ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE NELLA DISTRIBUZIONE DI GELATI CONFEZIONATI. L’AG RANTOS SI PRONUNCIA SULLA NOZIONE DI “UNITÀ ECONOMICA” E SULL’APPLICABILITÀ GENERALE DELL’AS EFFICIENT COMPETITOR TEST

marketude Beni di consumo, Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia

In data 14 luglio 2022, l’Avvocato Generale Rantos ha reso note le sue Conclusioni nella Causa C-680/20, Unilever Italia Mkt. Operations Srl contro Autorità Garante della Concorrenza e del Marcato, sull’interpretazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). La domanda pregiudiziale era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Unilever Italia Mkt. Operations Srl (“Unilever”) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) relativa ad una sanzione inflitta alla Unilever per abuso di posizione dominante sul mercato italiano della distribuzione di gelati confezionati a taluni tipi di esercizi commerciali, quali gli stabilimenti balneari ed i bar che, a loro volta, li rivendono ai consumatori finali.

A seguito di un esposto da parte di La Bomba snc, con provvedimento del 31 ottobre 2017[1] l’AGCM aveva inflitto alla Unilever un’ammenda pari a circa 60 milioni di euro per aver abusato della sua posizione dominante sul mercato della distribuzione e della commercializzazione di gelati confezionati ai gestori di punti vendita attivi nel canale “out-of-home[2] in violazione dell’articolo 102 TFUE. Più particolarmente, secondo l’AGCM la Unilever aveva adottato una strategia escludente fondata sull’applicazione agli esercenti dei punti vendita, da un lato, di clausole di esclusiva che prevedevano l’obbligo di rifornirsi esclusivamente presso di essa per l’intero loro fabbisogno e, dall’altro, di un’ampia serie di sconti e compensi incentivanti il mantenimento dell’esclusiva, scoraggiandoli così dal porre eventualmente termine al loro contratto per rifornirsi presso imprese concorrenti[3].

La Unilever aveva impugnato la decisione dell’AGCM dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio), che aveva respinto integralmente il ricorso. La Unilever aveva allora interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (“giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiedeva se, in assenza di rapporti di partecipazione, un produttore ed i suoi distributori possano costituire un’unica “entità economica” ai sensi delle norme europee in materia di concorrenza, semplicemente in virtù di “un certo livello di ingerenza” del primo “nelle scelte commerciali” dei distributori o se, a tal fine, sia inoltre necessario un “collegamento gerarchico”, in forza del quale il produttore assoggetta i suoi distributori ad una “pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo” idonei ad incidere sulle loro “scelte strategiche ed operative”.

L’AG ha preliminarmente ricordato che la nozione di “impresa” nel diritto della concorrenza ricomprende qualsiasi entità costituita da elementi personali, materiali ed immateriali che esercita un’attività economica, indipendentemente dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento[4]. Tale nozione, inoltre, trova inoltre applicazione anche qualora, sotto il profilo giuridico, l’impresa sia costituita da più persone fisiche o giuridiche, essendo decisiva l’unità di comportamento sul mercato, senza che la formale separazione tra diverse entità, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, possa escluderla[5].

Per quanto riguarda, nello specifico, la nozione di “unità economica”, quest’ultima ha trovato applicazione prevalentemente nei confronti di società partecipanti ad intese od appartenenti ad un gruppo. Più particolarmente, nel contesto di un gruppo la responsabilità del comportamento di una società figlia può essere imputata alla società madre, allorquando la società figlia non determini in modo autonomo la sua condotta sul mercato, e bensì si attenga alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra di loro[6]. Di conseguenza, affinché un gruppo di società possa considerarsi corrispondente ad un’unità economica, con attribuzione del comportamento della società figlia alla società madre, devono essere soddisfatte due condizioni cumulative, ossia la società madre deve i) disporre della capacità di esercitare un’influenza determinante sulla società figlia, e ii) avere concretamente esercitato tale potere[7].

Benché elaborata nell’ambito delle relazioni tra una società madre e le sue società figlie, che costituiscono il contesto tipico dell’esistenza di un’unità economica, tale nozione può però venire applicata anche al di fuori dell’ambito dei gruppi societari. L’esistenza di un’unità economica, infatti, non si limita ai casi in cui tra le società intercorrano rapporti di partecipazione, e bensì riguarda anche, in determinate circostanze, i rapporti tra una società ed il suo rappresentante di commercio o tra un committente e il suo commissionario[8].

Tutto ciò premesso, l’AG ha rilevato come la Corte non sia ancora stata chiamata a valutare i comportamenti dei distributori indipendenti che potrebbero essere imputabili all’impresa dominante ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Nella pratica, infatti, il ricorso alla nozione di “unità economica” è meno frequente nel contesto dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, in quanto tale classificazione non è sempre indispensabile. In una fattispecie in cui il comportamento abusivo è materialmente posto in essere attraverso un distributore terzo, esso potrebbe effettivamente essere imputato all’impresa dominante qualora risultasse adottato dal distributore conformemente alle istruzioni specifiche impartite da tale impresa, e quindi nel quadro dell’attuazione di un’unica politica commerciale. Diversamente, l’impresa dominante potrebbe facilmente eludere il divieto di cui all’articolo 102 TFUE delegando ai suoi distributori o ad altri intermediari indipendenti tenuti a seguire le sue istruzioni taluni comportamenti abusivi, come quelli contestati alla Unilever nel caso concreto. Incombe, infatti, all’impresa detentrice di una posizione dominante (ma di per sé non ai suoi distributori) la responsabilità particolare di non pregiudicare con il suo comportamento una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno, che ciò avvenga direttamente mediante condotte abusive da essa stessa poste in essere, od indirettamente attraverso comportamenti delegati ad operatori indipendenti tenuti ad eseguire le sue istruzioni[9].

Qualora, invece, l’autorità di concorrenza ritenga che occorra attribuire la responsabilità parimenti ai distributori, la valutazione dell’esistenza dell’unità economica dovrà effettuarsi alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra il produttore e i distributori al fine di accertare, sulla base di un complesso di elementi concordanti, l’effettivo esercizio di un’influenza determinante del primo sui secondi, in modo idoneo a dimostrare che i distributori hanno agito come consapevole longa manus del produttore[10].

Di conseguenza, secondo l’AG, gli articoli 101 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che, al di fuori dei casi in cui sussistano rapporti di partecipazione, un coordinamento contrattuale tra un produttore e i suoi intermediari di distribuzione dà luogo ad un’“unità economica”, per gli effetti dei detti articoli, qualora, in considerazione dei vincoli economici, organizzativi e giuridici tra il produttore e i suoi distributori, il primo eserciti un’influenza determinante sui secondi che, non potendo operare in modo indipendente sul mercato, si riterranno indotti ad attuare le condotte ideate e poste in essere dal produttore.

La seconda questione si articola in due parti.

Con la prima parte della seconda questione, il giudice del rinvio chiedeva di conoscere se, a seguito della sentenza Intel, un’autorità garante della concorrenza sia tenuta ad analizzare, anche nel caso di una clausola di esclusiva, l‘idoneità di questa ad escludere dal mercato dei concorrenti quantomeno altrettanto efficienti rispetto all’impresa dominante. Più particolarmente, il giudice del rinvio si chiedeva se il principio secondo cui, qualora l’impresa indagata sostenga nel corso del procedimento amministrativo, sulla base di ragionevoli elementi di prova, che il suo comportamento non era tale da restringere la concorrenza e produrre gli effetti escludenti addebitati, l’autorità garante sarebbe tenuta a valutare se le pratiche oggetto di indagine fossero effettivamente idonee ad escludere dal mercato dei concorrenti quantomeno altrettanto efficienti[11], valga soltanto nel caso di un’indagine riguardante sconti di esclusiva o si applichi parimenti a condotte più ampie, ricomprendenti anche diversi obblighi di esclusiva e sconti e compensi di fidelizzazione.

Secondo l’AG, l’“as efficient competitor test” (AEC) ha portata generale ed è indipendente dal tipo di restrizione di che si tratti, qualora un’impresa dominante produca elementi di prova diretti a dimostrare che il comportamento controverso non era idoneo a produrre gli effetti. Nello specifico, la nozione di “concorrenza basata sui meriti” che costituisce il cardine della sentenza Intel[12], non si ricollega ad una tipologia particolare di pratica, non consentendo di determinare, a monte, se un comportamento la integri o meno. Tale nozione, infatti, esprime un ideale economico, sullo sfondo dell’attuale politica europea di concorrenza, che privilegia l’analisi degli effetti del comportamento su quella basata sulla sua forma, segnatamente, quando già consti che gli sconti fidelizzanti non sono di per sé necessariamente nocivi alla concorrenza. L’articolo 102 TFUE, inoltre, deve essere inteso come una disposizione che in via generale osta a che l’impresa dominante ponga in essere comportamenti escludenti alla volta dei concorrenti quantomeno altrettanto efficienti in termini di qualità, innovazione e scelta del consumatore. Tale divieto non si riferisce unicamente ai comportamenti relativi ai prezzi, quali gli sconti di esclusiva, e bensì anche a tutte le altre pratiche commerciali rilevanti, come appunto gli obblighi di esclusiva, giacché è la nocività della condotta che ne determina l’abusività e non la loro forma giuridica od economica rivestita.

Con la seconda parte della seconda questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se, nell’analisi degli effetti delle clausole di esclusiva, un’autorità garante nazionale sia tenuta ad esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte dominante sulla concreta capacità delle sue condotte di escludere dal mercato dei concorrenti altrettanto efficienti.

A giudizio dell’AG, al fine di rispettare i diritti della difesa, ed in particolare il diritto di essere ascoltato, l’ammissibilità procedurale di tale tipologia di prova è pacifica; di talché, nella misura in cui l’onere della prova degli effetti preclusivi anticoncorrenziali incombe all’ autorità, essa è tenuta a prendere attentamente in considerazione gli elementi presentati dall’impresa dominante che intenda a dimostrare che, nonostante la sua astratta capacità di produrre effetti restrittivi, il comportamento indagato non li ha in concreto prodotti.

Più particolarmente, quando un’impresa dominante sostenga, adducendo elementi concreti, che il proprio comportamento non è idoneo a restringere la concorrenza sulla base del test AEC, l’articolo 102 TFUE impone all’autorità l’obbligo di determinare se tale ipotesi ricorra, attraverso un’analisi fondata su elementi concreti[13], che rivelino la restrittività della condotta in termini che vadano oltre la semplice ipotesi[14]. In secondo luogo, e a fortiori, quando l’impresa dominante presenti elementi di prova di natura economica dimostranti che il suo operato non ha la capacità di escludere i concorrenti altrettanto efficienti, l’autorità non potrà ignorarli, anche in un contesto di valutazione di obblighi di esclusiva e pratiche di scontistica.

Di conseguenza, secondo l’AG Rantos, l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare l’esistenza di un abuso di posizione dominante, un’autorità garante della concorrenza è tenuta a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, in particolare, degli elementi dedotti dall’impresa, che il comportamento di quest’ultima avesse concreta idoneità a restringere la concorrenza, analizzando, se del caso, anche gli elementi di prova invocati dall’impresa stessa, secondo i quali il comportamento non avrebbe prodotto effetti anticoncorrenziali nel mercato rilevante. Tale obbligo vale tanto per le clausole di esclusiva quanto per i comportamenti connotati da una molteplicità di pratiche diverse, e comporta un dovere di motivazione da parte dell’autorità qualora essa ritenga che tali elementi non fossero idonei a dimostrare l’esclusione dal mercato dei concorrenti altrettanto efficienti.

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[1] Disponibile al seguente LINK.

[2] Ossia in bar, caffetterie, circoli sportivi, piscine o altri luoghi ricreativi.

[3] Tali condotte erano state poste in essere dalla Unilever per la maggior parte tramite la sua rete di 150 distributori con i quali aveva instaurato un rapporto di esclusiva, in forza del quale: i) la Unilever vendeva i suoi prodotti a uno solo di tali distributori per la rivendita in un determinato territorio, ii) il distributore, che aveva quindi lo status di concessionario, era soggetto al contempo al divieto di vendita attiva nei territori attribuiti in esclusiva ad altri concessionari ed al divieto di produrre o commercializzare prodotti di operatori concorrenti, e iii) tale distributore doveva altresì acquistare l’attrezzatura destinata a conservare e presentare i gelati nei punti vendita, nonché il materiale di marketing che doveva poi essere retroceduto gratuitamente ai gestori dei detti punti vendita.

[4] CGUE 27.04.2017, Causa C‑516/15 P, Akzo Nobel e a./Commissione, punto 47.

[5] CGUE 06.10.2021, Causa C‑882/19, Sumal, punto 41.

[6] CGUE 25.03.2021, Causa C‑152/19 P, Deutsche Telekom II/Commissione, punto 73.

[7] CGUE 26.07.2013, Causa C‑179/12 P, The Dow Chemical Company/Commissione, punto 55.

[8] Tribunale 11.12.2003, Causa T‑66/99, Minoan Lines/Commissione, punti 125-128.

[9] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 135; CGUE 06.12.2012, Causa C‑457/10 P, AstraZeneca/Commissione, punto 165.

[10] CGUE 25.03.2021, Causa C‑152/19 P, Deutsche Telekom II/Commissione, punti 75-77.

[11] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punti 138-139.

[12] Ibidem, punti 133-134.

[13] CGUE 06.12.2012, Causa C‑457/10 P, AstraZeneca/Commissione, punto 202.

[14] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 65.