In data 13 ottobre 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella Causa C-355/21, Perfumesco.pl sp. z o.o. sp.k contro Procter & Gamble International Operations SA, sull’interpretazione dell’articolo 10 della Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale[1]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Perfumesco.pl sp. z o.o. sp.k. (“Perfumesco”) e la Procter & Gamble International Operations SA (“Procter & Gamble”) relativamente ad un’azione diretta alla distruzione di merci a causa di una asserita violazione di diritti conferiti da un marchio dell’Unione europea.
Questi i fatti.
In forza di un contratto di licenza stipulato con la HUGO BOSS Trade Mark Management GmbH & Co. KG (“HUGO BOSS TMM”), la Procter & Gamble era la sola autorizzata a usare il marchio denominativo dell’Unione europea HUGO BOSS nonché ad agire in giudizio in nome proprio per violazione dei diritti su quest’ultimo[2]. Da gennaio 2012, invece, la Perfumesco svolge attività commerciali di vendita all’ingrosso di prodotti di profumeria attraverso un negozio online, inviando regolarmente listini prezzi a venditori online di cosmetici e proponendo segnatamente la vendita di campioni di prodotti di profumeria contrassegnati dal marchio HUGO BOSS e recanti la dicitura “Tester”, affermando che tali campioni non differiscono in termini di profumazione dal prodotto normale.
In data 28 luglio 2016, in esecuzione di un’ordinanza cautelare, un ufficiale giudiziario aveva proceduto in Polonia al sequestro di profumi, di acque da toilette e di acque profumate i cui imballaggi recavano il marchio HUGO BOSS, ossia tester non destinati alla vendita, prodotti contrassegnati da codici che indicavano l’intenzione del produttore di commercializzarli al di fuori del SEE e prodotti i cui codici a barre apposti sugli imballaggi erano stati oscurati o rimossi. Successivamente, il Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia) aveva ingiunto alla Perfumesco di distruggere i profumi, le acque da toilette e le acque profumate i cui imballaggi recavano il marchio HUGO BOSS che non erano stati immessi in commercio nel SEE dalla HUGO BOSS TMM o con il suo consenso. Poiché il suo appello era stato respinto, la Perfumesco aveva proposto ricorso per cassazione dinanzi al Sąd Najwyższy (Corte suprema; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia se l’articolo 10, paragrafo 1[3], della Direttiva 2004/48 debba essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale secondo la quale una misura di protezione consistente nella distruzione di merci non può essere applicata a merci che siano state fabbricate e sulle quali sia stato apposto un marchio dell’Unione europea con il consenso del titolare di quest’ultimo, ma che siano state immesse in commercio nel SEE senza il suo consenso.
La Corte ha preliminarmente ricordato che la Direttiva 2004/48 non disciplina tutti gli aspetti collegati ai diritti di proprietà intellettuale, e bensì solo quelli inerenti, da un lato, al rispetto di tali diritti e, dall’altro, alle violazioni di questi ultimi, imponendo l’esistenza di rimedi giurisdizionali efficaci, destinati a prevenire, a porre fine o rimedio a qualsiasi violazione di un diritto di proprietà intellettuale esistente[4]. Tale direttiva, pertanto, sancisce uno standard minimo per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e non impedisce agli Stati Membri di prevedere misure di protezione più incisive[5], non potendo questi ultimi, tuttavia, prevedere misure di protezione meno incisive limitando, segnatamente, l’applicazione delle misure previste da tale direttiva a determinati tipi di violazioni dei diritti di proprietà intellettuale[6]. Di conseguenza, l’articolo 10 della Direttiva 2004/48 riguarda tutte le merci in relazione alle quali sia stato constatato che comportano una violazione dei diritti di proprietà intellettuale, senza escludere a priori l’applicazione della misura correttiva della distruzione nel caso di talune di tali violazioni.
Il diritto di proprietà intellettuale nel caso concreto si riferisce ai diritti conferiti da un marchio dell’Unione europea. A tale riguardo, sebbene la Direttiva 2004/48 non contenga alcuna definizione dei diritti di proprietà intellettuale rientranti nel suo ambito di applicazione, secondo la Corte i diritti relativi ai marchi rientrano nel novero di questi ultimi[7]. Più particolarmente, i diritti conferiti dal marchio dell’Unione europea al suo titolare sono indicati all’articolo 9 del Regolamento n. 207/2009, ai sensi del quale quest’ultimo può vietare sia l’apposizione di tale marchio su un prodotto o sul suo imballaggio sia la commercializzazione di prodotti recanti tale marchio[8].
Di conseguenza, poiché spetta alle autorità giudiziarie nazionali competenti determinare, caso per caso, le misure che, tra quelle di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della Direttiva 2004/48, possano essere imposte a causa di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, non si può ritenere che la misura correttiva consistente nella distruzione di merci, di cui a tale articolo 10, paragrafo 1, lettera c), sia applicabile solo in caso di violazione del diritto conferito dall’articolo 9, paragrafo 3, lettera a), del Regolamento n. 207/2009 e che la sua applicazione sia esclusa in caso di violazione dei diritti conferiti dall’articolo 9, paragrafo 3, lettere b) o c), del regolamento stesso.
Alla luce di quanto rammentato, pertanto, la Corte ha statuito che:
“L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale secondo la quale una misura di protezione consistente nella distruzione di merci non può essere applicata a merci che siano state fabbricate e sulle quali sia stato apposto un marchio dell’Unione europea con il consenso del titolare di quest’ultimo, ma che siano state immesse in commercio nello Spazio economico europeo senza il suo consenso”.
[1] GUUE L 157 del 30.04.2004.
[2] Affinché i clienti possano provare i prodotti recanti il marchio HUGO BOSS, la HUGO BOSS TMM mette gratuitamente a disposizione dei venditori e dei distributori da essa autorizzati campioni di prodotto (“tester”) al solo scopo di presentare e promuovere i cosmetici, che non vengono immessi in commercio nello Spazio Economico Europeo (SEE) né dalla HUGO BOSS TMM né con il suo consenso.
[3] L’articolo 10 della Direttiva 2004/48, intitolato “Misure correttive”, al paragrafo 1 dispone: “… Salvo il risarcimento dei danni dovuto al titolare del diritto a causa della violazione, e senza indennizzo di alcun tipo, gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell’attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali esse ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale e, nei casi opportuni, per i materiali e gli strumenti principalmente utilizzati per la realizzazione o la fabbricazione di tali merci. Siffatte misure comprendono:
a) il ritiro dai circuiti commerciali;
b) l’esclusione definitiva dai circuiti commerciali;
oppure
c) la distruzione…”.
[4] CGUE 10.04.2014, Causa C‑435/12, ACI Adam e a., punto 61.
[5] CGUE 09.06.2016, Causa C‑481/14, Hansson, punti 36 e 40.
[6] L’articolo 2 della Direttiva 2004/48, intitolato “Campo d’applicazione”, al paragrafo 1 dispone: “… Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione comunitaria o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano, conformemente all’articolo 3, alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione comunitaria e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato…”.
[7] CGUE 12.07.2011, Causa C‑324/09, L’Oréal e a.
[8] Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario, GUUE L 78 del 24.03.2009. L’articolo 9 del Regolamento, intitolato “Diritti conferiti dal marchio comunitario” al paragrafo 1 dispone: “… Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi…”.