CONCORRENZA NEL MERCATO DELL’ENERGIA ELETTRICA. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SUL TRASFERIMENTO DI INFORMAZIONI COMMERCIALI SENSIBILI ALL’INTERNO DI UN GRUPPO PER MANTENERE UNA POSIZIONE DOMINANTE

marketude Contenzioso, Diritto Europeo e della Concorrenza, Energia e Ambiente, Marco Stillo, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia

In data 12 maggio 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale SpA e a. controAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sull’interpretazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). La domanda pregiudiziale era stata presentata nell’ambito di controversie tra, da un lato, ENEL SpA (“ENEL”), impresa verticalmente integrata monopolista storico della produzione di energia elettrica in Italia e fortemente attiva nella sua distribuzione, Servizio Elettrico Nazionale SpA (“SEN”) ed ENEL Energia SpA (“EE”), e, dall’altro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) in merito alla decisione di quest’ultima di infliggere alle suddette società una sanzione pecuniaria per abuso di posizione dominante.

Questi i fatti.

Nell’ambito della progressiva liberalizzazione del mercato della vendita di energia elettrica in Italia[1], l’ENEL era stata assoggettata ad un procedimento di separazione (c.d. “unbundling”), a seguito del quale le varie fasi della catena distributiva erano state attribuite a imprese distinte, ossia i) E‑Distribuzione, concessionaria del servizio di distribuzione, ii) EE, fornitore di energia elettrica per il mercato libero, e iii) SEN, gestore del servizio di maggior tutela nei segmenti in cui E-Distribuzione era la concessionaria del servizio di distribuzione.

Sulla base di segnalazioni che denunciavano l’utilizzo illecito di informazioni commerciali sensibili da parte di operatori che le possedevano in ragione della loro appartenenza al gruppo ENEL, l’AGCM aveva avviato un procedimento nei confronti di ENEL, SEN ed EE per accertare se i loro comportamenti assunti congiuntamente configurassero una violazione dell’articolo 102 TFUE. A seguito dell’istruttoria, in data 20 dicembre 2018 l’AGCM aveva accertato che SEN ed EE, coordinate dalla capogruppo ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE sui mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non connessi alla rete di bassa tensione, nelle aree nelle quali il gruppo ENEL gestiva l’attività di distribuzione, comminando loro un’ammenda pari a circa 93 milioni di euro. Secondo l’AGCM, le due imprese indagate avevano attuato una strategia escludente nel mercato in questione mirante a “traghettare” i clienti da SEN (gestore del mercato tutelato) a EE (attiva sul libero mercato) al fine contrastare un passaggio in massa degli utenti di SEN a fornitori terzi in vista dell’abolizione del mercato tutelato, che avrebbe potuto comportare una riassegnazione di tali utenze mediante aste.

Le società del gruppo ENEL avevano impugnato la decisone dell’AGCM dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio che, da un lato, aveva accolto i ricorsi di EE e SEN nella parte relativa alla durata dell’abuso e ai criteri di determinazione della sanzione riducendone l’importo e, dall’altro lato, aveva respinto integralmente il ricorso di ENEL confermando la sanzione irrogata. Avverso tali decisioni, le tre società avevano interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (“giudice del rinvio”) che, riunite le cause e alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia cinque questioni pregiudiziali.

Con la seconda questione pregiudiziale (esaminata per prima), il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, al fine di accertare se una pratica costituisca uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, sia sufficiente che un’autorità garante della concorrenza dimostri che tale pratica è idonea a pregiudicare una struttura di effettiva concorrenza sul mercato rilevante, oppure se occorra altresì, o alternativamente, dimostrare che la stessa pratica può incidere sul benessere dei consumatori.

La Corte ha preliminarmente ricordato che l’articolo 102 TFUE fa parte di un insieme di regole che mirano ad evitare che la concorrenza sia alterata a danno dell’interesse pubblico, delle singole imprese e dei consumatori, così contribuendo a garantire il benessere comune all’interno dell’Unione[2]. Tra tali regole, l’articolo 102 TFUE colpisce i comportamenti di un’impresa che detiene una posizione dominante e che abbiano effetti a danno dei consumatori, ricorrendo a mezzi o a risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, ed ostacolando la preservazione del grado di concorrenza esistente sul mercato o il suo sviluppo[3]. Di conseguenza, l’articolo 102 TFUE sanziona non soltanto le pratiche che possono provocare un danno diretto ai consumatori, e bensì anche quelle che li danneggiano indirettamente pregiudicando una concorrenza effettiva[4]; non osta invece a che, in virtù di una concorrenza basata sui meriti, vengano espulsi dal mercato i concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori dal punto di vista dei prezzi, della scelta dei servizi, della qualità o dell’innovazione[5].

Il benessere dei consumatori, sia intermedi che finali, deve pertanto essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una sua parte sostanziale, di talché un’impresa che detiene una simile posizione può provare che una pratica escludente non incorre nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che i suoi effetti sono controbilanciati, se non superati, da vantaggi di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori[6]. Di conseguenza, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa dominante è idonea a pregiudicare una struttura di mercato di concorrenza effettiva, senza che sia necessario che la medesima dimostri che la pratica è altresì idonea ad arrecare un danno diretto ai consumatori.

Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, al fine di accertare il carattere abusivo della condotta di un’impresa dominante, debbano essere considerati rilevanti gli elementi prodotti dall’impresa diretti a dimostrare che, nonostante l’astratta idoneità della condotta a produrre effetti restrittivi, questa non li ha concretamente prodotti e, in caso affermativo, se l’autorità di concorrenza sia tenuta a esaminare tali elementi in modo approfondito.

La Corte ha ricordato che il carattere abusivo delle pratiche escludenti presuppone che esse abbiano la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti escludenti addebitati[7], di talché, nel caso in cui, nel corso del procedimento, l’impresa dominante adduca che la sua condotta non ha avuto la concreta capacità di restringere la concorrenza, l’autorità di concorrenza deve verificare se, nelle circostanze del caso concreto, la condotta avesse invece tale capacità[8].

A tal proposito, la qualificazione come abusiva di una pratica di un’impresa dominante non impone la positiva dimostrazione del concreto effetto escludente[9]. Se è vero, infatti, che, quando il comportamento è durato per un periodo di tempo sufficiente, le prestazioni di mercato dell’impresa dominante e dei suoi concorrenti possono fornire la prova dell’effetto escludente, la circostanza inversa per cui un determinato comportamento non avrebbe prodotto effetti anticoncorrenziali non può escludere, anche laddove sia trascorso un lungo periodo di tempo dal suo verificarsi, che esso avrebbe avuto tale capacità venne attuato[10], in quanto l’assenza di effetti potrebbe risultare da altre cause. Di conseguenza, la prova addotta dall’impresa dominante dell’assenza di effetti escludenti non può essere considerata sufficiente, di per sé, ad escludere l’applicazione dell’articolo 102 TFUE.

Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che l’esistenza di una pratica abusiva escludente da parte di un’impresa dominante deve essere valutata unicamente sulla base della capacità di tale pratica di produrre effetti anticoncorrenziali, oppure se occorra tener conto anche dell’intento dell’impresa di restringere la concorrenza.

La Corte ha rammentato che, per accertare il carattere abusivo di una pratica escludente, un’autorità garante di concorrenza deve dimostrare che i) essa aveva la capacità, quando venne attuata, di produrre tale effetto, nel senso che essa poteva rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento dei concorrenti nel mercato di cui trattasi, e, così facendo, che detta pratica poteva incidere sulla sua struttura, e ii) che la pratica si basava sullo sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. Di conseguenza, per constatare lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, un’autorità di concorrenza non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un intento anticoncorrenziale in capo all’impresa dominante[11].

Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che una pratica, pur lecita al di fuori della prospettiva del diritto della concorrenza, possa, se attuata da un’impresa dominante, essere qualificata come abusiva, unicamente sulla base dei suoi effetti potenzialmente anticoncorrenziali o se una tale qualificazione richieda inoltre che la pratica sia attuata con mezzi o risorse diversi da quelli caratteristici di una concorrenza normale. In questa seconda ipotesi, il giudice si interroga sui criteri che consentono di differenziare i mezzi o le risorse propri di una concorrenza normale rispetto a quelli propri di una concorrenza falsata.

La Corte ha sottolineato che, da un lato, una pratica non può essere qualificata come abusiva se è rimasta allo stadio di progetto senza essere stata attuata e che, dall’altro, un’autorità di concorrenza non può basarsi sugli effetti che tale pratica potrebbe o avrebbe potuto produrre se talune circostanze particolari, che non erano quelle esistenti sul mercato al momento della sua attuazione e la cui realizzazione risultava allora improbabile, si fossero realizzate o si realizzino. Per essere qualificata come abusiva, è sufficiente che la pratica abbia avuto, nel periodo durante il quale è stata attuata, idoneità a produrre un effetto escludente nei confronti di concorrenti di efficienza quantomeno pari all’impresa in posizione dominante (c.d. “as efficient competitor”)[12]. Poiché il carattere abusivo di una pratica non dipende dalla forma che essa assume o assumeva, e bensì presuppone che essa abbia od abbia avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre, al momento della sua attuazione, gli effetti escludenti contestati, tale condizione deve essere valutata alla luce di tutte le circostanze di fatto pertinenti[13].

Sebbene l’articolo 102 TFUE non abbia lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti di tale impresa[14], alle imprese dominanti incombe la speciale responsabilità di non pregiudicare con il loro comportamento una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno[15]. Di conseguenza, le imprese in posizione dominante possono difendersi dai loro concorrenti ricorrendo soltanto ai mezzi propri di una concorrenza “normale” (vale a dire, basata sui meriti), non potendo invece ostacolare la penetrazione o il mantenimento sul mercato dei concorrenti altrettanto efficienti ricorrendo a mezzi diversi[16]. A tal riguardo, dev’essere considerata come un mezzo diverso da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti qualsiasi pratica per la cui attuazione l’impresa dominante non persegue alcun interesse economico diverso da quello di eliminare i suoi concorrenti per poter poi rialzare i propri prezzi traendo profitto dalla situazione di monopolio[17]. Ciò vale anche per una pratica che non può essere adottata da un ipotetico concorrente il quale, benché altrettanto efficiente, non detenga una posizione dominante, poiché essa si basa sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione[18].

Qualora un’autorità di concorrenza accerti che una pratica avviata da un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno, tale impresa può dimostrare che la pratica in questione è o era obiettivamente giustificata o dalle circostanze del caso concreto esogene rispetto a sé[19] o, tenuto conto dell’obiettivo ultimo perseguito dall’articolo 102 TFUE, dall’interesse dei consumatori[20]. Al riguardo, la nozione di concorrenza basata sui meriti si riferisce, in linea di principio, ad una situazione da cui i consumatori beneficiano di prezzi meno elevati, di una qualità migliore e di una scelta più ampia di beni e di servizi nuovi o più efficienti, dovendosi in particolare considerare meritori i comportamenti che hanno l’effetto di ampliare la scelta dei consumatori immettendo sul mercato nuovi prodotti o migliorando la quantità o la qualità di quelli già offerti. In un caso del genere, l’impresa dominante può giustificarsi dimostrando che l’effetto escludente che la sua condotta era idonea a produrre era controbilanciato, se non superato, da vantaggi di efficienza a beneficio anche dei consumatori[21].

Secondo la Corte, costituisce uno sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, in quanto poggia su risorse inaccessibili ad un ipotetico concorrente altrettanto efficiente, ma che non gode di una posizione dominante, l’utilizzo da parte di un’impresa di diritti esclusivi di cui essa dispone o disponeva, quali un monopolio legale, al fine di estendere su un altro mercato la posizione dominante ivi detenuta[22]. Di conseguenza, quando perde il monopolio legale prima detenuto su un mercato, l’impresa deve astenersi, durante tutta la fase di liberalizzazione di quest’ultimo, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del precedente monopolio e che, per tale ragione, non sono disponibili ai concorrenti, al fine di conservare la dominanza sul mercato liberalizzato.

Nel caso concreto, pertanto, l’impresa consistente nell’insieme di SEN ed EE era tenuta ad astenersi da qualsiasi comportamento sul mercato tutelato che fosse idoneo a pregiudicare una effettiva concorrenza sul mercato libero, estendendo su di esso la posizione dominante pregressa[23]. La possibilità di contattare la clientela del mercato tutelato presentava, infatti, un interesse economico certo per qualsiasi impresa che intendesse affermarsi sul mercato libero. Poiché, inoltre, vi era intenzione di trasferire al nuovo insieme di SEN ed EE informazioni commerciali sensibili già detenute dal SEN in merito alla sua clientela, dietro pagamento di un corrispettivo, la possibilità di accedere a tali informazioni avrebbe dovuto venire accordata alle stesse condizioni anche ai concorrenti di EE.

Con la quinta questione pregiudiziale, infine, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, qualora una posizione dominante sia sfruttata in modo abusivo da una o più società figlie appartenenti a un’unità economica, l’esistenza di tale unità sia sufficiente per ritenere che la società madre sia anch’essa responsabile dell’ abuso, ancorché non abbia partecipato alle pratiche, o se sia necessario fornire la prova, anche indiretta, di un coordinamento tra queste diverse società e, in particolare, dimostrare il coinvolgimento della società madre.

La Corte ha ricordato che laddove siano organizzate sotto forma di gruppo, le persone giuridiche distinte che ne fanno parte formano un’unica impresa, quando non determinano in modo autonomo il loro comportamento sul mercato rilevante, e bensì alla luce, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che le uniscono ad una società madre, subiscono gli effetti dell’esercizio effettivo, da parte di tale unità di direzione, di un’influenza determinante[24]. Qualora, inoltre, la società madre detenga, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale della società figlia responsabile di un’infrazione alle norme di concorrenza, l’esercizio effettivo dell‘influenza determinante può essere presunto[25]. Tale presunzione, tuttavia, è relativa[26], in quanto non si fonda sulla mera detenzione della percentuale rilevante del capitale sociale della società figlia, e bensì sul grado di controllo che essa implica[27]; di talché, la società madre può confutare la presunzione  dimostrando che, benché detenesse la totalità o la quasi totalità del capitale di un’altra società, non le impartiva istruzioni all’epoca dell’attuazione della pratica, né partecipava direttamente o indirettamente all’adozione delle sue decisioni rilevanti.

Qualora una decisione di un’autorità di concorrenza constati che una società formava, all’epoca dei fatti, con una o più delle sue società figlie, un’unica impresa ai fini della realizzazione di un’attività economica, essa deve contenere l’esposizione delle ragioni che giustificano tale constatazione[28]. Un simile obbligo di motivazione, tuttavia, non implica che l’autorità di concorrenza sia tenuta a prendere posizione su ciascuno dei singoli elementi addotti dalla società madre per confutare la presunzione di influenza determinante[29]. Di conseguenza, essendo pacifico che, nel caso concreto, l’ENEL deteneva la totalità o la quasi totalità del capitale di SEN, l’AGCM poteva presumere che tale società madre formasse con la propria società figlia un’unica impresa ai fini dell’attività di distribuzione di energia elettrica sul mercato rilevante. Tale presunzione non era stata confutata nel corso del procedimento.

Alla luce di quanto precede, la Corte ha statuito che:

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare se una pratica costituisca uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, è sufficiente che un’autorità garante della concorrenza dimostri che tale pratica è idonea a pregiudicare la struttura di effettiva concorrenza sul mercato rilevante, a meno che l’impresa dominante in questione non dimostri che gli effetti anticoncorrenziali che possono derivare da detta pratica sono controbilanciati, se non superati, da effetti positivi per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità e di innovazione.

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di escludere il carattere abusivo di una condotta di un’impresa in posizione dominante, deve essere considerata non sufficiente, di per sé, la prova, addotta dall’impresa in questione, che tale condotta non ha prodotto effetti restrittivi concreti. Tale elemento può costituire un indizio dell’incapacità della condotta in questione di produrre effetti anticoncorrenziali, il quale, tuttavia, dovrà essere integrato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità.

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che l’esistenza di una pratica escludente abusiva da parte di un’impresa in posizione dominante deve essere valutata sulla base della capacità di tale pratica di produrre effetti anticoncorrenziali. Un’autorità garante della concorrenza non è tenuta a dimostrare l’intento dell’impresa in questione di escludere i propri concorrenti ricorrendo a mezzi o risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza basata sui meriti. La prova di un simile intento costituisce nondimeno una circostanza di fatto che può essere presa in considerazione ai fini della determinazione di un abuso di posizione dominante.

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che una pratica lecita al di fuori del diritto della concorrenza può, qualora sia attuata da un’impresa in posizione dominante, essere qualificata come «abusiva», ai sensi di tale disposizione, se può produrre un effetto escludente e se si basa sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. Qualora queste due condizioni siano soddisfatte, l’impresa in posizione dominante interessata può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che la pratica in questione era obiettivamente giustificata e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori.

L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, quando una posizione dominante è sfruttata in modo abusivo da una o più società figlie appartenenti a un’unità economica, l’esistenza di tale unità è sufficiente per ritenere che la società madre sia anch’essa responsabile di tale abuso. L’esistenza di una simile unità deve essere presunta qualora, all’epoca dei fatti, almeno la quasi totalità del capitale di tali società figlie fosse detenuta, direttamente o indirettamente, dalla società madre. L’autorità garante della concorrenza non è tenuta a fornire alcuna prova aggiuntiva, a meno che la società madre non dimostri che essa non aveva il potere di definire i comportamenti delle società figlie, le quali agivano autonomamente”.

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[1] Dopo un’iniziale distinzione, nell’architettura dei mercati a valle, tra i clienti “ammessi” a scegliere un fornitore sul mercato libero diverso dal loro distributore territorialmente competente, e quelli “vincolati”, non in grado di rendersi acquirenti dei prodotti energetici in condizioni di consapevolezza e adeguata forza negoziale e perciò oggetto di un regime regolato, denominato “servizio di maggior tutela”, in un secondo momento anche questi ultimi erano stati progressivamente abilitati al mercato libero.

[2] CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punti 21-22.

[3] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 148; CGUE 27.03.2012, Causa C‑209/10, Post Danmark, punto 24; CGUE 13.02.1979, Causa 85/76, Hoffmann‑La Roche/Commissione, punto 91.

[4] CGUE 15.03.2007, Causa C‑95/04 P, British Airways/Commissione, punti 106-107; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 24.

[5] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 134.

[6] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 165; CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punti 134 e 140.

[7] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 154.

[8] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punti 138 e 140.

[9] CGUE 30.01.2020, Cause riunite C‑538/18 P e C‑539/18 P, České dráhy/Commissione, punto 70.

[10] Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti, GUUE C 45 del 24.02.2009, punto 20.

[11] CGUE 19.04.2012, Causa C‑549/10 P, Tomra Systems e a./Commissione, punto 21

[12] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 66.

[13] CGUE 25.03.2021, Causa C‑165/19 P, Slovak Telekom/Commissione, punto 42; CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 154.

[14] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punti 133-134.

[15] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 135; CGUE 09.11.1983, Causa 322/81, Nederlandsche Banden‑Industrie‑Michelin/Commissione, punto 57.

[16] CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 87; CGUE 14.11.1996, Causa C‑333/94 P, Tetra Pak/Commissione, punto 25; CGUE 03.10.1985, Causa 311/84, CBEM, punto 25.

[17] CGUE 03.07.1991, Causa C‑62/86, AKZO/Commissione, punto 71.

[18] CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punti 41-43; CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 47; CGUE 26.11.1998, Causa C‑7/97, Bronner, punti 44-45.

[19] CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punti 31 e 75.

[20] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 165.

[21] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 165; CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 140; CGUE 15.03.2007, Causa C‑95/04 P, British Airways/Commissione, punto 86.

[22] CGUE 17.09.2014, Causa C‑553/12 P, Commissione/DEI, punti 45-47 e 66-68.

[23] CGUE 03.10.1985, Causa 311/84, CBEM, punto 27.

[24] CGUE 25.03.2021, Causa C‑152/19 P, Deutsche Telekom/Commissione, punti 74-75.

[25] CGUE 15.04.2021, Causa C‑694/19 P, Italmobiliare e a./Commissione, punto 55.

[26] CGUE 08.05.2013, Causa C‑508/11 P, Eni/Commissione, punto 47.

[27] CGUE 27.01.2021, Causa C‑595/18 P, The Goldman Sachs Group/Commissione, punto 35.

[28] CGUE 29.09.2011, Causa C‑521/09 P, Elf Aquitaine/Commissione, punto 152; CGUE 02.10.2003, Causa C‑196/99 P, Aristrain/Commissione, punto 100.

[29] CGUE 05.12.2013, Causa C‑446/11 P, Commissione/Edison, punto 23.