In data 22 marzo 2022, la Corte di Giustizia si è pronunciata nelle Causa C‑151/20, Bundeswettbewerbsbehörde contro Nordzucker AG e a., sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La domanda pregiudiziale era stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Bundeswettbewerbsbehörde (Autorità federale austriaca garante della concorrenza) e, dall’altro, la Nordzucker AGn (“Nordzucker”), la Südzucker AG (“Südzucker”) e la sua società figlia Agrana Zucker GmbH (“Agrana”), attive sul mercato della produzione e della commercializzazione dello zucchero destinato all’industria e al consumo domestico, in merito alla partecipazione di queste ultime ad una pratica contraria all’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e alle corrispondenti disposizioni del diritto austriaco della concorrenza.
Questi i fatti.
A seguito dell’adesione di nuovi Stati Membri all’Unione nel 2004, e della conseguente pressione concorrenziale proveniente dalle imprese ivi stabilite, si erano svolti diversi incontri tra i direttori commerciali della Nordzucker e della Südzucker, che insieme ad un terzo grande produttore detenevano una posizione dominante sul mercato dello zucchero in Germania, in esito ai quali costoro avevano convenuto di non farsi reciproca concorrenza intervenendo nelle rispettive aree di vendita tradizionali al fine di sfuggire a tale pressione. Dopo aver rilevato forniture di zucchero sul mercato austriaco provenienti, in particolare, da una controllata slovacca della Nordzucker e destinate a clienti industriali austriaci, di cui l’Agrana era stata fino ad allora la fornitrice esclusiva, un suo amministratore ne aveva informato il direttore commerciale della Südzucker chiedendogli il nome di una persona di contatto presso la Nordzucker. Il direttore commerciale della Südzucker aveva chiamato quest’ultimo per informarlo delle suddette forniture verso l’Austria, facendo riferimento a possibili conseguenze per il mercato tedesco dello zucchero.
A seguito della presentazione, da parte della Nordzucker, di domande di clemenza al Bundeskartellamt (Autorità federale tedesca garante della concorrenza) e all’autorità austriaca, quest’ultima aveva proposto un ricorso dinanzi all’Oberlandesgericht Wien (Tribunale superiore del Land Vienna) mirante a far dichiarare che la Nordzucker aveva violato l’articolo 101 TFUE e le corrispondenti disposizioni del diritto austriaco, nonché ad ottenere l’irrogazione di due ammende alla Südzucker, una delle quali altresì comminata all’Agrana quale responsabile in solido della condotta. L’autorità tedesca, da parte sua, aveva constatato che la Nordzucker, la Südzucker ed il terzo produttore tedesco avevano commesso un’infrazione all’articolo 101 TFUE e alle corrispondenti disposizioni del diritto tedesco in materia di concorrenza, infliggendo alla Südzucker un’ammenda pari a circa 195 milioni di euro. Poiché l’Oberlandesgericht Wien aveva respinto il ricorso proposto dall’autorità austriaca, quest’ultima aveva interposto appello dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema austriaca; il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante, aveva sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia quattro questioni pregiudiziali.
Con le sue questioni prima e terza, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 50[1] della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un’impresa sia perseguita dall’autorità garante della concorrenza (ANC) di uno Stato Membro, e le sia inflitta, se del caso, un’ammenda per un’infrazione all’articolo 101 TFUE e alle corrispondenti disposizioni del diritto nazionale, a causa di un comportamento che ha avuto un oggetto o un effetto anticoncorrenziale nel territorio di tale Stato Membro, quando il comportamento in questione sia già stato considerato da una ANC di un altro Stato Membro in una decisione definitiva adottata al termine di un procedimento di infrazione all’articolo 101 TFUE e alle corrispondenti disposizioni del diritto della concorrenza di tale altro Stato Membro.
La Corte ha preliminarmente ricordato che l’applicazione dell’articolo 50 della Carta non si limita unicamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come “penali” dal diritto nazionale, e bensì comprende anche quelli che devono essere ritenuti di natura sostanzialmente penale (vale a dire, punitiva) in base alla natura dell’illecito e della severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere[2]. Il principio del ne bis in idem, inoltre, deve essere rispettato nei procedimenti intesi ad infliggere ammende in materia di diritto della concorrenza, ostando a che un’impresa venga nuovamente condannata o perseguita per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile[3]. Di conseguenza, l’applicazione di tale principio nei procedimenti di diritto della concorrenza è subordinata ad una duplice condizione, ossia che vi sia una decisione definitiva anteriore (“condizione bis”) e che lo stesso comportamento sia oggetto tanto della decisione precedente quanto del procedimento o della decisione successivi (“condizione idem”).
Per quanto riguarda la “condizione bis”, al fine di poter ritenere che una decisione abbia statuito definitivamente sui fatti oggetto di un secondo procedimento è necessario non solo che essa sia divenuta definitiva, e bensì anche che sia stata pronunciata con previa valutazione del merito della causa[4]. Ciò si era verificato, secondo la Corte, nel caso della decisione definitiva dell’autorità tedesca.
Per quanto riguarda la “condizione idem”, la Corte ha ricordato che il criterio rilevante ai fini della valutazione della sussistenza dello stesso reato è quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra di loro che hanno condotto all’assoluzione o alla condanna definitiva dell’interessato[5]. La qualificazione giuridica nel diritto nazionale dei fatti e dell’interesse tutelato, inoltre, non rilevano per la constatazione della sussistenza di uno stesso reato, considerato che la portata della tutela conferita dall’articolo 50 della Carta non può variare da uno Stato Membro all’altro[6]. Ciò vale anche ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem nel settore del diritto europeo della concorrenza, in quanto la portata della tutela conferita dall’articolo 50 della Carta, salvo disposizioni contrarie previste dal diritto dell’Unione, non può variare da un settore all’altro[7].
Secondo la Corte, spetta al giudice del rinvio stabilire se la controversia di cui è investito verta sui medesimi fatti che hanno condotto all’adozione della decisione definitiva dell’autorità tedesca, tenuto conto del territorio, del mercato del prodotto e del periodo temporale interessati da tale decisione[8]. A tale riguardo, la mera circostanza che una ANC di uno Stato Membro menzioni, in una decisione che constata un’infrazione al diritto della concorrenza europeo e alle corrispondenti disposizioni nazionali, un elemento di fatto che riguarda il territorio di un altro Stato Membro non è sufficiente per far ritenere che tale elemento di fatto sia all’origine del procedimento o sia stato considerato da tale ANC tra gli elementi costitutivi dell’ infrazione, occorrendo ancora verificare se quest’ultima si sia effettivamente pronunciata su detto elemento di fatto al fine di accertare l’infrazione stessa, dimostrare la responsabilità del soggetto perseguito per tale infrazione e, se del caso, infliggere la sanzione[9]. Più particolarmente, nell’ambito di tale verifica occorre esaminare se le valutazioni giuridiche effettuate dalla ANC tedesca sulla base degli elementi di fatto constatati nella sua decisione definitiva si riferissero esclusivamente al mercato tedesco o anche a quello austriaco dello zucchero, rilevando inoltre se, ai fini del calcolo dell’ammenda sulla base del fatturato realizzato sul mercato interessato dall’infrazione, l’autorità tedesca abbia assunto come base di calcolo unicamente il fatturato realizzato in Germania[10].
Tuttavia, una limitazione del diritto fondamentale garantito all’articolo 50 della Carta può essere giustificata sul fondamento dell’articolo 52, paragrafo 1[11], della stessa. In considerazione dell’importanza attribuita all’obiettivo dell’articolo 101 TFUE di garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura sostanziale penale può essere giustificato allorché detti procedimenti e dette sanzioni riguardino, in vista della realizzazione di tale obiettivo, scopi complementari vertenti, eventualmente, su aspetti diversificati della medesima condotta[12]. A tal proposito, secondo la Corte, l’applicazione del diritto nazionale in materia di concorrenza non può comportare il divieto di accordi, decisioni e pratiche concordate ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE se essi non sono vietati anche in forza di tale disposizione[13], non potendo condurre ad un risultato diverso da quello che deriverebbe dall’applicazione di quest’ultimo. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui due ANC perseguissero e sanzionassero gli stessi fatti al fine di garantire il rispetto del divieto dell’articolo 101 TFUE e delle corrispondenti disposizioni nazionali, esse perseguirebbero lo stesso obiettivo di interesse generale volto a garantire che la concorrenza nel mercato interno non sia falsata. In tali circostanze, pertanto, un cumulo dei procedimenti e delle sanzioni, quando non perseguano scopi complementari vertenti su aspetti differenti del medesimo comportamento non può essere giustificato ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che un procedimento di diritto della concorrenza, in cui, a causa della partecipazione della parte interessata ad un programma nazionale di clemenza, può soltanto essere accertata la sua infrazione, sia idoneo a rendere operativo il principio del ne bis in idem.
La Corte ha ricordato che tale principio mira ad evitare che un’impresa sia nuovamente condannata o perseguita, il che presuppone che essa sia stata già condannata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile. Di conseguenza, il principio del ne bis in idem ha lo scopo di assicurare la certezza del diritto e l’equità, garantendo che, allorché è stata perseguita e, se del caso, condannata, la persona interessata abbia la certezza che non sarà nuovamente perseguita per la medesima infrazione[14]. L’avvio di procedimenti sostanzialmente penali, pertanto, può rientrare, in quanto tale, nell’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem, a prescindere dal fatto che tali procedimenti si concludano effettivamente con l’imposizione di una sanzione o meno.
Secondo la Corte, inoltre, l’articolo 101 TFUE nonché gli articoli 5[15] e 23, paragrafo 2[16], del Regolamento n. 1/2003 devono essere interpretati nel senso che, se viene dimostrata l’esistenza di un’infrazione all’articolo 101 TFUE, le ANC possono, in via eccezionale, limitarsi a constatarla senza infliggere un’ammenda nel caso in cui l’impresa abbia partecipato ad un programma nazionale di clemenza[17], senza garanzia automatica dell’immunità da un’ammenda o della sua riduzione a favore dell’impresa che chiede di beneficiare del programma. Di conseguenza, il principio del ne bis in idem può applicarsi ad un procedimento in materia di concorrenza nonostante il fatto che, a causa della partecipazione ad un programma nazionale di clemenza dell’impresa in questione, la quale è stata già perseguita nell’ambito di un altro procedimento conclusosi con una decisione definitiva, tale nuovo procedimento possa condurre unicamente all’accertamento dell’infrazione senza applicazione di una nuova sanzione.
Alla luce della risposta fornita alla prima e alla terza questione, la Corte ha ritenuto non necessario pronunciarsi sulla seconda questione, con la quale il giudice del rinvio aveva chiesto se in un caso di applicazione parallela del diritto della concorrenza europeo e nazionale sussista il medesimo interesse giuridico tutelato.
Di conseguenza, la Corte ha statuito che:
“L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un’impresa sia perseguita, dall’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro, e le sia inflitta, se del caso, un’ammenda per un’infrazione all’articolo 101 TFUE e alle corrispondenti disposizioni del diritto nazionale in materia di concorrenza, a causa di un comportamento che ha avuto un oggetto o un effetto anticoncorrenziale sul territorio di tale Stato membro, quando tale comportamento sia già stato menzionato, da un’autorità garante della concorrenza di un altro Stato membro, in una decisione definitiva adottata da quest’ultima, nei confronti di tale impresa, al termine di un procedimento di infrazione all’articolo 101 TFUE e alle corrispondenti disposizioni del diritto in materia di concorrenza di tale altro Stato membro, purché tale decisione non sia fondata sulla constatazione di un oggetto o di un effetto anticoncorrenziale nel territorio del primo Stato membro.
L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che un procedimento di attuazione del diritto in materia di concorrenza, in cui, a causa della partecipazione della parte interessata al programma nazionale di clemenza, può soltanto essere accertata la sua infrazione a tale diritto, è idoneo a essere soggetto al principio del ne bis in idem”.
[1] L’articolo 50 della Carta, intitolato “Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, dispone: “… Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge…”.
[2] CGUE 20.03.2018, Causa C‑524/15, Menci, punti 26-27 e 30; CGUE 05.06.2012, Causa C‑489/10, Bonda, punto 37.
[3] CGUE 03.04.2019, Causa C‑617/17, Powszechny Zakład Ubezpieczeń na Życie, punto 28; CGUE 14.02.2012, Causa C‑17/10, Toshiba Corporation e a., punto 94.
[4] CGUE 05.06.2014, Causa C‑398/12, M, punti 28 e 30.
[5] CGUE 20.03.2018, Causa C‑524/15, Menci, punto 35; CGUE 20.03.2018, Causa C‑537/16, Garlsson Real Estate e a., punto 37.
[6] CGUE 20.03.2018, Causa C‑524/15, Menci, punto 36; CGUE 20.03.2018, Causa C‑537/16, Garlsson Real Estate e a., punto 38.
[7] CGUE 22.03.2022, Causa C-117/20, bpost SA contro Autorité belge de la concurrence, punto 35.
[8] CGUE 25.02.2021, Causa C‑857/19, Slovak Telekom, punto 45; CGUE 14.02.2012, Causa C‑17/10, Toshiba Corporation e a., punto 99.
[9] CGUE 14.02.2012, Causa C‑17/10, Toshiba Corporation e a., punti 101-102.
[10] Ibidem, punto 101.
[11] L’articolo 52 della Carta, intitolato “Portata e interpretazione dei diritti e dei principi”, al paragrafo 1 dispone: “… Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui…”.
[12] CGUE 20.03.2018, Causa C‑524/15, Menci, punto 44.
[13] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 3 del Regolamento, intitolato “Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza”, ai paragrafi 1-2 dispone: “… Quando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza ad accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi di detta disposizione, esse applicano anche l’articolo 81 del trattato a siffatti accordi, decisioni o pratiche concordate. Quando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall’articolo 82 del trattato, esse applicano anche l’articolo 82 del trattato.
Dall’applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza non può scaturire il divieto di accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri che non impongono restrizioni alla concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato, che soddisfano le condizioni dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato o che sono disciplinati da un regolamento per l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato. Il presente regolamento non impedisce agli Stati membri di adottare e applicare nel loro territorio norme nazionali più rigorose che vietino o sanzionino le condotte unilaterali delle imprese…”.
[14] CGUE 03.04.2019, Causa C‑617/17, Powszechny Zakład Ubezpieczeń na Życie, punti 29 e 33.
[15] L’articolo 5 del Regolamento n. 1/2003, intitolato “Competenze delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri”, dispone: “… Le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato in casi individuali. A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono adottare le seguenti decisioni:
– ordinare la cessazione di un’infrazione,
– disporre misure cautelari,
– accettare impegni,
– comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale.
Qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussistono le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non avere motivo di intervenire…”.
[16] L’articolo 23 del Regolamento n. 1/2003, intitolato “Ammende”, al paragrafo 2 dispone: “… La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:
a) commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato; oppure
b) contravvengono a una decisione che disponga misure cautelati ai sensi dell’articolo 8; oppure
c) non rispettano un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell’articolo 9.
Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10 % del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.
Qualora l’infrazione di un’associazione sia relativa alle attività dei membri della stessa, l’ammenda non deve superare il 10 % dell’importo del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato coinvolto dall’infrazione dell’associazione…”.
[17] CGUE 18.06.2013, Causa C‑681/11, Schenker Co. e a., punto 50.