In data 12 maggio 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata[1] nella Causa C-573/19, Commissione europea controRepubblica italiana, avente ad oggetto l’inosservanza, da parte della Repubblica italiana, di una serie di obblighi sulla qualità dell’aria imposti dal combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’allegato XI della Direttiva 2008/50/CE dell’Unione[2].
Questi i fatti che hanno condotto alla sentenza della Corte.
In data 29 maggio 2015, la Commissione Europea aveva avviato un procedimento di infrazione[3] ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) nei confronti della Repubblica italiana, invitandola, attraverso una lettera di messa in mora, a presentare spiegazioni in merito al mancato rispetto degli obblighi previsti agli articoli 13 e 23 della Direttiva 2008/50[4] in diverse zone del territorio italiano[5]. Dopo l’accettazione da parte della Commissione di una prima richiesta di proroga del termine, la Repubblica Italiana aveva deciso di rispondere, in prima battuta, non negando la violazione di tali obblighi, ma sottolineando che la presa in considerazione di tali violazioni sarebbe stata improduttiva di effetti per la valutazione dell’efficacia dei piani per la qualità dell’aria attuati dalle autorità nazionali.
La Commissione, giudicando insufficiente la giustificazione della Repubblica Italiana, in data 16 febbraio 2017 aveva trasmesso un parere motivato, nel quale lamentava persistenti e continui superamenti dei valori limite fissati per ilbiossido di azoto (NO2) rispetto a quanto prescritto dall’articolo 13 della Direttiva 2008/50, letto in combinato disposto con l’allegato XI della medesima Direttiva. In data 24 aprile 2017, la Repubblica Italiana aveva risposto al parere motivato ribadendo la propria posizione.
Non convinta della risposta delle autorità italiane, ed a seguito di una riunione avuta con quest’ultime, la Commissione ha esperito il ricorso per infrazione, dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, con lo scopo di sentir constatare che la Repubblica italiana, a causa dell’inosservanza sistematica e continuata del valore limite annuale fissato per il NO2, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della Direttiva 2008/50/CE. Il ricorso della Commissione si fondava sui dati relativi alla qualità dell’aria per l’anno 2017 e, nella sua replica, su quelli per il 2018.
Con la sua prima censura, la Commissione ha sostenuto che la Repubblica Italiana aveva violato i predetti obblighi a partire dal 1º gennaio 2010, dal momento che il valore limite annuale fissato per il NO2 era stato regolarmente superato in dieci aree geografiche della Repubblica Italiana, e che tale valore limite continuava ad essere superato anche alla data di proposizione del ricorso. Secondo la Commissione, il solo superamento del limite annuale già costituisce una violazione della Direttiva, senza che rilevi il fatto che lo Stato Membro abbia rispettato gli altri obblighi ivi previsti, o che vi siano stati altri fattori, indipendenti dalla volontà dello Stato Membro, che hanno contribuito al superamento di tale limite.
La Repubblica italiana, dal canto suo, ha contestato l’inadempimento addebitato, sostenendo che la Commissione aveva trascurato di effettuare qualsiasi indagine circa l’efficacia causale di altri fattori, indipendenti dalla volontà delle autorità italiane, attribuibili sia alle politiche dell’Unione, che alle condizioni orografiche, morfologiche o meteorologiche del territorio italiano. Inoltre, ad avviso della Repubblica italiana, l’unico obbligo a carico degli Stati Membri in caso di superamento dei valori limite è la predisposizione di piani per la qualità dell’aria che stabiliscano misure appropriate affinché il periodo di superamento di tali valori sia il più breve possibile, mentre il mero fatto del loro superamento non dovrebbe di per sé comportare una violazione della Direttiva.
Con riferimento alla prima censura mossa dalla Commissione, la Corte ha preliminarmente ricordato che la violazione dell’articolo 13 della Direttiva 2008\50 deve essere valutata alla luce della giurisprudenza della Corte, secondo la quale il procedimento di cui all’articolo 258 del TFUE si basa sull’accertamento oggettivo dell’inosservanza, da parte di uno Stato Membro, degli obblighi impostigli dal TFUE o da un atto di diritto derivato. Pertanto, la Commissione era tenuta unicamente a dimostrare l’inosservanza del valore limite annuale previsto dalla Direttiva.
A tal proposito, la Corte ha più volte sottolineato che il superamento dei valori limite fissati per gli inquinanti nell’aria, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, è di per sé sufficiente per condurre alla constatazione dell’inadempimento al combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’allegato XI della Direttiva 2008/50[6]. Nel caso di specie, i dati risultanti dalle relazioni annuali riguardanti la qualità dell’aria presentati dalla Repubblica Italiana mostravano che, a partire dal 2010, il valore limite annuale fissato per il NO2 era stato regolarmente superato in tutte le zone interessate. La Corte ha anche rigettato l’argomentazione della Repubblica Italiana, secondo cui la Direttiva imporrebbe soltanto un obbligo di riduzione progressiva dei livelli di concentrazione di NO2. Affermando una simile interpretazione lascerebbe inaccettabilmente alla discrezionalità degli Stati Membri la realizzazione dell’obiettivo di protezione della salute umana, contrariamente agli obiettivi e allo spirito della Direttiva.
Inoltre, la Corte ha statuito che non poteva essere accolto l’argomento della Repubblica Italiana secondo cui il superamento dei valori limite non potrebbe essere imputato esclusivamente allo Stato Membro interessato, dato che esso risultava anche da fattori che sfuggivano al suo controllo.
La Corte ha, pertanto, accolto la prima censura presentata dalla Commissione.
Per quanto riguarda la seconda censura, la Commissione aveva sostenuto che, a partire dall’11 giugno 2010, la Repubblica Italiana era altresì venuta meno all’obbligo di fare sì che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il NO2 fosse il più breve possibile.
Al riguardo, la Corte ha affermato che dall’articolo 23 della Direttiva 2008/50 risulta che, sebbene gli Stati Membri dispongano di un certo margine di manovra per la determinazione delle misure da adottare, queste ultime devono, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile. In particolare, la Corte ha ricordato che la predetta norma esige che, qualora sia stato accertato un superamento dei valori limite, ciò di per sé debba indurre il più rapidamente possibile lo Stato Membro interessato non solo ad adottare, ma anche a dare esecuzione a misure appropriate in un piano per la qualità dell’aria. Di conseguenza, il margine di manovra di cui dispone lo Stato Membro è limitato da questi obblighi[7]. Inoltre, la Corte ha precisato che i piani per la qualità dell’aria devono essere predisposti solo sulla base del principio dell’equilibrio tra l’obiettivo della riduzione del rischio di inquinamento ed i diversi interessi pubblici e privati in gioco[8].
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha proceduto a verificare se, nelle circostanze del caso, i piani per la qualità dell’aria predisposti dalla Repubblica Italiana fossero conformi all’articolo 23. Sono tre i principali passaggi su cui la Corte ha basato le proprie conclusioni.
In primo luogo, la Corte ha osservato che la Repubblica Italiana aveva adottato le misure di modifica dei piani esistenti per la qualità dell’aria per le Regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana e Sicilia successivamente alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato, fissato al 16 aprile 2017, nonostante nelle zone appartenenti a tali Regioni fossero stati constatati superamenti del valore limite annuale fissato per il NO2 già a partire dall’anno 2010. Per quanto riguarda la Regione Lazio, essendo quest’ultima a partire dal 2012 coincidente con l’agglomerato di Roma, da tali elementi si poteva dedurre che, alla data di scadenza del predetto termine, non era stato adottato alcun piano per la qualità dell’aria, dato che era ancora in vigore il piano risalente al 2009, adottato prima dell’11 giugno 2010.
In secondo luogo, la Corte ha anche rilevato che i piani per la qualità dell’aria delle regioni Liguria e Lazio non contenevano tutte le informazioni elencate all’allegato XV, punto A, della Direttiva 2008/50.
In terzo luogo, la Corte ha evidenziato che le scadenze previste nei piani regionali per il raggiungimento degli obiettivi sulla qualità dell’aria erano troppo lontane nel tempo rispetto all’entrata in vigore dei valori limite fissati per il NO2, in alcuni casi trattandosi anche di due decenni dopo[9]. Pertanto, la Corte ha concluso che le misure previste nei piani non erano idonee a consentire che il superamento dei valori limite fosse il più breve possibile.
Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte ha accolto anche la seconda censura, in quanto la Repubblica Italiana non aveva adottato in tempo utile misure appropriate per garantire che il periodo di superamento del valore limite fissato per il NO2 fosse il più breve possibile nelle zone interessate, posto che il superamento di tale valore limite era rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni. Inoltre, la Corte ha ritenuto che gli argomenti addotti dalla Repubblica italiana non potessero giustificare tempi lunghi per porre fine ai superamenti dei valori limite, atteso che vi è un obbligo diretto degli Stati membri di garantire che il periodo di superamento di tali valori sia il più breve possibile.
Alla luce di quanto precede, la Corte ha statuito che:
“La Repubblica italiana, non avendo provveduto affinché non fosse superato, in modo sistematico e continuato, il valore limite annuale fissato per il biossido di azoto (NO2),
- a partire dall’anno 2010 fino al 2018 incluso, nelle zone IT0118 (agglomerato di Torino); IT0306 (agglomerato di Milano); IT0307 (agglomerato di Bergamo); IT0308 (agglomerato di Brescia); IT0711 (Comune di Genova); IT0906 (agglomerato di Firenze) e IT1215 (agglomerato di Roma);
- a partire dall’anno 2010 fino al 2017 incluso, nella zona IT0309 (zona A – pianura ad elevata urbanizzazione);
- a partire dall’anno 2010 fino al 2012 e a partire dall’anno 2014 fino al 2018 incluso, nella zona IT1912 (agglomerato di Catania), nonché
- a partire dall’anno 2010 fino al 2012 e a partire dall’anno 2014 fino al 2017 incluso, nella zona IT1914 (zone industriali),
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, e, non avendo adottato, a partire dall’11 giugno 2010, misure appropriate per garantire il rispetto del valore limite annuale fissato per il NO2 in tutte le suddette zone e, in particolare, non avendo provveduto affinché i piani per la qualità dell’aria prevedessero misure appropriate affinché il periodo di superamento di detto valore limite fosse il più breve possibile, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, letto da solo e in combinato disposto con l’allegato XV, punto A, di quest’ultima.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
[1] CGUE 12.05.2022, Commissione europea contro Repubblica italiana, causa C‑573/19, EU:C:2022:380.
[2] Direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, GUUE L 152 dell’11.06.2008.
[3] Procedimento di infrazione n. 2015/2043.
[4] La Direttiva 2008/50 del Parlamento e del Consiglio, entrata in vigore l’11 giugno 2008, ha sostituito cinque atti dell’Unione europea preesistenti relativi alla valutazione e alla gestione della qualità dell’aria ambiente, segnatamente le Direttive 96/62 e 1999/30, le quali sono state abrogate a decorrere dall’11 giugno 2010, come risulta dall’articolo 31 della Direttiva 2008/50. L’articolo 13 di tale direttiva, rubricato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana», al suo paragrafo 1 così dispone: «Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI. Per quanto riguarda il biossido di azoto e il benzene, i valori limite fissati nell’allegato XI non possono essere superati a decorrere dalle date indicate nel medesimo allegato. Il rispetto di tali requisiti è valutato a norma dell’allegato III. I margini di tolleranza fissati nell’allegato XI si applicano a norma dell’articolo 22, paragrafo 3 e dell’articolo 23, paragrafo 1».
L’articolo 23 della Direttiva 2008/50, rubricato «Piani per la qualità dell’aria», al suo paragrafo 1 prevede : «Se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria per le zone e gli agglomerati in questione al fine di conseguire il relativo valore limite o valore-obiettivo specificato negli allegati XI e XIV. In caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini. Tali piani per la qualità dell’aria contengono almeno le informazioni di cui all’allegato XV, punto A, e possono includere misure a norma dell’articolo 24. Detti piani sono comunicati alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento. Qualora occorra predisporre o attuare piani per la qualità dell’aria relativi a diversi inquinanti, gli Stati membri, se del caso, predispongono e attuano piani integrati per la qualità dell’aria riguardanti tutti gli inquinanti interessati».
[5] Nello specifico trattasi delle zone: a partire dal 1° gennaio 2010 e senza interruzione, IT0118 (agglomerato di Torino); IT0306 (agglomerato di Milano); IT0307 (agglomerato di Bergamo); IT0308 (agglomerato di Brescia); IT0309 (zona A – pianura ad elevata urbanizzazione); IT0711 (Comune di Genova); IT0906 (agglomerato di Firenze) e IT1215 (agglomerato di Roma), e, dall’anno 2010 fino al 2012 e a partire dal 2014 nelle zone IT1912 (agglomerato di Catania) e IT1914 (aree industriali).
[6] CGUE 03.06.2021, Causa C‑635/18 Commissione/Germania (Valori limite – NO2), non pubblicata, EU:C:2021:437, punto 78.
[7] Si veda CGUE 10.11.3020, Causa C-644/18, Commissione /Italia (Valori limite- PM10) punto 150.
[8] CGUE 10.11.3020, Causa C-644/18, Commissione /Italia (Valori limite- PM10) punto 153.
[9] L’anno di realizzazione degli obiettivi di qualità dell’aria è stato stimato, per la Regione Toscana, nel 2020, per le Regioni Lombardia e Lazio, nel 2025, per la Regione Siciliana, nel 2027 e, per la Regione Piemonte, nel 2030.