In data 13 ottobre 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata nelle Causa C-616/20, M2Beauté Cosmetics GmbH contro Bundesrepublik Deutschland, sull’interpretazione dell’articolo 1, punto 2, lettera b), della Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano[1]. Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la M2Beauté Cosmetics GmbH (“M2Beauté”) e la Bundesrepublik Deutschland(Repubblica federale di Germania), rappresentata dal Bundesinstitut für Arzneimittel und Medizinprodukte (Istituto federale tedesco per i medicinali e i dispositivi medici; “BfArM”), in merito ad una decisione con cui quest’ultimo aveva constatato che un prodotto destinato a favorire la crescita delle ciglia, commercializzato come prodotto cosmetico dalla M2Beauté, doveva essere classificato come un medicinale piuttosto che come un prodotto cosmetico.
Questi i fatti.
La M2Beauté ha sviluppato un prodotto denominato “M2 Eyelash activating serum”, commercializzato dalla stessa come prodotto cosmetico, che contiene il “metilamido-diidro-noralfaprostal” (“MDN”), una nuova sostanza attiva sintetica appartenente al gruppo dei derivati della prostaglandina. Poiché il MDN, nella sua struttura molecolare, è sostanzialmente identico al bimatoprost (“BMP”), che è autorizzato in Germania come medicinale e commercializzato con il nome di “Lumigan” in gocce oculari per il trattamento del glaucoma, il BfArM aveva ritenuto che l’“M2 Eyelash activating serum” non fosse un prodotto cosmetico, e bensì un “medicinale per funzione”, ai sensi del Gesetz über den Verkehr mit Arzneimitteln (legge sul commercio dei medicinali, AMG)[2].
Di conseguenza, a seguito di un ricorso amministrativo la M2Beauté aveva proposto un ricorso di annullamento avverso la decisione del BfArM dinanzi al Verwaltungsgericht Köln (Tribunale amministrativo di Colonia; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali.
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 1, punto 2, lettera b)[3], della Direttiva 2001/83 debba essere interpretato nel senso che un’autorità nazionale può, ai fini della classificazione di un prodotto come “medicinale” ai sensi di tale disposizione, determinare le proprietà farmacologiche del prodotto in questione basandosi sulle conoscenze scientifiche relative ad un analogo strutturale di detta sostanza, qualora non siano disponibili studi scientifici sulla sostanza di cui trattasi.
La Corte ha preliminarmente ricordato che l’articolo 1, punto 2, lettere a) e b), della Direttiva 2001/83 fornisce due definizioni della nozione di “medicinale”, di talché un prodotto è tale se soddisfa la definizione di “medicinale per presentazione” o quella di “medicinale per funzione”[4]. A tale proposito, contrariamente alla nozione di “medicinale per presentazione”, la cui interpretazione estensiva mira a tutelare i consumatori dai prodotti privi dell’efficacia che essi potrebbero legittimamente attendersi, quella di “medicinale per funzione” mira a comprendere i prodotti le cui proprietà farmacologiche sono state accertate scientificamente[5]. Più particolarmente, ai fini della qualificazione di un prodotto come “medicinale per funzione” ai sensi della Direttiva 2001/83, le autorità nazionali, che agiscono sotto il controllo del giudice, devono decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto quali, tra le altre, la composizione, le proprietà farmacologiche, immunologiche o metaboliche quali risultano allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza che ne hanno i consumatori nonché i rischi che possono derivare dalla sua utilizzazione[6].
La condizione secondo cui le proprietà farmacologiche della sostanza in questione devono essere accertate scientificamente o risultare allo stato attuale delle conoscenze scientifiche riguarda, in via principale, gli studi relativi alla sostanza considerata, non potendosi tuttavia escludere la presa in considerazione di altre conoscenze scientifiche che consentano di accertare le suddette proprietà farmacologiche, anche in assenza di studi riguardanti specificamente la sostanza in questione. Di conseguenza, se, nel caso di una sostanza che non sia stata oggetto di studi specifici, lo stato attuale delle conoscenze scientifiche relative agli analoghi strutturali consente di concludere che tale sostanza ha effetti comparabili a quelli di un’altra sostanza esistente, e quindi di valutarne l’azione farmacologica ad una determinata concentrazione, la condizione relativa all’esistenza di un accertamento scientifico dovrà considerarsi soddisfatta.
Tutto ciò premesso, secondo la Corte non è ammissibile che le condizioni stabilite dalla Direttiva 2001/83 e, in particolare, l’obbligo di fornire gli studi relativi alle proprietà di un medicinale prima di qualsiasi immissione in commercio siano eluse presentando il prodotto in questione come “prodotto cosmetico”[7], in quanto ciò sarebbe contrario all’obiettivo della direttiva stessa. Nel caso di un analogo strutturale di una sostanza esistente, tuttavia, un simile rischio di elusione non sussisterebbe qualora il grado di analogia fosse tale da far presumere, sulla base di un’analisi obiettiva e scientificamente fondata, che una sostanza presente in un prodotto, ad una determinata concentrazione, presenti le stesse proprietà di una sostanza esistente per la quale sono disponibili gli studi richiesti. Di conseguenza, in un caso del genere un’autorità nazionale può basarsi sull’esistenza di un tale analogo strutturale per stabilire le proprietà farmacologiche del prodotto in questione, tenendo conto delle modalità d’uso, dell’ampiezza della sua diffusione, della conoscenza che ne hanno i consumatori e dei rischi che possono derivare dalla sua utilizzazione, per classificare tale prodotto come medicinale per funzione ai sensi della Direttiva 2001/83.
Con le questioni seconda e terza, invece, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 1, punto 2, lettera b), della Direttiva 2001/83 debba essere interpretato nel senso che un prodotto che modifica le funzioni fisiologiche, ma privo di effetti benefici per la salute, può essere classificato come “medicinale” ai sensi di tale disposizione quando migliora l’aspetto esteriore senza presentare proprietà nocive.
La Corte ha preliminarmente ricordato che l’espressione “modificare funzioni fisiologiche”, di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della Direttiva 2001/83, deve essere riferita alle sostanze che sono atte a produrre un effetto benefico sul funzionamento dell’organismo umano e, di conseguenza, sulla salute umana[8], in quanto un medicinale per funzione ai sensi di tale disposizione deve avere la capacità potenziale di produrre effetti benefici, immediati o mediati, su quest’ultima[9]. Poiché le autorità nazionali devono tener conto di tutte le caratteristiche del prodotto in questione, il carattere benefico per la salute dei suoi effetti non può essere valutato in astratto, senza tener conto dell’uso specifico cui il prodotto sarà destinato. Di conseguenza, il fatto che un prodotto possa migliorare l’aspetto esteriore senza avere proprietà nocive o che possa migliorare l’aspetto esteriore inducendo una maggiore autostima o un maggior benessere non è, di per sé, sufficiente a far sì che gli effetti benefici sulla salute siano “accertati scientificamente”.
Sebbene gli effetti benefici che la sostanza interessata può avere sul funzionamento dell’organismo umano possano essere immediati o mediati, anche in assenza di una malattia[10], il fatto che tale prodotto possa essere prescritto a scopi terapeutici è un fattore decisivo ai fini della sua classificazione come medicinale per funzione. Di conseguenza, se si stabilisce, sulla base di studi scientifici, che un prodotto è considerato idoneo ad essere utilizzato nel trattamento di una patologia riconosciuta se ne dovranno conseguentemente constatare gli effetti benefici sulla salute. Al contrario, in assenza di un qualunque utilizzo, anche potenziale, del prodotto in questione nel trattamento di una patologia riconosciuta, la condizione relativa alla sussistenza di effetti benefici sulla salute non sarà soddisfatta. A tale proposito, il semplice fatto che un prodotto migliori l’aspetto esteriore senza avere proprietà nocive non è sufficiente per ritenere che esso possa avere effetti benefici per la salute e possa quindi soddisfare la definizione di medicinale per funzione di cui all’articolo 1, punto 2, lettera b), della Direttiva 2001/83, in quanto il criterio dell’idoneità a ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche non deve indurre a qualificare come medicinali per funzione prodotti che, pur esercitando un influsso sul corpo umano, non hanno effetti fisiologici significativi e non modificano, propriamente parlando, le condizioni del suo funzionamento[11]. Di conseguenza, la qualificazione come medicinale per funzione conformemente all’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della Direttiva 2001/83 richiede che si possa accertare la capacità potenziale del prodotto considerato di indurre un beneficio concreto per la salute, non potendo lo stesso, in caso contrario, essere qualificato come tale.
Alla luce di quanto rammentato, pertanto, la Corte ha statuito che:
“L’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificata dalla direttiva 2010/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2010, per quanto concerne la farmacovigilanza, deve essere interpretato nel senso che un’autorità nazionale può, ai fini della classificazione di un prodotto come «medicinale» ai sensi di tale disposizione, stabilire le proprietà farmacologiche del prodotto di cui trattasi sulla base delle conoscenze scientifiche relative ad un analogo strutturale di detta sostanza, qualora non siano disponibili studi scientifici relativi alla sostanza che compone il suddetto prodotto, se il grado di analogia è tale da far presumere, sulla base di un’analisi obiettiva e scientificamente fondata, che una sostanza presente in un prodotto, ad una determinata concentrazione, abbia le stesse proprietà di una sostanza esistente per la quale siano disponibili gli studi richiesti.
L’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2001/83, come modificata dalla direttiva 2010/84, deve essere interpretato nel senso che un prodotto che modifica le funzioni fisiologiche può essere classificato come «medicinale», ai sensi di tale disposizione, solo se ha concreti effetti benefici per la salute. Al riguardo, un miglioramento dell’aspetto esteriore, comportante un beneficio mediato dalla maggiore autostima o dal maggior benessere che esso suscita, è sufficiente quando consente il trattamento di una patologia riconosciuta. Per contro, un prodotto che migliori l’aspetto esteriore senza avere proprietà nocive e che sia privo di effetti benefici per la salute non può essere classificato come «medicinale», ai sensi della disposizione citata”.
[1] GUUE L 311 del 28.11.2001.
[2] L’articolo 2 dell’AMG al paragrafo 2 dispone: “… I medicinali sono sostanze o preparati:
(…)
che possono essere utilizzati sull’uomo o sugli animali con uso interno o esterno o essere somministrati all’uomo o agli animali, allo scopo di
a) ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero
b) effettuare una diagnosi medica…”.
[3] L’articolo 1 della Direttiva 2001/83, intitolato “Definizioni”, al punto 2 dispone: “… Ai fini della presente direttiva, valgono le seguenti definizioni:
(…)
2) medicinale:
a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane; o
b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica…”.
[4] CGUE 03.10.2013, Causa C‑109/12, Laboratoires Lyocentre, punto 36.
[5] CGUE 06.09.2012, Causa C‑308/11, Chemische Fabrik Kreussler, punto 30; CGUE 15.01.2009, Causa C‑140/07, Hecht-Pharma, punto 25.
[6] CGUE 03.10.2013, Causa C‑109/12, Laboratoires Lyocentre, punto 42.
[7] Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici, GUUE L 342 del 22.12.2009. L’articolo 2 del Regolamento, intitolato definizioni, al paragrafo 1 lettera a) dispone: “… Ai fini del presente regolamento si intende per:
a) «prodotto cosmetico»: qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei…”.
[8] CGUE 10.07.2014, Cause riunite C‑358/13 e C‑181/14, D. e G., punti 30-33 e 37.
[9] CGUE 03.10.2013, Causa C‑109/12, Laboratoires Lyocentre, punto 43.
[10] CGUE 10.07.2014, Cause riunite C‑358/13 e C‑181/14, D. e G., punto 36.
[11] CGUE 30.04.2009, Causa C‑27/08, BIOS Naturprodukte, punto 21.