VBER E ORIENTAMENTI SULLE RESTRIZIONI VERTICALI. LA COMMISSIONE APRE AD UN POSSIBILE TURNAROUND SUL DIVIETO DI IMPOSIZIONE DEI PREZZI MINIMI PUBBLICIZZATI

marketude Andrea Palumbo, EU and Competition, Publications, Roberto A. Jacchia

In data 9 luglio 2021, la Commissione europea ha pubblicato le sue nuove proposte in merito al Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (VBER)[1] e agli Orientamenti sulle restrizioni verticali[2], lasciando presagire dei rilevanti mutamenti per le politiche relative ai prezzi minimi pubblicizzati (minimum advertised price policies, di seguito: MAPs), fino ad ora considerate alla stregua di imposizione dei prezzi di rivendita (resale price maintenance, di seguito: RPM) e pertanto collocate nell’ambito delle c.d. “restrizioni fondamentali“ (hardcore restrictions) squalificanti di cui all’articolo 4 del VBER.

Le MAPs sono clausole o pratiche adottate dal fornitore in un rapporto verticale, che vietano ai rivenditori al dettaglio di pubblicizzare i loro prezzi al di sotto di un importo fissato dal fornitore stesso. Pertanto, le MAPs non impongono limiti al prezzo di rivendita in effetti praticato dal rivenditore al dettaglio, che è libero di fissare un prezzo finale anche al di sotto o al di sopra del prezzo minimo pubblicizzato.

L’articolo 2 del VBER[3], nel testo attualmente in vigore fino al giugno del 2022[4], esenta dall’applicazione dell’articolo 101 TFUE determinate categorie di accordi verticali, al soddisfacimento di stringenti requisiti, disciplinati dall’art 3 del VBER[5].

Tuttavia, l’esenzione di cui all’articolo 2 del VBER non opera in presenza di specifiche fattispecie di restrizioni verticali elencate dall’articolo 4 del VBER, denominate “restrizioni fondamentali”. Tra queste, l’articolo 4 include, alla lettera a)[6], l’accordo avente ad oggetto una restrizione alla libertà di fissazione del prezzo di vendita, ad eccezione della raccomandazione di un prezzo di vendita ovvero della fissazione di un prezzo massimo, a condizione che questi non equivalgano, però, ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni esercitate o incentivi offerti da una delle parti. Fino ad oggi, la Commissione europea ha sempre ricondotto la fissazione di prezzi minimi pubblicizzati all’ambito della categoria delle RPM.

Con la pubblicazione del nuovo VBER e dei nuovi Orientamenti sulle restrizioni verticali, il quadro attuale sembra destinato a cambiare. Difatti, si rinviene un approccio più permissivo verso le MAPs nel testo dei nuovi Orientamenti pubblicato dalla Commissione lo scorso 9 luglio. Rileva in particolare il paragrafo 174[7], in cui la Commissione avverte che le MAPs possono equivalere all’imposizione di prezzi di rivendita solo in determinate circostanze specifiche. Con l’utilizzo dell’espressione “possono”, gli Orientamenti lasciano comprendere che è possibile una situazione in cui delle clausole MAPs non equivalgono a pratiche di RPM, e sono pertanto ammesse. Si può osservare, inoltre, come il paragrafo 174 proponga per le MAPs un approccio simile a quello adottato verso i prezzi raccomandati, considerati leciti, a meno che ricorrano circostanze che determinino, nella sostanza, una situazione comparabile all’imposizione del prezzo di rivendita.

Il paragrafo 174 descrive, a titolo esemplificativo, tre circostanze in presenza delle quali le MAPs possono equivalere a pratiche di RPM. In primo luogo, ciò avviene nei casi in cui il fornitore sanzioni i dettaglianti per avere venduto al di sotto dei prezzi minimi pubblicizzati da lui imposti, essendo in tal caso evidente come la pressione esercitata dal fornitore possa far sì che i prezzi effettivamente praticati non differiscano da quelli pubblicizzati. Un altro esempio fornito dal paragrafo 174 riguarda il caso in cui il fornitore imponga ai dettaglianti di non offrire sconti, dato che anche in tale ipotesi sarebbe facilitata nella sostanza l’equivalenza tra i prezzi pubblicizzati e quelli effettivamente praticati. Infine, è descritta la circostanza in cui il fornitore impedisca ai rivenditori al dettaglio di comunicare che il prezzo finale potrebbe essere diverso dal prezzo minimo pubblicizzato. Il paragrafo 174 menziona queste tre circostanze a titolo esemplificativo, e non si possono quindi escludere altre fattispecie idonee a rendere le MAPs equivalenti a pratiche di RPM. Tuttavia, sulla base degli esempi forniti, è possibile isolare dei criteri per valutare la legittimità di una MAP, ovvero determinare se i prezzi pubblicizzati equivalgano in sostanza ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita.

Il nuovo paragrafo 174 potrebbe inoltre allineare l’approccio europeo verso le MAPs con quello statunitense. Infatti, la giurisprudenza americana tende ad affrontare diversamente il fenomeno delle MAPs negli accordi verticali, prevedendo di volta in volta un’analisi del caso concreto basata sulla c.d. “rule of reason”, così come affermato sin dalla sentenza Leegin Creative Leather Products, Inc. v. PSKS, Inc. del 2007, che ha ribaltato il precedente orientamento della sentenza Dr. Miles Medical Co. v. John D. Park & ​​Sons Co. del 1911.

Il progetto di Orientamenti, se confermato nel testo proposto, è destinato a sostituire gli orientamenti dell’attuale VBER, che scadrà il 31 maggio 2022. In caso di conferma del testo del paragrafo 174, resta da vedere come questo sarà interpretato in concreto. In ogni caso, il nuovo paragrafo 174 potrebbe produrre concreti effetti sulla prassi antitrust europea, in quanto l’intera categoria delle MAPs potrebbe essere considerata come ammessa in linea di principio, salvo che ricorrano specifiche circostanze squalificanti. In tal modo, gli operatori nel mercato potrebbero beneficiare di maggiore flessibilità nell’organizzazione dei rapporti verticali, e la Commissione potrebbe agire in maniera più mirata solo quando le MAPs presentano concreti rischi anticoncorrenziali.

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[1] Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUUE L 102 del 23.04.2010.

[2] Orientamenti sulle restrizioni verticali, GUUE C 130 del 19.05.2010.

[3] L’articolo 2 del VBER così dispone:

“1. Conformemente all’articolo 101, paragrafo 3, del trattato, e salvo il disposto del presente regolamento, l’articolo 101, paragrafo 1, del trattato è dichiarato inapplicabile agli accordi verticali.

La presente esenzione si applica nella misura in cui tali accordi contengano restrizioni verticali.

2. L’esenzione di cui al paragrafo 1 si applica agli accordi verticali conclusi tra un’associazione di imprese ed i suoi membri o tra una tale associazione ed i suoi fornitori, a condizione che tutti i membri siano distributori al dettaglio di beni e che nessuno dei singoli membri dell’associazione, insieme alle imprese ad esso collegate, realizzi un fatturato annuo complessivo superiore a 50 milioni di EUR. L’inclusione degli accordi verticali conclusi da tali associazioni nell’ambito di applicazione del presente regolamento fa salva l’applicazione dell’articolo 101 del trattato agli accordi orizzontali conclusi tra i membri dell’associazione o alle decisioni adottate dall’associazione stessa.

3. L’esenzione di cui al paragrafo 1 si applica agli accordi verticali contenenti disposizioni relative alla cessione all’acquirente o all’uso da parte dell’acquirente di diritti di proprietà intellettuale, a condizione che tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario degli accordi e che esse siano direttamente collegate all’uso, alla vendita o alla rivendita di beni o servizi da parte dell’acquirente o dei suoi clienti. L’esenzione si applica inoltre a condizione che, in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto, queste disposizioni non contengano restrizioni della concorrenza aventi lo stesso oggetto di restrizioni verticali non esentate in virtù del presente regolamento.

4. L’esenzione di cui al paragrafo 1 non si applica agli accordi verticali conclusi tra imprese concorrenti. Essa si applica tuttavia qualora imprese concorrenti concludano tra loro un accordo verticale non reciproco e in presenza di una delle seguenti condizioni:

a) il fornitore è un produttore e un distributore di beni, mentre l’acquirente è un distributore e non un’impresa concorrente a livello della produzione; oppure

b) il fornitore è un prestatore di servizi a differenti livelli della catena commerciale, mentre l’acquirente fornisce i propri beni o servizi al livello del dettaglio e non è un’impresa concorrente al livello della catena commerciale in cui acquista i servizi oggetto del contratto.

5. Il presente regolamento non si applica agli accordi verticali oggetto di altri regolamenti di esenzione per categoria, salvo che in essi sia diversamente disposto.”

[4] Per ulteriori informazioni, si legga il nostro precedente contributo al seguente LINK

[5] L’articolo 3 del VBER così dispone:

1. L’esenzione di cui all’articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto.

2. Ai fini del paragrafo 1, qualora in un accordo multilaterale un’impresa acquisti i beni o servizi oggetto del contratto da un’impresa parte contraente dell’accordo e venda i beni o servizi oggetto del contratto a un’altra impresa parte contraente dell’accordo, l’esenzione di cui all’articolo 2 si applica se la quota di mercato della prima impresa non supera la soglia di quota di mercato di cui a detto paragrafo sia come acquirente sia come fornitore.

[6] L’articolo 4, lettera a), dispone che l’esenzione di cui all’articolo 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto “la restrizione della facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni esercitate o incentivi offerti da una delle parti.”

[7] Il paragrafo 174 dei nuovi Orientamenti sulle restrizioni verticali così dispone: “analogamente le politiche relative ai prezzi minimi pubblicizzati, che vietano ai dettaglianti di pubblicizzare i prezzi al di sotto di un determinato importo fissato dal fornitore, possono anch’esse equivalere all’imposizione di prezzi di rivendita, ad esempio nei casi in cui il fornitore sanzioni i dettaglianti per aver venduto al di sotto dei rispettivi prezzi minimi pubblicizzati, imponga ai dettaglianti di non offrire sconti o impedisca a questi ultimi di comunicare che il prezzo finale potrebbe essere diverso dal rispettivo prezzo minimo pubblicizzato.