DIRETTIVE SELF-EXECUTING, DOVERE DI DISAPPLICAZIONE, GIUDICATO E SOPRAVVENIENZE NORMATIVE. IL CONSIGLIO DI STATO PONE FINE ALLA STORICA PROROGA AUTOMATICA DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME

marketude Contenzioso, Diritto Amministrativo e Pubblico, Marco Stillo, Prospettive, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia

In data 9 novembre 2021, il Consiglio di Stato (“CdS”) si è pronunciato con due sentenze parallele sui ricorsi proposti dalla Comet s.r.l.(“Comet”) nei confronti dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, e dal Comune di Lecce nei confronti del Sig. Andrea Caretto, per la riforma, rispettivamente, della sentenza n. 504/2021 del Tribunale amministrativo regionale (TAR) per la Sicilia (sezione di Catania)[1]e della sentenza n. 73/2021 del TAR Puglia (sezione di Lecce)[2].

Si tratta di due decisioni estremamente articolate, destinate a produrre effetti di grande impatto sulla storica vicenda delle proroghe sine die delle concessioni demaniali marittime nel nostro Paese.

Nella prima controversia, il TAR Sicilia aveva respinto il ricorso proposto dalla Comet avverso il decreto con cui il Presidente dell’Autorità di Sistema portuale dello Stretto, in data 8 luglio 2020, aveva rigettato l’istanza relativa all’estensione della validità della concessione demaniale marittima di cui la ricorrente era titolare. Più particolarmente, il TAR Catania non aveva ritenuto condivisibili le statuizioni rese dal TAR Lecce in una vicenda parallela, in ordine alla natura non self-executing dell’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE[3] nonché alla carenza di potere dell’organo amministrativo a disapplicare la legge interna, per essere l’accertamento della natura self-executing di una direttiva riservato solo al giudice e precluso all’Amministrazione.

Nella seconda controversia, il TAR Lecce aveva accolto il ricorso proposto dal sig. Andrea Cerreto, titolare di una concessione demaniale marittima in Lecce, annullando i provvedimenti con cui il Comune ne aveva respinto l’istanza di proroga sulla scorta del presupposto che l’amministrazione comunale avesse illegittimamente disapplicato la legge nazionale che prevede la proroga delle concessioni demaniali[4]. Secondo il TAR Lecce, l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE non avrebbe natura self-executing e, quand’anche tale natura le venisse riconosciuta, ciò non legittimerebbe un organo amministrativo a disapplicare la legge interna, in quanto l’accertamento della natura self-executing delle direttive sarebbe riservato solo al giudice e precluso all’Amministrazione.

In ambedue le sentenze, il CdS ha preliminarmente ricordato che, per quanto riguarda l’eventuale contrasto tra la normativa in materia di rilascio e rinnovo delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative e le norme europee applicabili, nella sentenza Promoimpresa del 14 luglio 2016[5] la Corte di Giustizia aveva affermato, tra le altre cose, che i) l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato nel senso che osta ad una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati, e che ii) l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[6] deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che consente la proroga automatica di tali concessioni nella misura  in cui queste ultime presentino un interesse transfrontaliero certo.

Per quanto riguarda l’articolo 49 TFUE, secondo una costante giurisprudenza[7] qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un’attività economica è tenuto a rispettare, tra gli altri, i principi di non discriminazione in base alla nazionalità, di parità di trattamento ed il conseguente obbligo di trasparenza, che impone all’autorità concedente di assicurare a favore di ogni potenziale offerente un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione. Più particolarmente, quando un contratto presenta un interesse transfrontaliero certo[8], il suo affidamento con modalità non trasparenti ad un’impresa con sede nello Stato Membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese con sede in un altro Stato Membro che potrebbero esservi interessate. 

Secondo il CdS, i criteri oggettivi che una normativa nazionale o locale può stabilire per indicare l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo[9] devono essere adattati, con riferimento al mercato delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, al fine di tenere conto delle sue particolarità. Per tali tipologie di concessione, ciò che viene in considerazione non è, infatti, il prezzo di una prestazione né il diritto di sfruttare economicamente un singolo servizio avente rilevanza economica, in quanto l’Amministrazione rende disponibile a dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, apprezzati unitariamente, costituiscono patrimoni naturalistici estremamente rinomati e attrattivi. Di talché, a causa del ridotto canone versato all’Amministrazione concedente, il concessionario ha già la possibilità di ricavare, tramite una semplice sub-concessione, un prezzo più elevato del canone concessorio, che riflette il reale valore economico e turistico del bene. Tale settore, pertanto, non può essere tenuto indefinitamente al riparo dalle regole della concorrenza e dell’evidenza pubblica, sottraendo al mercato e alla libera competizione risorse naturali idonee a produrre profitti molto ingenti. Di conseguenza, le spiagge italiane (così come le aree lacuali e fluviali) per conformazione, ubicazione geografica e attrattività presentano tutte e nel loro insieme un interesse transfrontaliero certo; ciò implica che la disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata delle concessioni si pone già per tale ragione in contrasto con gli articoli 49 e 56[10] del TFUE, in quanto è suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno.

Per quanto riguarda, invece, l’applicazione della Direttiva 2006/123 alle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, il CdS ha ricordato le diverse linee di argomentazione, secondo cui: i) le notevoli differenze esistenti fra le legislazioni degli Stati Membri in materia avrebbero presupposto la preventiva armonizzazione delle normative nazionali applicabili, di talché la direttiva avrebbe dovuto essere fondata, oltre che sulle norme relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi, anche sulla base giuridica dell’articolo 115 TFUE[11]; ii) se applicata alle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa, la Direttiva 2006/123 comporterebbe un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati Membri in materia di turismo, in contrasto con l’articolo 195 TFUE[12]; iii) la concessione di beni demaniali non rientrerebbe comunque nella nozione di “autorizzazione di servizi” ai sensi dell’articolo 12 della Direttiva 2006/123; iv) le aree demaniali marittime, fluviali o lacuali non potrebbero in ogni caso considerarsi risorse scarse; e v) l’articolo 12 della Direttiva 2006/123 sarebbe privo del livello di dettaglio e di specificità necessari per consentirne la diretta applicabilità, in assenza di un puntuale recepimento da parte del legislatore nazionale.

A tutte queste obiezioni le sentenze del CdS forniscono compiuta risposta.

In primo luogo, l’’obiettivo della Direttiva 2006/123 non è quello di armonizzare le discipline nazionali che prevedono ostacoli alla libera circolazione, e bensì di eliminare questi ultimi così da realizzare un’effettiva concorrenza fra i prestatori dei servizi[13]; di talché, secondo il CdS, non viene in rilievo l’articolo 115 TFUE che prevede la deliberazione all’unanimità delle direttive di armonizzazione e coordinamento. Ciò, a sua volta, supera l’argomento relativo alla supposta assenza di competenza dell’Unione ad adottare misure di armonizzazione in materia di turismo, alla luce dell’articolo 195 TFUE.

In secondo luogo, nella misura in cui richiede una procedura di gara trasparente ed imparziale per il rilascio di autorizzazioni in caso di scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili nello svolgimento dell’attività, l’articolo 12 della Direttiva 2006/123 deve ritenersi inteso a disciplinare il mercato interno in termini generali, applicandosi perciò a tutti i settori salvo quelli espressamente esclusi dal suo ambito di applicabilità. Di conseguenza, la portata dell’articolo 12 della medesima Direttiva 2006/123 sulle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa non si riverbera in modo diretto sulla politica nazionale in materia di turismo, in quanto il rilascio della concessione rappresenta solo una precondizione per l’esercizio dell’impresa turistica, la cui attività, successivamente al rilascio, non è governata dalla normativa contenuta nella direttiva. 

In terzo luogo, neppure l’argomento volto a contestare la qualificazione della concessione demaniale con finalità turistico-ricreativa in termini di “autorizzazione di servizi” ai sensi dell’articolo 12 della Direttiva 2006/123 può essere accolto. La ricostruzione secondo cui la concessione attribuisce il diritto di sfruttare il bene (ma non autorizza l’esercizio dell’attività) e che le attività svolte dal concessionario non sono sempre attività di servizi è meramente formalistica, in quanto valorizza la distinzione, propria del diritto nazionale, tra concessione di beni (come atto con effetti costitutivi/traslativi che attribuisce un diritto nuovo, nel caso di specie, su un’area demaniale) e autorizzazione di attività (come atto che si limita a rimuovere un limite all’esercizio di un diritto preesistente). Secondo il diritto europeo, al contrario, nella misura in cui si traduce nell’attribuzione del diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un’attività economica, il provvedimento di concessione diventa uno strumento che, a prescindere dalla qualificazione giuridica nazionale, procura al titolare vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi[14]. Di conseguenza, il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale ad un operatore economico, consentendogli di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi, va considerato, nell’ottica della Direttiva 2006/123, un’autorizzazione di servizi contingentata, come tale da sottoporre alla procedura di gara[15]

In quarto luogo, anche l’argomento relativo alla insussistenza del requisito della scarsità della risorsa naturale potrebbe essere accolto.Il concetto di scarsità, infatti, va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto i) della “quantità” del bene disponibile, ii) dei suoi aspetti qualitativi (e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti), iii) dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato, e iv) della disponibilità di aree ulteriori rispetto a quelle attualmente già oggetto di concessione. Più particolarmente, è sulle aree potenzialmente ancora concedibili, oltre che su quelle già assentite, che si deve concentrare l’attenzione per verificare se l’attuale regime di proroga fino al 31 dicembre 2033 possa creare una barriera all’ingresso di nuovi operatori, in contrasto con gli obiettivi di liberalizzazione perseguiti dalla Direttiva 2006/123. A tal proposito, l’insieme dei dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo (SID) del Ministero delle Infrastrutture[16] evidenzia come, attualmente, le aree demaniali marittime, lacuali e fluviali a disposizione di nuovi operatori economici siano caratterizzate da una notevole scarsità, ancor più pronunciata se si considera l’ambito territoriale del singolo comune concedente o se si prendono a riferimento porzioni di costa specifiche rispetto alla complessiva estensione costiera nazionale. Nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, pertanto, le risorse naturali a disposizione dei nuovi potenziali operatori sono da ritenersi effettivamente scarse, con ciò verificandosi i presupposti per l’applicazione dell’articolo 12 della Direttiva 2006/123.

Secondo il CdS, infine, anche la tesi secondo cui l’articolo 12 della Direttiva 2006/123 non potrebbe considerarsi self-executing perché non sufficientemente dettagliato e specifico non può essere accolta. Rispetto al suo obiettivo di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse sostituendo ad un sistema in cui queste vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata a chi è già titolare di preesistenti concessioni un regime di evidenza pubblica che assicuri la par condicio fra i soggetti potenzialmente interessati, infatti, la norma possiede un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale che prevede la proroga ex lege fino al 2033 imponendo, al contrario, una gara conforme ai principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

Anche l’articolo 12 della Direttiva 2006/123, pertanto, risulta applicabile al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, con conseguente incompatibilità comunitaria della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata di quelle già rilasciate. Del pari, anche la moratoria emergenziale prevista dall’articolo 182 comma 2 del Decreto-Legge 34/2020[17] presenta profili di incompatibilità comunitaria, non potendosi sostenere che la proroga delle concessioni sia funzionale al contenimento delle conseguenze economiche della pandemia del coronavirus, dovendosi, al contrario, qualificarla come disfunzionale rispetto all’obiettivo dichiarato e diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo.

Il CdS si è successivamente interrogato sull’eventuale sussistenza, in capo all’apparato amministrativo, dell’obbligo di disapplicare la legge contraria all’ordinamento europeo, in particolare, nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing.

A tal proposito, il CdS ha preliminarmente ricordato che per costante giurisprudenza tanto europea[18] che nazionale[19] tutti gli organi competenti a dare esecuzione alle leggi (inclusi, pertanto, anche quelli amministrativi) sono tenuti a non dare applicazione alle disposizioni contrarie alle norme europee, anche qualora a venire in rilievo sia una direttiva self-executing. La distinzione prospettata dal TAR Lecce, nell’ambito delle norme europee direttamente applicabili, fra i regolamenti e le direttive self-executing al fine di ritenere solo i primi e non anche le seconde idonee a produrre l’obbligo di non applicazione in capo alla Pubblica Amministrazione, infatti, si tradurrebbe nel parziale disconoscimento del c.d. effetto utile delle direttive autoesecutive e nell’artificiosa creazione di un’inedita categoria di norme europee direttamente applicabili (nei rapporti verticali) solo da parte del giudice e non dell’ Amministrazione. Anche a volersi ammettere che la legge in contrasto con una direttiva self-executing non sia disapplicabile dall’Amministrazione ma solo dal giudice, l’atto amministrativo emanato in base ad una legge poi riconosciuta in contrasto con l’ordinamento europeo in sede giurisdizionale sarebbe comunque illegittimo e, come tale, andrebbe annullato. Di conseguenza, la distinzione tra norme disapplicabili tout court e norme disapplicabili dal giudice ma non dall’ Amministrazione risulterebbe foriera di contraddizioni ed inconvenienti pratici. Pertanto la legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self-executing, deve essere disapplicata sia dal giudice che dalla Amministrazione, senza necessità di sollevazione di una questione di legittimità costituzionale[20].

Questa conclusione non viene inficiata da considerazioni dell’affidamento dei concessionari incumbent. Secondo il CdS, infatti, l’affidamento del concessionario dovrebbe trovare tutela non attraverso la proroga automatica, e bensì al momento di fissare le regole della procedura di gara[21]. Più in generale, qualora un operatore economico prudente e accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, egli non può invocare il beneficio della tutela del legittimo affidamento nel caso in cui esso venga adottato[22]. Ciò che non ricorre nel caso di specie in quanto, ancor prima e a prescindere dalla Direttiva 2006/123, lo stesso CdS aveva già affermato che per le concessioni demaniali la sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto necessario e sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai  principi di trasparenza e non discriminazione[23].

Il CdS si è infine chiesto se, nell’adempiere all’obbligo di disapplicazione, l’Amministrazione sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa europea (o comunque al suo riesame)[24] nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole potrebbe costituire un ostacolo all’annullamento d’ufficio.

Il CdS ha preliminarmente ricordato che il principio di primazia del diritto europeo di regola non incide sul regime di stabilità degli atti comunitariamente illegittimi, dovendosi escludere, in linea di principio, un obbligo di autotutela o di riesame, che sussiste solo qualora i) l’Amministrazione disponga secondo il diritto nazionale del potere di riesame, ii) l’atto amministrativo sia divenuto definitivo a seguito di una sentenza di un giudice nazionale di ultima istanza, e iii) tale sentenza, alla luce di una successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia, risulti fondata su una interpretazione errata del diritto adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale[25]. Tali principi, tuttavia, non sono applicabili nel caso concreto, in cui non si pone una questione di autotutela amministrativa. Secondo il CdS, infatti, l’atto di proroga è un atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto automaticamente dalla legge, e quindi alla stessa direttamente riconducibile; di talché, la proroga del termine si verifica automaticamente, in via generalizzata ed ex lege, senza l’intermediazione di alcun potere amministrativo. Di conseguenza, se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non può essere applicata perché in contrasto con il diritto europeo, l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset, e pertanto l’Amministrazione non esercita il potere di autotutela.

Lo stesso vale nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole al concessionario demaniale. Nonostante l’indiscussa importanza che il principio dell’autorità della cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento europeo che in quelli nazionali[26], le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di Giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate, con la conseguenza che la decisione della Corte, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto, essendo equiparabile ad una sopravvenienza normativa. Considerando che in seguito al rinnovo della concessione demaniale nasce (o prosegue) un rapporto di durata, secondo il CdS deve essere richiamato il principio in base al quale la sopravvenienza normativa incide sulle situazioni giuridiche durevoli per quella parte che si svolge successivamente al giudicato; di talché, per quella parte del rapporto non coperta da quest’ultimo, non vi sono ostacoli a dare immediata attuazione allo jus superveniens di derivazione comunitaria. L’incompatibilità comunitaria della legge nazionale che ha disposto la proroga ex lege delle concessioni demaniali, dunque, produce come effetto, anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole al concessionario incumbent, il venir meno degli effetti della concessione, in conseguenza del dovere di disapplicazione della disciplina interna. 

Essendo tuttavia consapevole del notevole impatto sociale ed economico che tale immediata disapplicazione potrebbe comportare, specie in un contesto caratterizzato da un regime di proroga che è frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni, il CdS ha deciso di modulare gli effetti temporali della propria decisone al fine di assicurare alle Amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, fissando un intervallo temporale per l’operatività degli effetti della stessa al 31 dicembre 2023. Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente dalla presenza, o meno, di un soggetto subentrante nella concessione. Eventuali proroghe legislative del termine così individuato, inoltre, dovranno considerarsi in contrasto con il diritto europeo e, pertanto, immediatamente disapplicabili ad opera non solo del giudice, e bensì di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere.

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[1] T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2021) 15-02-2021, n. 504.

[2] T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2021) 15-01-2021, n. 73.

[3] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GUUE L 376 del 27.12.2006. L’articolo 12 della Direttiva, intitolato “Selezione tra diversi candidati”, dispone: “Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario…”.

[4] Legge 30 dicembre 2018, n. 145, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021, GU n. 302 del 31.12.2018. L’articolo 1 della Legge, intitolato “Risultati differenziali. Norme in materia di entrata e di spesa e altre disposizioni. Fondi speciali”, ai commi 682-683 dispone: “… Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677, rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale. 683. Al fine di garantire la tutela e la custodia delle coste italiane affidate in concessione, quali risorse turistiche fondamentali del Paese, e tutelare l’occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici e dai conseguenti eventi calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, nonché quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31 dicembre 2009 e per le quali il rilascio è avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, o il rinnovo è avvenuto nel rispetto dell’articolo 02 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677 rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale…”.

[5] CGUE 14.07.2016, Cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl contro Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e Regione Lombardia e Mario Melis e a. contre Comune di Loiri Porto San Paolo e Provincia di Olbia Tempio.

[6] L’articolo 49 TFUE dispone: “… Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali…”.

[7] Ex multis CGUE 07.12.2000, Causa C-324/98, Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH contro Telekom Austria AG, interveniente: Herold Business Data AG.

[8] L’interesse transfrontaliero certo consiste nella capacità di un’opportunità di guadagno offerta dall’Amministrazione, anche attraverso il rilascio di provvedimenti che non portano alla conclusione di un contratto di appalto o di concessione, di attrarre gli operatori economici di altri Stati Membri.

[9] CGUE 06.10.2016, Causa C-318/15, Tecnoedi Costruzioni Srl contro Comune di Fossano; CGUE 15.05.2008, Cause riunite C-147/06 e C-148/06, SECAP SpA e Santorso Soc. coop. arl contro Comune di Torino; CGUE 21.07.2005, Causa C-231/03, Consorzio Aziende Metano (Coname) contro Comune di Cingia de’ Botti.

[10] L’articolo 56 TFUE dispone: “… Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione…”.

[11] L’articolo 115 TFUE dispone: “… Fatto salvo l’articolo 114, il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno…”.

[12] L’articolo 195 TFUE dispone: “… L’Unione completa l’azione degli Stati membri nel settore del turismo, in particolare promuovendo la competitività delle imprese dell’Unione in tale settore.

A tal fine l’azione dell’Unione è intesa a:

  1. a) incoraggiare la creazione di un ambiente propizio allo sviluppo delle imprese in detto settore;
  2. b) favorire la cooperazione tra Stati membri, in particolare attraverso lo scambio delle buone pratiche.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure specifiche destinate a completare le azioni svolte negli Stati membri al fine di realizzare gli obiettivi di cui al presente articolo, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri…”.

[13] CGUE 30.01.2018, Cause riunite C-360/15 e C-31/16, College van Burgemeester en Wethouders van de gemeente Amersfoort e Visser Vastgoed Beleggingen BV contro Raad van de gemeente Appingedam, punti 104-106.

[14] CGUE 22.09.2020, Cause riunite C-724/18 e C-727/18, Cali Apartments SCI e HX contro Procureur général près la cour d’appel de Paris e Ville de Paris, punto 34.

[15] CGUE 14.07.2016, Cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl contro Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e Regione Lombardia e Mario Melis e a. contre Comune di Loiri Porto San Paolo e Provincia di Olbia Tempio, punto 41.

[16] Nello specifico, secondo tali dati in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%.

[17] Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34, Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, GU n. 180 del 18.07.2020. L’articolo 182 del Decreto, intitolato “Ulteriori misure di sostegno per il settore turistico”, al comma 2 dispone: “… In riferimento ai beni del demanio marittimo in concessione, tenuto conto degli effetti derivanti nel settore dall’emergenza da COVID-19 nonché dell’esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici e la parità di trattamento tra gli operatori, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 1, commi 682 e 683 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per le aree e le relative pertinenze oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 34 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e gli enti concedenti procedono alla ricognizione delle relative attività, ferma restando l’efficacia dei titoli già rilasciati. Le disposizioni del presente comma non si applicano in riferimento ai beni che non hanno formato oggetto di titolo concessorio, nè quando la riacquisizione dell’area e delle relative pertinenze è conseguenza dell’annullamento o della revoca della concessione oppure della decadenza del titolo per fatto del concessionario…”.

[18] Ex multis CGUE 22.06.1989, Causa 103/88, Fratelli Costanzo SpA contro Comune di Milano.

[19] Ex multis Cons. Stato, sez. V 6 aprile 1991, n. 452, Corte cost., (ud. 04-07-1989) 11-07-1989, n. 389.

[20] Il sindacato di costituzionalità in via incidentale su una legge nazionale anticomunitaria è oggi possibile solo se tale legge sia in contrasto con una direttiva comunitaria non self-executing oppure, nei casi in cui la legge nazionale contrasti con i diritti fondamentali della persona tutelati sia dalla Costituzione sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (teoria della c.d. “doppia pregiudizialità”).

[21] CGUE 14.07.2016, Cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl contro Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e Regione Lombardia e Mario Melis e a. contre Comune di Loiri Porto San Paolo e Provincia di Olbia Tempio, punti 52-56.

[22] Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 14 ottobre 2010, Causa C-67/09 P, Nuova Agricast Srl e Cofra Srl contro Commissione europea, punto 71.

[23] Ex multis, Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2007, n. 2825; Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2005, n. 168.

[24] Legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, GU n.192 del 18.08.1990. L’articolo 21-octies della Legge, intitolato “Annullabilità del provvedimento”, dispone: “… È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis…”.

[25] CGUE 12.02.2008, Causa C-2/06, Willy Kempter KG contro Hauptzollamt Hamburg-Jonas; CGUE 01.06.2006, Causa C-453/04, innoventif Limited.

[26] CGUE 11.09.2019, Causa C-676/17, Oana Mădălina Călin contro Direcţia Regională a Finanţelor Publice Ploieşti – Administraţia Judeţeană a Finanţelor Publice Dâmboviţa e altri; CGUE 16.03.2006, Causa C-234/04, Rosmarie Kapferer contro Schlank & Schick GmbH; CGUE 01.06.1999, Causa C-126/97, Eco Swiss China Time Ltd contro Benetton International NV.