordinanza emessa in sede di procedimento sommario, la WDI, la WDV e la Pampus erano già state in grado di pagare una somma di oltre 15 milioni di euro a partire dal 2011. Poiché, pertanto, l’esistenza di una certa capacità contributiva delle ricorrenti nel 2010 e nel 2011 era stata constatata dal Tribunale nella sentenza del 15 luglio 2015, le conseguenze che le ricorrenti traggono dall’annullamento della decisione controversa sono prive di fondamento.
Per quanto riguarda la domanda relativa ad un arricchimento senza causa, le ricorrenti chiedevano al Tribunale di condannare la Commissione a rimborsare alla WDI la somma pari a circa 1,6 milioni di euro maggiorata degli interessi dal 17 ottobre 2019. Tale arricchimento, in particolare, sarebbe dovuto ad un errore di calcolo che le ricorrenti avrebbero commesso quando la WDI aveva versato alla Commissione, in data 17 ottobre 2019, la somma pari a circa 18 milioni di euro senza prendere in considerazione gli interessi prodotti dai 16,4 milioni di euro versati nel periodo compreso tra il 29 giugno 2011 e il 16 giugno 2015.
Poiché, tuttavia, la Commissione non risulta aver beneficiato della suddetta eccedenza di 1,6 milioni di euro, tale domanda deve essere respinta.
La WDI, la WDV e la Pampus, infine, chiedevano l’annullamento della lettera del 2 marzo 2020, con cui la Commissione aveva intimato alla WDI di versarle la somma pari a circa 12 milioni di euro corrispondente, a suo avviso, al saldo restante dovuto del credito.
Poiché anche i motivi a sostegno di tale domanda sono infondati, la stessa deve essere respinta, così come il ricorso nella sua interezza.
[1] Dec. Comm. C(2010) 4387 definitivo, del 30 giugno 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, Caso COMP/38344 – Acciaio per precompresso.
[2] Dec. Comm. C(2010) 6676 definitivo, del 30 settembre 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, Caso COMP/38344 – Acciaio per precompresso.
[3] Tribunale 13.04.2011, Causa T-393/10 R, Westfälische Drahtindustrie GmbH e altri contro Commissione europea.
[4] Tribunale 15.07.2015, Causa T-393/10, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea.
[5] CGUE 07.07.2016, Causa C-523/15 P, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea.
[6] L’articolo 266 TFUE dispone: “… L’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato o la cui astensione sia stata dichiarata contraria ai trattati sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea comporta.
Tale obbligo non pregiudica quello eventualmente risultante dall’applicazione dell’articolo 340, secondo comma…”.
[7] Regolamento (UE, Euratom) 2018/1046 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 luglio 2018, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione, che modifica i regolamenti (UE) n. 1296/2013, (UE) n. 1301/2013, (UE) n. 1303/2013, (UE) n. 1304/2013, (UE) n. 1309/2013, (UE) n. 1316/2013, (UE) n. 223/2014, (UE) n. 283/2014 e la decisione n. 541/2014/UE e abroga il regolamento (UE, Euratom) n. 966/2012, GUUE L 193 del 30.07.2018. L’articolo 99 del Regolamento, intitolato “Interessi di mora”, al paragrafo 4 dispone: “… Nel caso di ammende o altre sanzioni, il tasso d’interesse da applicare agli importi esigibili non rimborsati entro la scadenza di cui all’articolo 98, paragrafo 4, primo comma, lettera b), è quello applicato dalla Banca centrale europea alle sue principali operazioni di rifinanziamento, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, serie C, in vigore il primo giorno di calendario del mese in cui è stata adottata la decisione che irroga un’ammenda o altra sanzione, maggiorato di:
- a) un punto e mezzo percentuale, quando il debitore costituisce una garanzia finanziaria accettata dal contabile in sostituzione del pagamento;
- b) tre punti e mezzo percentuali, in tutti gli altri casi.
Se la Corte di giustizia dell’Unione europea, nell’esercizio delle sue competenze ai sensi dell’articolo 261 TFUE, aumenta l’importo di un’ammenda o altra sanzione, gli interessi sull’importo dell’aumento decorrono dalla data della sentenza della Corte...”.
[8] L’articolo 98 del Regolamento 2018/1046, intitolato “Accertamento dei crediti”, al paragrafo 1 dispone: “… Ai fini dell’accertamento di un credito, l’ordinatore responsabile:
- a) verifica l’esistenza del debito;
- b) determina o verifica l’esistenza e l’importo del debito; e
- c) verifica le condizioni di esigibilità del debito.
L’accertamento di un credito rappresenta il riconoscimento del diritto vantato dall’Unione nei confronti di un debitore e la formazione del titolo a esigere dal debitore il pagamento del debito…”.
[9] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 31 del Regolamento, intitolato “Controllo della Corte di giustizia”, dispone; “… La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata…”.
[10] Tribunale 14.07.1995, Causa T‑275/94, CB/Commissione, punti 58-60.
[11] Ibidem, punti 60-65 e 80-87.
[12] CGUE 07.07.2016, Causa C-523/15 P, Westfälische Drahtindustrie GmbH e a. contro Commissione europea, punto 38.
[13] Ibidem, punto 40.