MERCATO DELL’ENERGIA ELETTRICA. L’AG RANTOS SI PRONUNCIA SULL’UTILIZZAZIONE DI INFORMAZIONI COMMERCIALMENTE SENSIBILI ALL’INTERNO DI UN GRUPPO DI IMPRESE DOMINANTI E SULL’IMPUTABILITÀ DELLE CONDOTTE ALL’INTERNO DEL GRUPPO

marketude Energy and Environment, EU and Competition, Litigation, Marco Stillo, Publications, Roberto A. Jacchia

In data 9 dicembre 2021, l’Avvocato Generale Rantos ha reso note le sue Conclusioni nella Causa C‑377/20, Servizio Elettrico Nazionale SpA e a. contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sull’interpretazione ed applicazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) nel contesto del processo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica in Italia.

Questi i fatti.

Vi era stata, nell’architettura dei mercati a valle, una iniziale distinzione tra i clienti “ammessi” a scegliere un fornitore sul mercato libero diverso dal loro distributore territorialmente competente, e quelli “vincolati”, vale a dire, clienti domestici e piccole imprese, non in grado di rendersi acquirenti dei prodotti energetici in condizioni di consapevolezza e adeguata forza negoziale, e che perciò beneficiavano di un regime regolato, denominato “servizio di maggior tutela”[1]. In un secondo momento, anche questi ultimi sono stati progressivamente abilitati al mercato libero. In tale contesto l’ENEL SpA (“ENEL”), impresa verticalmente integrata monopolista della produzione di energia elettrica in Italia e fortemente attiva nella sua distribuzione, era stata assoggettata ad un procedimento di separazione (c.d. “unbundling”), a seguito del quale le varie fasi della catena distributiva erano state attribuite a imprese distinte, ossia i) E‑Distribuzione, concessionaria del servizio di distribuzione, ii) Enel Energia SpA (“EE”), fornitore di energia elettrica per il mercato libero, e iii) Servizio Elettrico Nazionale SpA (“SEN”), gestore del servizio di maggior tutela nelle aree in cui  E-Distribuzione era la concessionaria del servizio di distribuzione.

Sulla base di segnalazioni che denunciavano l’utilizzo illecito di informazioni commercialmente sensibili da parte di operatori che le possedevano in ragione della loro appartenenza al gruppo ENEL, in data 4 maggio 2017 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva avviato un procedimento istruttorio nei confronti di ENEL, SEN ed EE per verificare se i comportamenti assunti da loro congiuntamente configurassero una violazione dell’articolo 102 TFUE. A seguito dell’istruttoria, in data 20 dicembre 2018 l’AGCM aveva adottato una decisione accertando che  SEN ed EE, coordinate dalla capogruppo ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE sui mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non connessi alla rete di bassa tensione, nelle aree nelle quali il gruppo ENEL gestiva l’attività di distribuzione, comminando loro un’ammenda pari a circa 93 milioni di euro. Più particolarmente, secondo l’AGCM le due imprese indagate avevano attuato una strategia escludente nel mercato in questione mirante a “traghettare” i clienti da SEN (gestore del mercato tutelato) a EE (attiva sul libero mercato) al fine contrastare un passaggio in massa degli utenti di SEN a fornitori terzi in vista dell’abolizione del mercato tutelato, che avrebbe potuto comportare una riassegnazione di tali utenze mediante aste.

Le società del gruppo ENEL avevano, quindi, impugnato la decisone dell’AGCM dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio che, da un lato, aveva accolto i ricorsi di EE e SEN nella parte relativa alla durata dell’asserito abuso e ai criteri di determinazione della sanzione riducendone l’importo e, dall’altro lato, aveva respinto integralmente il ricorso di ENEL confermando la sanzione irrogata. Avverso tali decisioni, le tre società avevano interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (“giudice del rinvio”) che, riunite le cause e alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia cinque questioni pregiudiziali.

Con la prima questione, che si articola in quattro parti, il giudice del rinvio chiedeva se una pratica ritenuta “perfettamente lecita” (sic) al di fuori del diritto della concorrenza e posta in essere da un’impresa in posizione dominante possa essere qualificata come abusiva, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, unicamente in ragione del suo effetto (potenzialmente) restrittivo, oppure se tale condotta debba essere contraddistinta anche da una componente specifica di “antigiuridicità oggettiva”, costituita dal ricorso a mezzi diversi da quelli che governano una concorrenza normale.

Con la prima parte, il giudice del rinvio chiedeva se, ai fini dell’articolo 102 TFUE, possa sussistere un abuso di posizione dominante in presenza di condotte lecite alla luce di norme diverse da quello della concorrenza.

L’AG ha preliminarmente ricordato che la nozione di “sfruttamento abusivo” è fondata sulla valutazione oggettiva della idoneità di una condotta a restringere la concorrenza, senza che la qualificazione giuridica della stessa in altre branche del diritto sia decisiva[2]. L’illegittimità di un comportamento abusivo alla luce dell’articolo 102 TFUE, infatti, non presenta correlazioni alla sua conformità o meno ad altre norme; di talché, gli abusi di posizione dominante consistono, nella maggioranza dei casi, proprio in condotte legittime alla luce di norme regolatrici specifiche diverse da quelle del diritto della concorrenza[3]. Di conseguenza, la legittimità dell’acquisizione del consenso delle liste dei clienti di SEN sotto il profilo civilistico non può escludere l’abusività della condotta ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

Con la seconda parte, il giudice del rinvio domandava se un comportamento possa venire qualificato come abusivo unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento.

L’AG ha ricordato che, nell’ambito delle pratiche escludenti, il carattere abusivo di un comportamento presuppone che esso abbia presentato idoneità a restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti di esclusione dal mercato addebitati[4] alla luce di tutte le circostanze di fatto pertinenti[5]. Per accertare l’abusività della pratica, inoltre, l’effetto anticoncorrenziale non deve essere meramente ipotetico, e deve dunque sussistere, pur non raggiungendo necessariamente lo stadio della concretezza. Sarà allora sufficiente la dimostrazione di un effetto anticoncorrenziale potenziale idoneo a precludere l’accesso al mercato a dei concorrenti di efficienza quantomeno pari all’impresa dominante[6]. Di conseguenza, la capacità di produrre un effetto (potenzialmente) restrittivo nel mercato rilevante costituisce l’elemento essenziale per la qualificazione di un comportamento come abusivo.

Il mero fatto che taluni comportamenti presentino idoneità ad escludere un concorrente, tuttavia, non rende il mercato di per sé meno concorrenziale e, a fortiori, non rende i comportamenti abusivi ai sensi dell’articolo 102 TFUE, dovendosi distinguere fra il rischio di preclusioni e quello di preclusioni effettive. Solo quest’ultimo genus di rischio può essere sanzionato ai sensi dell’articolo 102 TFUE[7]. Se ogni comportamento avente un effetto preclusivo (attuale o potenziale) fosse automaticamente qualificato come anticoncorrenziale e, pertanto, abusivo ai sensi dell’articolo 102 TFUE, l’istituto si tradurrebbe in uno strumento di protezione delle imprese meno efficienti, senza tutelare le più meritevoli.

Con la terza parte, il giudice del rinvio chiedeva se l’onere di dimostrare che un’impresa dominante ha fatto ricorso a mezzi diversi da quelli rientranti in una concorrenza “normale” si riferisca ad un “quid pluris di antigiuridicità” rispetto alla dimostrazione dell’effetto preclusivo, cosicché “la capacità restrittiva della concorrenza” e “il ricorso a mezzi diversi da quelli rientranti in una concorrenza normale” sarebbero requisiti distinti da soddisfare per dimostrare l’abuso.

Secondo l’AG, la dimostrazione che un’impresa dominante abbia fatto ricorso a mezzi diversi da quelli rientranti in una concorrenza “normale” non costituisce materia di una valutazione distinta da quella dell’effetto restrittivo. L’analisi del comportamento dell’impresa svolge un ruolo determinante nella qualificazione degli effetti, di talché la capacità anticoncorrenziale di una pratica ed il ricorso a mezzi non rientranti in una concorrenza normale, appartengono alla medesima valutazione.

Con la quarta parte, infine, il giudice del rinvio domandava alla Corte di tracciare una linea di demarcazione fra le pratiche rientranti in una concorrenza cosiddetta “normale” (o “basata sui meriti”) e quelle che non vi rientrano.

L’AG ha rilevato che la nozione di “concorrenza basata sui meriti” deve essere interpretata in stretta correlazione con il principio secondo cui l’impresa dominante è specialmente tenuta a non compromettere col suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno[8]. Di conseguenza, un comportamento accettabile per un’impresa che non si trova in una posizione dominante potrebbe essere qualificato come abusivo qualora venga posto in essere da un’impresa dominante, a causa del maggiore effetto del suo comportamento nel mercato rilevante. Poiché la “responsabilità particolare” si applica a tutte le imprese dominanti, ivi inclusi gli operatori storici precedentemente detentori di un monopolio, come l’ENEL, od aventi un obbligo di servizio pubblico, come il SEN, nell’ambito della liberalizzazione del mercato elettrico il gruppo ENEL è soggetto a pieno titolo all’articolo 102 TFUE, e segnatamente al requisito della “responsabilità particolare”.

La forma o la tipologia di comportamento attuato dall’impresa dominante non è decisivo in sé, in quanto ciò che rileva è se esso tenda a restringere la concorrenza o sia idoneo a restringerla[9]. La “concorrenza basata sui meriti” in sede di applicazione dell’articolo 102 TFUE alle pratiche escludenti riguarda, in generale, una situazione concorrenziale nella quale i consumatori beneficiano di prezzi inferiori, migliore qualità e più ampia scelta di beni e servizi nuovi o migliorati. Nel caso concreto, l’oggetto stesso della liberalizzazione del mercato dell’energia mira a realizzare gli effetti benefici del processo concorrenziale per i consumatori, che sia a livello del prezzo, della qualità o della scelta dei servizi offerti, di talché le condotte dell’operatore storico non debbono comunque impedire o da rendere più difficile l’ingresso sul mercato dei concorrenti, i quali devono poter operare su un piano di parità.

Poiché l’articolo 102 TFUE non mira ad impedire ad un’impresa di conquistare o di mantenere, grazie ai propri meriti, una posizione dominante sul mercato, ivi compresi gli operatori storici degli ex mercati monopolistici, anche costoro in condizioni di libera concorrenza coerentemente mirano ad ottimizzare i loro profitti e mantenere la loro clientela, in quanto conquistare clienti è un elemento essenziale del normale gioco della concorrenza. Di conseguenza, secondo l’AG, il gruppo ENEL era sicuramente legittimato a porre in essere pratiche dirette a migliorare i suoi prodotti e servizi, rimanere competitivo e mantenere la propria clientela, e pertanto, la predisposizione di una “strategia” in tal senso non potrebbe, di per sé, costituire un abuso ai sensi dell’articolo 102 TFUE. La raccolta legittima dei dati, nell’ambito dei rapporti con la clientela, rimane, in linea di principio, un comportamento normale nel processo concorrenziale. Tuttavia, proprio perché si trova in una posizione dominante, l’ENEL è specialmente tenuta a ricorrere alla concorrenza basata sui meriti, che non comporti una compartimentazione del mercato, e non può, al contrario, sfruttare i vantaggi che promanano dal pregresso monopolio legale, con l’effetto di escluderne i nuovi entranti altrettanto efficienti.

Sulla scorta di queste articolate motivazioni, secondo l’AG, le pratiche escludenti di un’impresa dominante replicabili da concorrenti altrettanto efficienti non rappresentano, in linea di principio, comportamenti di preclusione anticoncorrenziale, e dovrebbero essere riconducibili alla concorrenza basata sui meriti. Nel caso concreto, la condotta indagata non riguardava una pratica tariffaria, e bensì una non consentita strategia complessa caratterizzata dallo sfruttamento di dati ai quali il gruppo ENEL aveva avuto accesso grazie al suo monopolio legale, di talché i concorrenti si trovavano nell’impossibilità oggettiva, prima della liberalizzazione del mercato, di riprodurre la medesima strategia. Tale impossibilità, tuttavia, non impedisce l’esame, da parte del giudice del rinvio, della capacità reale dei concorrenti altrettanto efficienti di replicare, a condizioni economicamente ragionevoli e in termini accettabili, le pratiche dell’impresa dominante, ad esempio, facendo ricorso a fonti disponibili sul mercato e contenenti dati simili a quelli delle liste SEN.

Con la seconda questione, anch’essa articolata in due parti, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di specificare se l’articolo 102 TFUE sia inteso a proteggere i consumatori oppure la struttura concorrenziale del mercato e, eventualmente, di determinare l’oggetto della prova richiesta al fine di qualificare come abusiva una pratica di esclusione.

Con la prima parte, il giudice del rinvio mirava a determinare l’interesse protetto dall’articolo 102 TFUE, prospettando due possibili soluzioni alternative, ossia la massimizzazione della protezione dei consumatori e la preservazione della struttura concorrenziale del mercato. 

Secondo l’AG, la salvaguardia di una struttura concorrenziale non costituisce un obiettivo autonomo e, pertanto, alternativo alla protezione del benessere dei consumatori. Al pari dell’articolo 101 TFUE, infatti, l’articolo 102 riguarda non solo le pratiche che possono provocare un danno immediato ai consumatori, e bensì anche quelle che arrecano loro un danno indiretto, indebolendo la struttura concorrenziale[10]. Vi è, dunque, un nesso indissolubile fra i due obiettivi, in quanto la salvaguardia di una struttura di effettiva concorrenza è intrinsecamente connessa allo uno scopo ultimo della protezione dei consumatori[11]. Il pregiudizio dei consumatori costituisce, inoltre, un elemento indispensabile all’operatività dell’articolo 102 TFUE che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza[12]. Il ruolo essenziale della protezione dei consumatori, infine, risulta dal fatto che, poiché l’articolo 102 TFUE non sancisce una deroga equivalente a quella fissata all’articolo 101, paragrafo 3, i vantaggi in termini di efficienza possono neutralizzare la nocività di un comportamento abusivo nella misura essi vengono trasferiti sui consumatori[13].

Con la seconda parte, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte in che modo il rapporto fra i due suddetti obiettivi si traduca in termini probatori.

Poiché l’articolo 102 TFUE non riguarda soltanto le pratiche che causano un danno diretto ai consumatori, e bensì anche quelle che arrecano loro pregiudizio compromettendo un regime di concorrenza effettiva, un’autorità garante della concorrenza o, se del caso, un giudice, potrà astenersi dall’accertare se il comportamento incriminato abbia effettivamente causato un danno ai consumatori ai sensi dell’articolo 102, lettera b), TFUE, ma dovrà invece verificare se lo stesso abbia prodotto un effetto restrittivo sulla concorrenza[14]. A tal riguardo, dal momento che è il benessere dei consumatori, e non la protezione di una determinata struttura di mercato in quanto tale, ad essere oggetto della protezione finale, la prova di un effetto restrittivo sulla struttura del mercato sarà sufficiente ai fini della qualificazione di un abuso unicamente nella misura in cui tale restrizione sia idonea a danneggiare, direttamente o indirettamente, i consumatori. Se, infatti, l’impatto sulla struttura concorrenziale del mercato costituisce un indicatore importante delle conseguenze che una pratica di esclusione può avere sui consumatori, non sempre tale ipotesi ricorre, in quanto il comportamento dell’impresa dominante non sarà considerato abusivo ai sensi dell’articolo 102 TFUE qualora, indipendentemente dal danno causato alla struttura del mercato, esso non sia idoneo a causare, in atto o in potenza, un danno ai consumatori.

Con la terza questione, il giudice del rinvio domandava se, al fine di accertare una violazione dell’articolo 102 TFUE, debba essere considerata rilevante la prova prodotta da un’impresa dominante che dimostri che, nonostante la capacità astratta di produrre effetti restrittivi, il suo comportamento non ne ha in realtà prodotti e, in caso di risposta affermativa, se l’autorità garante della concorrenza sia tenuta ad esaminare le prove addotte dall’impresa quanto alla concreta capacità di tale comportamento di produrre gli effetti.

L’AG ha ricordato che, al fine di accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE, non è necessario dimostrare che il comportamento abbia effettivamente prodotto effetti anticoncorrenziali nel caso concreto, essendo sufficiente la dimostrazione della sua capacità di produrli[15]. Di conseguenza, eventuali prove prodotte ex post da un’impresa al fine di dimostrare l’assenza di effetti anticoncorrenziali, come le analisi economiche, non possono avere una valenza esoneratoria né trasferire l’onere della prova in capo all’autorità garante, che sarebbe tenuta a dimostrare la concreta materializzazione del danno derivante dal comportamento contestato, anche qualora sia decorso un ampio lasso di tempo da quando quest’ultimo ha avuto luogo[16].

Nondimeno, un’autorità garante ha l’obbligo di valutare tutte le circostanze rilevanti del caso concreto al fine di stabilire se un comportamento sia realmente idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali, indipendentemente dalla circostanza che tali effetti si siano in seguito effettivamente prodotti o meno. A tale riguardo, le prove dell’assenza di effetti anticoncorrenziali addotte ex post devono essere prese in considerazione quando riguardano un comportamento cessato prima dell’adozione della decisione che constata l’abuso.

Con la quarta questione, parimenti articolata in due parti, il giudice del rinvio si interrogava sulla rilevanza dell’intento restrittivo della concorrenza dell’impresa dominante al fine di valutare l’abusività di un suo comportamento.

Con la prima parte, il giudice del rinvio mirava a stabilire se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che un comportamento deve essere qualificato come abusivo unicamente in ragione dei suoi effetti restrittivi (potenziali), oppure se l’intento restrittivo costituisca un criterio utile (anche in via esclusiva) per tale valutazione.

L’AG ha ricordato che lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante vietato dall’articolo 102 TFUE è una nozione oggettiva, anche in assenza di colpa, non essendo necessario dimostrare l’intento anticoncorrenziale dell’impresa dominante[17]; di talché, salvo casi eccezionali[18], il movente soggettivo dell’impresa non figura fra gli elementi costitutivi dell’abuso. Nella maggior parte dei casi, le pratiche escludenti abusive non si riconducono alla dimostrazione di un intento soggettivo specifico dell’impresa dominante, e bensì sulla logica economica dei comportamenti, quale risulta dalle loro caratteristiche e dal loro contesto. Dunque, spetterà alla sola autorità garante stabilire il valore probatorio delle prove dirette di una strategia escludente.

Con la seconda parte, il giudice del rinvio chiedeva se la prova dell’intento escludente abbia la funzione di invertire l’onere della prova dell’effetto preclusivo, trasferendolo all’impresa dominante.

Secondo l’AG, tuttavia, non vi sono conseguenze di per sé connesse alla constatazione di un intento soggettivo, dal momento che tale prova, che costituisce soltanto una circostanza fattuale, è insufficiente a dimostrare, da sola, la contrarietà del comportamento all’articolo 102 TFUE.

Con la quinta questione, infine, il giudice del rinvio domandava se l’appartenenza ad un medesimo gruppo societario che ha partecipato direttamente al comportamento abusivo sia sufficiente per imputare la responsabilità alla controllante che detiene la totalità del capitale delle società del gruppo, senza che sia necessaria la prova di un concorso di quest’ultima alla pratica abusiva o, quantomeno, di un coordinamento attivo delle società del gruppo.

L’AG ha rammentato che la responsabilità del comportamento di una controllata può essere imputata alla controllante qualora la prima non determini in modo autonomo la sua condotta sul mercato, e bensì si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità[19]. Nell’ipotesi particolare in cui, come nel caso concreto, una controllante detenga (direttamente o indirettamente) il 100% del capitale della propria controllata, responsabile di un’infrazione alle norme europee di concorrenza, tale controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata, ed esiste una presunzione relativa in tal senso, a meno che la controllante stessa non dimostri il contrario[20].

Una presunzione del genere implica, salvo la sua inversione, che l’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte della controllante sulla controllata sia considerato accertato, così da poter ritenere la prima responsabile del comportamento della seconda, senza dover fornire prove supplementari, di talché la controllante che si è vista imputare il comportamento illecito della controllata potrà venire condannata personalmente per un’infrazione alle norme europee di concorrenza, che si presumerà da lei commessa a causa dell’influenza dominante esercitata sulla controllata[21]. In tali condizioni, pertanto, è sufficiente che un’autorità garante dimostri che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla sua controllante per potersi presumere che quest’ultima eserciti effettivamente un’influenza determinante sulla politica commerciale della controllata.

Di conseguenza, l’appartenenza ad un medesimo gruppo di società che hanno partecipato direttamente al comportamento abusivo è sufficiente per imputare la responsabilità alla controllante che detiene la totalità del capitale di tali società, senza che sia necessario apportare prove supplementari, a meno che la controllante non fornisca sufficienti elementi di prova che dimostrino che le sue controllate si sono comportate in maniera autonoma sul mercato.

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[1] Ossia un mercato tutelato soggetto al controllo di un’autorità nazionale di regolazione settoriale per quanto riguarda la definizione delle condizioni di vendita.

[2] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 148; CGUE 06.12.2012, Causa C‑457/10 P, AstraZeneca/Commissione, punto 74; CGUE 03.07.1991, Causa C‑62/86, AKZO/Commissione, punto 69; CGUE 13.02.1979, Causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, punto 91.

[3] CGUE 06.12.2012, Causa C‑457/10 P, AstraZeneca/Commissione, punto 132.

[4] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 154; CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 138; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 64.

[5] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 154; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 68.

[6] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 65; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punti 64-66.

[7] Comunicazione della Commissione, Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti, GUUE C 45 del 24.02.2009, punto 119.

[8] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 135; CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punti 21-23; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punti 64-66; CGUE 09.11.1983, Causa 322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, punto 57.

[9] CGUE 19.04.2012, Causa C‑549/10 P, Tomra Systems e a./Commissione, punto 68.

[10] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 20; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 24; CGUE 14.10.2010, Causa C‑280/08 P, Deutsche Telekom/Commissione, punto 176; CGUE 02.04.2009, Causa C‑202/07 P, France Télécom/Commissione, punto 105; CGUE 15.03.2007, Causa C‑95/04 P, British Airways/Commissione, punti 106-107; CGUE 13.02.1979, Causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, punto 125; CGUE 21.02.1973, Causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Commissione, punto 26.

[11] Tribunale 07.06.2006, Cause riunite T‑213/01 e T‑214/01, Österreichische Postsparkasse und Bank für Arbeit und Wirtschaft/Commissione, punto 115; Tribunale 14.12.2006, Cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, punto 99.

[12] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 134; CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 24.

[13] CGUE 06.09.2017, Causa C‑413/14 P, Intel/Commissione, punto 140; CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punti 40-41.

[14] CGUE 15.03.2007, Causa C‑95/04 P, British Airways/Commissione, punti 106-107; CGUE 29.04.2004, Causa C‑418/01, IMS Health, punti 32-38.

[15] CGUE 06.10.2015, Causa C‑23/14, Post Danmark, punto 68; Tribunale 29.03.2012, Causa T‑336/07, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, punto 124; CGUE 19.04.2012, Causa C‑549/10 P, Tomra Systems e a./Commissione, punto 68; CGUE 17.02.2011, Causa C‑52/09, TeliaSonera Sverige, punto 65; CGUE 14.10.2010, Causa C‑280/08 P, Deutsche Telekom/Commissione, punto 254; CGUE 15.03.2007, Causa C‑95/04 P, British Airways/Commissione, punti 106-107.

[16] Tribunale 29.03.2012, Causa T‑336/07, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, punto 272.

[17] CGUE 19.04.2012, Causa C‑549/10 P, Tomra Systems e a./Commissione, punto 21; Tribunale 09.09.2009, Causa T‑301/04, Clearstream/Commissione, punto 141; CGUE 21.02.1973, Causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Commissione, punto 26.

[18] CGUE 02.04.2009, Causa C‑202/07 P, France Télécom/Commissione, punto 109; Tribunale 17.07.1998, Causa T‑111/96, ITT Promedia/Commissione, punto 55; CGUE 14.11.1996, C‑333/94 P, Tetra Pak/Commissione, punto 41; CGUE 03.07.1991, Causa C‑62/86, AKZO/Commissione, punto 72.

[19] CGUE 25.03.2021, Causa C‑152/19 P, Deutsche Telekom/Commissione, punti 72-74.

[20] CGUE 15.04.2021, Causa C‑694/19 P, Italmobiliare e a./Commissione, punti 47 e 55.

[21] CGUE 15.04.2021, Causa C‑694/19 P, Italmobiliare e a./Commissione, punti 55-56; CGUE 16.06.2016, C‑155/14 P, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, punto 30.