SANZIONE INFLITTA DALL’AUTORITÀ NAZIONALE GARANTE DELLA CONCORRENZA. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA POSSIBILITÀ DI TENER CONTO DI UN FATTURATO DIVERSO

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Prospettive, Pubblicazioni

In data 10 novembre 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella Causa C-385/21, Zenith Media Communications SRL contro Consiliul Concurenţei, sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), letti alla luce del principio di proporzionalità. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Zenith Media Communications SRL (“Zenith”) e il Consiliul Concurenţei (Consiglio rumeno per la concorrenza) in merito ad una decisione che infligge un’ammenda a tale società per violazione delle norme del diritto della concorrenza.

Questi i fatti.

In data 3 dicembre 2014, il Consiglio per la concorrenza aveva constatato che, tra il 26 marzo e il 17 ottobre 2012, varie imprese che offrono servizi di agenzia pubblicitaria, tra cui la Zenith, avevano commesso un’infrazione unica e continuata all’articolo 5, paragrafo 1, della Legea concurenței nr. 21/1996 (legge n. 21/1996 sulla concorrenza)[1] e all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, partecipando ad un’intesa finalizzata all’eliminazione dal mercato rumeno delle agenzie pubblicitarie concorrenti. Di conseguenza, essendo stata sanzionata con un’ammenda pari a circa 484 mila euro, la Zenith aveva proposto ricorso dinanzi alla Curtea de Apel București (Corte d’appello di Bucarest).

Poiché il suo ricorso era stato respinto, la Zenith si era rivolta alla Înalta Curte de Casație și Justiție (Alta Corte di cassazione e di giustizia; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 4, paragrafo 3[2], TUE e l’articolo 101 TFUE, letti alla luce del principio di proporzionalità, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa o a una prassi nazionale secondo cui, ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta a un’impresa per violazione dell’articolo 101 TFUE, un’autorità nazionale garante della concorrenza è tenuta, in ogni caso, a prendere in considerazione il fatturato indicato nel conto profitti e perdite di tale impresa, senza poter esaminare gli elementi che quest’ultima ha presentato per dimostrare che detto fatturato non riflette la sua reale situazione economica, e che, di conseguenza, occorre tener conto, a titolo del fatturato, di un altro importo che rifletta tale situazione.

La Corte ha preliminarmente ricordato che, in materia di sanzioni, il principio di proporzionalità esige da un lato, che la sanzione inflitta corrisponda alla gravità dell’infrazione e, dall’altro, che, nel fissare l’importo dell’ammenda, si tenga conto delle circostanze individuali del caso concreto[3]. Più particolarmente, il requisito in base al quale l’ammenda inflitta ad un’impresa che abbia violato l’articolo 101 TFUE non deve eccedere il 10% del fatturato totale realizzato dalla stessa nell’esercizio sociale precedente[4] mira a garantire che, conformemente al principio di proporzionalità, l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata sia valutato in ciascun caso concreto, in particolare tenendo conto di un fatturato che rifletta la reale situazione economica dell’impresa stessa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa[5].

Di conseguenza, sebbene gli Stati Membri siano competenti a determinare le sanzioni che un’autorità nazionale garante della concorrenza può infliggere per un’infrazione all’articolo 101 TFUE[6], una normativa nazionale o una prassi dell’autorità nazionale garante della concorrenza che imponga a quest’ultima, in ogni caso, di calcolare l’importo dell’ammenda prendendo in considerazione il solo fatturato registrato nel conto profitti e perdite, escludendo la possibilità di esaminare qualsiasi giustificazione o dato pertinente invocato dall’impresa incriminata allo scopo di dimostrare che l’importo in questione non riflette la realtà economica, potrebbe comportare l’imposizione di ammende che superano i limiti di quanto necessario per raggiungere gli obiettivi dell’articolo 101 TFUE. Un’autorità nazionale garante della concorrenza, pertanto, deve poter esaminare la fondatezza, in diritto e in fatto, di qualsiasi elemento idoneo a dimostrare in modo credibile che l’importo del fatturato indicato nel conto profitti e perdite non riflette la reale situazione economica dell’impresa incriminata.

Tutto ciò premesso, la Corte ha statuito che:

L’articolo 4, paragrafo 3, TUE e l’articolo 101 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa o a una prassi nazionale secondo cui, ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta a un’impresa per violazione dell’articolo 101 TFUE, l’autorità nazionale garante della concorrenza è tenuta, in ogni caso, a prendere in considerazione il fatturato di tale impresa quale indicato nel suo conto profitti e perdite, senza poter esaminare gli elementi presentati da quest’ultima per dimostrare che detto fatturato non riflette la sua reale situazione economica, e che, di conseguenza, occorre tener conto, a titolo del fatturato, di un altro importo che rifletta tale situazione, purché detti elementi siano precisi e documentati.

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[1] L’articolo 5 della legge n. 21/1996 sulla concorrenza al paragrafo 1 dispone: “… Sono vietate tutte le intese tra imprese, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato rumeno o su una parte di esso, in particolare quelli che:

a) fissano direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita oppure altre condizioni di transazione;
b) limitano o controllano la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartiscono i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicano, nei rapporti con i partner commerciali, condizioni diseguali per prestazioni equivalenti, causando così per alcuni di essi uno svantaggio concorrenziale;
e) subordinano la conclusione di contratti all’accettazione da parte dei partner di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non hanno alcun nesso con l’oggetto di tali contratti…”.

[2] L’articolo 4 TUE al paragrafo 3 dispone: “In virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.

Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecu­zione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione.

Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione…”.

[3] CGUE 04.10.2018, Causa C‑384/17, Link Logistik N&N, punto 45.

[4] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 23 del Regolamento, intitolato “Ammende”, al paragrafo 2 dispone: “… La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a) commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato; oppure
b) contravvengono a una decisione che disponga misure cautelati ai sensi dell’articolo 8; oppure
c) non rispettano un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell’articolo 9.

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

Qualora l’infrazione di un’associazione sia relativa alle attività dei membri della stessa, l’ammenda non deve superare il 10% dell’importo del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato coinvolto dall’infrazione dell’associazione…”.

[5] CGUE 23.04.2015, Causa C‑227/14 P, LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, punti 48-49.

[6] L’articolo 5 del Regolamento 1/2003, intitolato “Competenze delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri”, dispone: “… Le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato in casi individuali. A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono adottare le seguenti decisioni:

– ordinare la cessazione di un’infrazione,

– disporre misure cautelari,

– accettare impegni,

– comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale.

Qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussistono le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non avere motivo di intervenire…”.