UNA NUOVA PUNTATA DELLA SAGA MEDIASET/VIVENDI. DALL’EMENDAMENTO “SALVA MEDIASET” ALLA POSSIBILE PROCEDURA DI INFRAZIONE NEI CONFRONTI DELL’ITALIA

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In data 22 luglio 2021, il Senato ha approvato la fiducia chiesta dal Governo al Decreto sostegni bis[1] che, tra le altre cose, ha prorogato il c.d. “emendamento salva Mediaset” fino al 30 ottobre 2021, arricchendo così la saga Mediaset/Vivendi di un nuovo capitolo.

Questi i fatti.

In data 8 aprile 2016 Vivendi SA (“Vivendi”), Mediaset SpA (“Mediaset”) Reti Televisive Italiane SpA avevano stipulato un contratto di partnership strategica mediante il quale la prima acquisiva il 3,5% del capitale sociale di Mediaset ed il 100% di quello di Mediaset Premium SpA, cedendo in cambio a Mediaset il 3,5% del proprio capitale sociale. Successivamente, attraverso un’offerta pubblica ostile Vivendi era arrivata ad acquisire il 28,8% del capitale sociale di Mediaset e il 29,94% dei relativi diritti di voto.

In data 20 dicembre 2016 Mediaset aveva presentato una denuncia all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”), in quanto le partecipazioni possedute da Vivendi in Telecom Italia SpA (“Telecom Italia”) e in Mediaset comportavano ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel sistema integrato delle comunicazioni (“SIC”) superiori alle soglie stabilite dal Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici (“TUSMAR”)[2].

Secondo l’AGCOM, la condotta di Vivendi presentava in effetti profili di contrarietà alle norme del TUSMAR, di talché si rendeva necessaria la dismissione delle partecipazioni acquisite nel capitale di Mediaset e di Telecom Italia entro il termine di dodici mesi[3].Vivendi aveva allora trasferito ad una società terza il 19,19% delle azioni di Mediaset (pari al 19,95% dei diritti di voto) e conservato una partecipazione diretta al capitale inferiore al 10% dei corrispondenti diritti di voto esercitabili. Inoltre, Vivendi aveva proposto ricorso avverso la delibera dell’AGCOM dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, che si era a sua volta rivolto in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiedere se la norma nazionale controversa fosse compatibile con l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento Europeo (TFUE) che sancisce la libertà stabilimento nel mercato unico[4].

Con la sua decisione del 3 settembre 2020, nella Causa C-719/18, la Corte aveva statuito che, vietando alla Vivendi di mantenere le partecipazioni precedentemente acquisite in Mediaset o in Telecom Italia, e ordinandole di dismetterle nella misura eccedente le soglie previste, l’articolo 43, comma 11, del TUSMAR ne aveva limitato la libertà di stabilirsi in Italia, impedendole di influire maggiormente sulla gestione di Mediaset mediante un’acquisizione di partecipazioni e dando così luogo ad una restrizione non consentita della libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE[5].

Al fine di colmare il vuoto normativo venutosi a creare dopo la decisione della Corte di Giustizia, e nelle more della decisione di merito del TAR Lazio il Governo era intervenuto per prevenire eventuali scalate da parte di Vivendi.

Più particolarmente, nel Decreto sostegni, poi convertito nella Legge 159/2020, era stato inserito quello che sarebbe stato poi noto come “emendamento salva Mediaset”, ai sensi del quale, nel caso in cui un soggetto operi contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso ricadente nel SIC, anche attraverso partecipazioni in grado di determinare un’influenza notevole, l’AGCOM è tenuta ad avviare un’istruttoria, da concludere entro il termine di sei mesi dalla data di avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo tenendo conto dei ricavi, delle barriere all’ingresso nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti[6]. Nonostante l’avvio di tale istruttoria, tuttavia, in data 16 dicembre 2020 il TAR Lazio aveva deciso[7], conformemente alle indicazioni della Corte di Giustizia, di annullare la delibera dell’AGCOM che aveva formato oggetto del rinvio pregiudiziale, rendendo così nuovamente disponibili per Vivendi le partecipazioni in Mediaset precedentemente sterilizzate.

Parallelamente alle vicende che avevano portato alla decisione della Corte di Giustizia, Mediaset aveva convenuto in giudizio Vivendi dinanzi al Tribunale di Milano chiedendone la condanna al pagamento di oltre 3 miliardi di euro per l’inadempimento degli obblighi previsti dal contratto di partnership del 2016 e relativi, in particolare, al mancato acquisto dell’unità di pay-tv Mediaset Premium. In data 18 febbraio 2021 il Tribunale aveva quantificato il risarcimento dovuto in 1,7 miliardi di euro, statuendo, da un lato, l’effettiva violazione gli obblighi preliminari e prodromici al contratto da parte di Vivendi e, dall’altro, la mancata violazione dei patti parasociali nonché l’assenza di una condotta di concorrenza sleale imputabile a quest’ultima alla luce della decisione della Corte di Giustizia[8].

Nonostante Mediaset abbia annunciato impugnazioni, sia contro la decisione del Tribunale di Milano, che al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR Lazio, in data 22 luglio 2021 le parti hanno perfezionato un accordo, ai sensi del quale Vivendi alienerà sul mercato l’intera quota del 19,19% di Mediaset in un periodo di cinque anni, mentre Fininvest, che avrà il diritto di acquistare le azioni eventualmente invendute in ciascun periodo di 12 mesi al prezzo annuale stabilito, acquisterà il 5,0% del capitale sociale di Mediaset detenuto direttamente da Vivendi, che rimarrà azionista di Mediaset con la quota residua del 4,61% e sarà libera di mantenere o vendere tale partecipazione in qualsiasi momento e a qualsiasi prezzo.

La robustezza di questo accordo, tuttavia, potrebbe essere messa in discussione da indiscrezioni emerse in data 4 giugno 2021 circa la possibile apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in relazione all’emendamento “salva Mediaset” da parte della Commissione Europea, secondo cui le regole che proteggono il pluralismo nei media nella legislazione italiana avrebbero dovuto essere notificate in base alla c.d. “Direttiva sulla trasparenza”[9]. Nuovi sviluppi sono pertanto attesi in questa saga senza fine, che, pur nell’obiettivamente elevata complessità tecnica che la caratterizza, sembra portare con sé un grado di incertezza giuridica sempre più difficilmente accettabile.

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[1] Decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali, GU n.123 del 25.05.2021.

[2] Decreto Legislativo 31 luglio 2005, n. 177, GU n. 208 del 07.09.2015. L’articolo 43 del TUSMAR, intitolato “Posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni”, al comma 11 dispone: “… Le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo…”.

[3] AGCOM Delibera n. 178/17/CONS del 18.04.2017, Accertamento della violazione dell’art. 43, comma 11, del Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.

[4] L’articolo 49 TFUE dispone: “… Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali…”.

[5] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.

[6] Legge 27 novembre 2020, n. 159, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020, GU n. 300 del 03.12.2020. La legge dispone: “Dopo l’articolo 4 è inserito il seguente:

Art. 4-bis (Disposizioni in materia di poteri di istruttoria dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).

In considerazione delle difficoltà operative e gestionali derivanti dall’emergenza sanitaria in atto, in armonia con i principi di cui alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 3 settembre 2020, nella causa C-719/ 18, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e per i successivi sei mesi, nel caso in cui un soggetto operi contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso, ricadente nel sistema integrato delle comunicazioni (SIC), anche attraverso partecipazioni in grado di determinare un’influenza notevole ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta ad avviare un’istruttoria, da concludere entro il  termine di sei mesi dalla data di avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo, sulla base di criteri previamente individuati, tenendo conto, fra l’altro, dei ricavi, delle barriere all’ingresso nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti, adottando, eventualmente, i provvedimenti di cui all’articolo 43, comma 5, del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per inibire l’operazione o rimuoverne gli effetti…”.

[7] Il testo del provvedimento è disponibile al seguente LINK.

[8] Tribunale di Milano, Sez. XV Civile, 18.02.2021, N. R.G. 30071/2017.

[9] Direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE, GUUE L 390, del 31.12.2004.