DAL CONIO AI BIT(COIN): L’ALBA DELL’EURO DIGITALE?

marketude Alberto Castelli, Alessandro Foti, Diritto bancario e finanziario, IT e TMT, Prospettive, Pubblicazioni

Con una capitalizzazione odierna che sfiora 2,7 trilioni di dollari[1] le “criptovalute”, e ancor più l’architettura informatica su cui si basano (blockchain), paiono affermarsi non più come un impalpabile e oscuro parallelo mondo digitale e transitorio ma come un fenomeno mosso da un qualche valore degno di essere esaminato e reso fruibile anche ai non adepti.

Un ruolo fondamentale nella diffusione ed evoluzione si deve al fatto che questi sistemi sono costruiti con software open source. Ciò ha, tra l’altro, consentito agli sviluppatori di progredire l’originaria e primigenia struttura di blockchain da mero strumento di emissione di e pagamento con “valuta virtuale” (qual è il bitcoin), nell’articolata e multifunzionale blockchain con “contratti intelligenti” o smart contract(qual è Ethereum).

Al di là delle innumerevoli possibili applicazioni pratiche quel che da sistemi, come quelli a matrice blockchain, emerge con evidenza è la centralità del dato, del bit. Le valute virtuali, le transazioni con esse effettuate, gli smart contract altro non sono che dati digitali e tali resteranno.

Ponendosi da questa prospettiva è possibile osservare come il fenomeno muova dal presupposto secondo cui la veridicità e la genuinità (e.g. chi scambia i dati ne ha titolo) di dati scambiati in via confidenziale (crittografica) tra utenti (sottoforma di transazioni, accordi etc.) di una rete interconnessa di computer può essere garantita dalla rete stessa senza ricorrere a entità istituzionali tradizionali.

Il processo di verifica dei dati è affidato a complessi ed energivori calcoli matematici[2] eseguiti, dietro ricompensa, dalla stessa rete (e.g. attraverso nodi e miner[3]) la quale in caso di esito positivo li imprime permanentemente e irreversibilmente in un “registro”, un database sempre accessibile da chiunque (Distributed Ledger Technology o DLT). 

In questo contesto, i network di computer che tengono in piedi una blockchain assumono la veste di inediti “coniatori” di monete fatte di bit.

Prescindendo dalle difficoltà di inquadramento giuridico/economico del nuovo conio digitale, due dei profili più delicati che sin dall’origine hanno accompagnato i modelli informatici basati su blockchain sono il massiccio consumo energetico e l’asserito anonimato dei soggetti che a vario titolo vi prendono parte.

Il fenomeno sarebbe poi da tenere in considerazione soprattutto per la potenziale fragilità rispetto ai cyber rischi[4] e, secondo la comunità bancaria internazionale,[5] anche perché in assenza di adeguata regolamentazione favorirebbe il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il finanziamento al terrorismo.

Questa, in sintesi, la posizione prevalente sino a qualche anno fa.

Recentemente si è assistito ad una inversione di rotta da parte di paesi e organismi bancari internazionali che hanno mostrato interesse a riconsiderarne l’utilità.

Secondo alcune fonti, le banche centrali di vari paesi stanno vagliando l’opportunità di emettere valute digitali avente corso legale, attraverso la cd. “Central Bank Digital Currency” (CBDC).[6]

Per quanto consta, il Commonwealth delle Bahamas è stato tra i primi paesi al mondo ad aver lanciato ufficialmente la propria valuta digitale. Nell’ottobre 2020, la Banca Centrale delle Bahamas ha emesso a livello nazionale il Sand Dollar, e attualmente sta lavorando al fine di raggiungere la piena interoperabilità tra i vari fornitori di wallet [7].

La FED, plausibilmente per le accennate ragioni legate alla vulnerabilità del sistema in termini di cybersecurity, pare aver assunto un atteggiamento attendista ancorché, un recente comunicato parrebbe non escludere la possibilità di esaminare l’emissione di un CBDC [8].

La Banca Centrale Cinese (Pbc) ha annunciato, da un lato, che tutte le transazioni effettuate con criptovalute nel paese saranno considerate “illegali”[9] e, dall’altro, avviato un programma di emissione dello yuan digitale entro il 2022[10].

Vi sono poi 14 paesi, tra cui alcune maggiori economie come la Svezia e la Corea del Sud, con programmi in fase pilota in vista del lancio completo della propria CBDC nei relativi mercati nazionali.

In cima alla lista dei paesi più tolleranti nei confronti delle criptovalute c’è la Repubblica di El Salvador[11] che, in aggiunta al dollaro americano, ha riconosciuto il Bitcoin come moneta avente corso legale, con potere liberatorio.

 

Il Progetto della Bce

Oltre alla Pbc, la Bce è l’unica tra le maggiori banche centrali che si è unita concretamente alla corsa per l’emissione di una CBDC. Il 14 luglio scorso, il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di avviare una fase di analisi del progetto per l’emissione dell’“euro digitale”, della durata 24 mesi[12]. Nel corso di questa fase di valutazione diverse saranno le tematiche da dover analizzare, dalla definizione delle caratteristiche tecniche alle modalità di emissione, oltre alla valutazione dell’impatto che tale valuta digitale potrebbe avere sull’Eurosistema, in particolare sulla politica monetaria EU, sulla stabilità finanziaria così come sull’offerta di servizi da parte del settore bancario e, non da ultimo, la valutazione di una serie di implicazioni legali relative alla sua emissione.

Secondo quanto dichiarato da Fabio Panetta, Membro del Comitato esecutivo della Bce, sarà necessario un confronto con il Parlamento europeo e le altre Istituzioni, che dovranno essere informati regolarmente in merito ai risultati delle analisi, con il necessario coinvolgimento anche dei cittadini europei, dei commercianti e del settore dei servizi di pagamento. L’euro digitale dovrà poter rispondere alle esigenze dei cittadini europei, contribuendo a prevenire attività illecite e scongiurare effetti indesiderati sulla stabilità finanziaria e sulla politica monetaria dell’Eurosistema.

Il progetto dovrà anche analizzare le modifiche che potrebbero necessariamente doversi apportare al quadro normativo dell’UE che saranno discusse e decise dai legislatori europei. Per tutta la fase di analisi del progetto, la Bce continuerà a confrontarsi con il Parlamento europeo e le altre Istituzioni dell’Unione. Nell’ambito delle valutazioni sul possibile impatto che un euro digitale potrebbe avere sul mercato, dovranno individuarsi le opzioni che consentano di garantire la privacy e la sicurezza delle transazioni al fine di evitare rischi per i cittadini e gli intermediari dell’area-euro e, in generale, per l’economia. Le transazioni in euro digitale potrebbero essere monitorate solo a fini di antiriciclaggio e antiterrorismo come già accade per le transazioni bancarie.

Per quanto riguarda l’architettura dell’euro digitale, la Bce ha già condotto sperimentazioni attraverso sia la blockchain, sia l’esistente servizio dell’Eurosistema per i pagamenti elettronici, denominato TARGET Instant Payment Settlement (TIPS). Questi test hanno dimostrato che la soluzione tecnica (hardware e software) che si intenderebbe adottare per emissione e circolazione dell’euro digitale sarebbe in grado di processare oltre quarantamila transazioni al secondo con un trascurabile impatto energetico rispetto al Bitcoin.

 

Il quadro normativo di riferimento

A seconda delle finalità e dell’utilizzo che verranno attribuiti all’euro digitale, i riferimenti normativi dell’ordinamento dell’UE alla base dell’emissione di tale divisa digitale da parte dell’Eurosistema sarebbero diversi[13]. Per quanto concerne la normativa EU primaria, se l’euro digitale dovesse essere emesso come strumento di politica monetaria (assimilabile alle riserve della banca centrale), e accessibile solo alle controparti della banca centrale, allora l’Eurosistema potrebbe invocare, come base giuridica conformemente al principio di attribuzione delle competenze[14], l’articolo 127, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in combinato disposto con il primo capoverso dell’articolo 20 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (SEBC)[15].

Qualora invece l’euro digitale dovesse essere messo a disposizione delle famiglie e di altri soggetti privati attraverso conti detenuti presso l’Eurosistema, quest’ultimo potrebbe invocare (ma non come unica base giuridica) il citato articolo 127, paragrafo 2, del TFUE unitamente all’articolo 17 dello statuto del SEBC[16].

Nel caso in cui, ancora, l’euro digitale dovesse essere emesso come mezzo di regolamento per specifiche tipologie di pagamento, processato da un’infrastruttura dedicata accessibile solo ai partecipanti idonei, allora la base giuridica più appropriata per la sua emissione sarebbe sempre l’articolo 127, paragrafo 2, del TFUE ma in combinato disposto con l’articolo 22 dello statuto del SEBC[17].

Da ultimo, se l’euro digitale dovesse essere emesso come strumento equivalente a una banconota, la base giuridica più opportuna per la sua emissione sarebbe l’articolo 128, paragrafo 1, del TFUE in combinato disposto con il primo capoverso dell’articolo 16 dello Statuto del SEBC[18].

In estrema sintesi, il ricorso all’articolo 128, paragrafo 1, del TFUE in combinato disposto con l’articolo 16 dello statuto del SEBC consentirebbe all’Eurosistema il più ampio margine di discrezionalità per l’emissione di un euro digitale avente corso legale. Il ricorso all’articolo 127, paragrafo 2, del TFUE in combinato disposto con gli articoli 17, 20 o 22 dello statuto del SEBC sarebbe più coerente con l’emissione di varianti dell’euro digitale per usi limitati e non avente corso legale.

Ad ogni modo, e a supporto delle basi giuridiche sopra richiamate, sarebbe comunque necessaria l’emanazione di disposizioni attuative – ex articolo 133 del TFUE[19] – al fine di disciplinare le condizioni per l’emissione da parte dell’Eurosistema di un euro digitale avente corso legale.

L’effettiva struttura adottata per l’emissione dell’euro digitale, e, soprattutto, le scelte sulle destinazioni d’uso, implicano ulteriori e diverse valutazioni rispetto al quadro normativo di riferimento (come sinteticamente sopra riportato). A titolo di mero esempio, in uno scenario in cui gli utenti finali avessero accesso diretto all’euro digitale, l’Eurosistema diventerebbe l’unico fornitore di servizi di pagamento di tale moneta digitale, mentre in un contesto in cui gli utenti finali ne avessero un accesso intermediato, l’Eurosistema si affiderebbe a operatori terzi (verosimilmente, intermediari sottoposti a vigilanza) per la distribuzione dell’euro digitale.

 

Alcuni spunti di riflessione

Complessivamente, ad avviso di chi scrive, è da accogliersi favorevolmente la scelta dell’approccio e del metodo analitico, con consultazione pubblica, della Bce sulla possibile implementazione di un modello di emissione di moneta ispirato al fenomeno blockchained alle criptovalute.

Va detto che l’ambizioso progetto di valutazione avviato il 14 luglio scorso sottende un elevato grado di complessità anche per i commentatori, atteso che gli scenari e i possibili effetti dell’emissione di euro digitale potranno variare significativamente al variare anche della soluzione tecnica che la Bce intenderà implementare.

Senza pretesa di esaustività pare utile segnalare alcuni profili di riflessione.

Tra gli elementi latu sensu positivi dell’emissione di euro digitale, quale nuovo mezzo di pagamento pan-europeo, vi sarebbero i seguenti:

  • la moneta digitale andrebbe incontro alle esigenze dei cittadini europei anche in risposta a un significativo declino del ruolo del contante come mezzo di pagamento;
  • potrebbe poi risultare un valido strumento per spingere il processo di digitalizzazione dell’economia europea e, di pari passo, l’indipendenza strategica della UE. Al tempo stesso, l’euro digitale potrebbe divenire un valido strumento attraverso cui promuovere il ruolo internazionale dell’euro come valuta di riserva e per certi versi, di diffusione della politica monetaria unionale;
  • sul piano teorico, l’utilizzo di una moneta sovrana digitale, garantirebbe la stabilità monetaria e l’ordinato funzionamento del sistema dei pagamenti, fungendo da deterrente all’ampia disponibilità di strumenti privati di pagamento digitale quali le valute digitali straniere e, soprattutto, di quelle già in circolazione emesse nel contesto di network open source (e.g., stablecoins, Bitcoin, ecc.);
  • non da ultimo, potrebbe portare benefici efficientando i costi complessivi e l’impronta (poco) ecologica degli attuali sistemi monetari e di pagamento.

Tra gli aspetti da considerare perché potenzialmente forieri di criticità vi sono i seguenti:

  • particolare attenzione andrebbe riposta alle modalità attraverso cui si deciderà di iniettare la moneta digitale nel mercato. Difatti, ove si propendesse per la soluzione della emissione diretta ai cittadini da parte delle banche centrali potrebbe assistersi ad una disintermediazione con effetti difficilmente prevedibili sul sistema bancario periferico;
  • dai documenti di studio della Bce emerge abbastanza chiaramente l’intenzione di affiancare la nuova moneta digitale europea al contante, senza sostituirlo. Non pare, tuttavia, prospettato alcun limite temporale alla coesistenza delle due monete. Tale soluzione, sebbene ragionevole nel breve-medio periodo, potrebbe non essere appropriata a lungo termine per una serie di ragioni, tra cui l’incompatibilità con i piani di integrale transizione digitale propugnata dalla UE[20]. Per converso andranno valutate opportunamente soluzioni tecniche compatibili con il piano di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite[21];
  • da non sottovalutare sono poi le interazioni dell’euro digitale con monete (soprattutto cartacee) e mercati esteri (soprattutto a basso tasso di digitalizzazione);
  • tra le principali sfide associate al progetto dell’euro digitale, vi sono inoltre la privacy dei detentori, la semplicità di utilizzo come mezzo di pagamento, la sicurezza, l’usabilità anche offline e l’assenza di costi aggiuntivi.

In definitiva, non può che condividersi l’interesse della Bce verso la travolgente innovazione tecnologica suggerita dagli strumenti di pagamento basati sulla tecnologia blockchain.

Qualsiasi politica monetaria di una banca centrale, infatti, non può non tener conto delle esigenze di evoluzione della società e dell’economia in generale, specialmente se i benefici paiono maggiori dei rischi.

Naturalmente, la cautela è d’obbligo.

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[1] Dato al 25.11.2021 fonte https://coinmarketcap.com/

[2] I sistemi basati su blockchain necessitano di almeno due componenti un software e un hardware. I metodi maggiormente utilizzati nei processi di verifica dei dati scambiati su blockchain a loro volta si basano su software che sfruttano due algoritmi: Proof of Work (PoW) e Proof of Stake (PoS). I protocolli di Bitcoin e Ethereum attualmente utilizzano il PoW anche se per il secondo è in corso un complesso processo di transizione verso il PoS (https://ethereum.org/en/eth2/). In base agli attuali standard, soprattutto nel modello PoW, il tempo e la difficoltà di risoluzione dei calcoli matematici sottostanti al processo di verifica tende a crescere proporzionalmente al crescere delle dimensioni della blockchain (inter alia, volume di transazioni inserite nel registro e partecipanti al network). Da ciò derivano, tra l’altro, due conseguenze: la prima è che la risoluzione dei problemi matematici in discorso, secondo le conoscenze e gli strumenti hardware e software attualmente disponibili, è possibile, in tempi ragionevoli, soltanto se l’hardware utilizzato da nodi e miner offre le necessarie prestazioni computazionali richieste dalla rete, la seconda è che all’elevato impiego di potenza e di capacità elaborativa corrisponde un ampio consumo di energia elettrica. Si stima che il consumo energetico riferibile alla blockchain Bitcoin sia grossomodo pari a quello di un medio Paese europeo. Il Bitcoin electricity consumption indexdell’Università di Cambridge ha stimato che essa necessiti di oltre 133 terawattora di elettricità l’anno (https://ccaf.io/cbeci/index). Si consideri che il consumo annuo di un paese come la Svezia è pari a poco meno di 132 TWh e che una famiglia media composta da 3-4 persone consuma circa 2.700 kWh all’anno, con una potenza impegnata pari a 3 kW.

[3] Termine di derivazione anglosassone, letteralmente “minatore” ossia colui che lavora in miniera. Nel contesto di determinate tipologie di blockchain (c.d. permissionless e.g. Bitcoin, Ethereum) il termine si riferisce ai partecipanti alla rete, miners, che mettono a disposizione il proprio hardware ai fini del processo di verifica e risoluzione di complessi problemi matematici preordinati all’inserimento dei dati nel registro. Quest’attività svolta dai miner è definita “mining”. Il termine sembra potersi ricondurre all’inciso contenuto a pag. 4 n. 6 del documento divulgativo del sistema di blockchain Bitcoin cd. white paper a firma Satoshi Nakamoto (“Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”) laddove l’attività dei miner è in qualche misura assimilata a quella dei minatori d’oro (https://bitcoin.org/bitcoin.pdf). Successivamente lo stesso termine è stato utilizzato, tra gli altri, anche dai programmatori della blockchain Ethereum (https://ethereum.org/en/whitepaper/).

[4] Così il governatore Mario Draghi durante l’incontro con i parlamentari europei nel corso del Hearing of the Committee on Economic and Monetary Affairs del 2017.

[5] Ci si riferisce in particolare alla Banca centrale europea (Bce), alla Federal Reserve americana (FED), al Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale dell’OCSE (GAFI) ed al Financial intelligence Unit (FIU) dell’Unione europea.

[6] Secondo i dati forniti dall’osservatorio Central Bank Digital Currency Tracker dell’Atlantic Council, ad oggi sarebbero ben oltre 85 rispetto ai 35 paesi rilevati nel 2020 che starebbero considerando un programma di CBDC (cfr. report dell’Atlantic Council pubblicato nel mese di maggio 2020).

[7] Termine di derivazione anglosassone, letteralmente “portafoglio”. Il wallet è un portafoglio virtuale, uno strumento indispensabile che consente ai partecipanti il network della blockchain di gestire (e.g. conservare, trasferire) le criptovalute.

[8] In questi termini si è espresso Jerome Powell, Federal Reserve Chair, durante la conferenza stampa seguente la riunione del 22.10.2021 del Federal Open Market Committee (FOMC)

https://www.federalreserve.gov/mediacenter/files/FOMCpresconf20210922.pdf

[9] http://www.pbc.gov.cn/goutongjiaoliu/113456/113469/4348556/index.html

[10] http://www.pbc.gov.cn/en/3688110/3688172/4157443/4293696/2021071614584691871.pdf

[11] https://www.asamblea.gob.sv/sites/default/files/documents/dictamenes/27F0BD6F-3CEC-4F52-8287-432FB35AC475.pdf, https://www.presidencia.gob.sv/tag/bitcoin/

[12] https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2021/html/ecb.pr210714~d99198ea23.it.html

[13] Cfr. “Report on a digital euro” of the European central bank (October 2020) – https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/Report_on_a_digital_euro~4d7268b458.en.pdf.

[14] Ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea (TUE), il sistema delle competenze dell’UE è fondato sul principio di attribuzione. A mente del paragrafo 2 del medesimo articolo, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare le finalità di questi. Tale principio impone, quindi, che ogni iniziativa dell’Unione sia fondata su una disposizione del Trattato. Gli atti europei devono dunque precisare la base giuridica, ovverosia la norma del Trattato che legittima l’esercizio di tale competenza da parte delle istituzioni sovranazionali. Oltre al principio cardine di attribuzione, il sistema delle competenze dell’Unione europea è ispirato ad ulteriori due principi, il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità, sanciti rispettivamente dai paragrafi 3 e 4 del citato articolo 5 del TUE. Questi principi, ponendo ulteriori limiti all’intervento legislativo dell’Unione (o, quanto meno, all’incisività dell’azione delle istituzioni europee sugli ordinamenti degli Stati membri), operano in relazione all’esercizio delle competenze e concorrono pertanto a definire le modalità operative dell’Unione nel valutare se e in quale misura dare seguito ad una attribuzione ad essa conferita dai Trattati.

[15] L’articolo 127(2) del TFUE (versione consolidata – GU C 202/47 del 7.6.2016) statuisce che “[i] compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti: — definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, — svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219, — detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, — promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.”. L’articolo 20 (Altri strumenti di controllo monetario) dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (Protocollo (N. 4) sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea – GU C 202 del 7.6.2016, pagg. 230–250) al primo capoverso statuisce che “Il consiglio direttivo può decidere, a maggioranza dei due terzi dei votanti, sull’utilizzo di altri metodi operativi di controllo monetario che esso ritenga appropriato, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 2.”.

[16] Ai sensi dell’articolo 17 (Conti presso la BCE e le banche centrali nazionali) dello statuto del SEBC, “[a]l fine di svolgere le loro operazioni, la BCE e le banche centrali nazionali possono aprire conti intestati a enti creditizi, organismi pubblici e altri operatori del mercato e accettare come garanzia attività, ivi compresi i titoli scritturali.”.

[17] L’articolo 22 (Sistemi di pagamento e di compensazione) dello statuto del SEBC stabilisce che “[l]a BCE e le banche centrali nazionali possono accordare facilitazioni, e la BCE può stabilire regolamenti, al fine di assicurare sistemi di compensazione e di pagamento efficienti e affidabili all’interno dell’Unione e nei rapporti con i paesi terzi.”.

[18] L’articolo 128(1) del TFUE prevede che “[l]a Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.”. L’articolo 16 (Banconote) dello statuto del SEBC, primo capoverso, stabilisce che “[c]onformemente all’articolo 128, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il Consiglio direttivo ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.”.

[19] Ai sensi dell’articolo 133 del TFUE, “[f]atte salve le attribuzioni della Banca centrale europea, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie per l’utilizzo dell’euro come moneta unica. Tali misure sono adottate previa consultazione della Banca centrale europea.”.

[20] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/a-digital-future-for-europe/#:~:text=La%20digitalizzazione%20ha%20dato%20all,il%20calcolo%20ad%20alte%20prestazioni

[21] https://www.un.org/sustainabledevelopment/