I C.D. “GIG WORKERS” E IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA. LA COMMISSIONE INVITA GLI STAKEHOLDERS AD ESPRIMERSI

marketude Employment and Pensions, EU and Competition, Marco Stillo, Perspectives, Publications, Roberto A. Jacchia

In data 28 maggio 2021 si è conclusa la consultazione pubblica indetta dalla Commissione Europea per raccogliere le opinioni degli stakeholders in merito alla possibilità di garantire che le norme europee in materia di concorrenza non ostacolino la contrattazione collettiva da parte dei c.d. “gig workers”. I gig workers rappresentano una particolare categoria di lavoratori autonomi che opera nell’ambito della c.d. “gig economy”, ossia quel modello economico che non si basa sui contratti tipici del lavoro subordinato, e bensì su una serie di prestazioni a chiamata, differenziandosi dai paradigmi tradizionali in quanto la loro organizzazione avviene per lo più tramite piattaforme online. Più particolarmente, il termine “gig” trova la sua origine nella musica jazz, dove veniva utilizzato ad inizio 900 come contrazione della parola “engagement” per indicare l’ingaggio per una serata. Successivamente, esso aveva assunto il significato generico di “lavoretto”, unendosi al termine “economy durante la crisi finanziaria del 2009. In base ad una analisi condotta secondo le categorie giuridiche comuni, pertanto, i gig workers sono appaltatori di servizi indipendenti, lavoratori di piattaforme online, lavoratori a chiamata e collaboratori a tempo determinato che stipulano accordi con le aziende allo scopo di fornire servizi ai clienti delle stesse a seconda delle richieste come pervenute in tempo reale. Benché la gig economy possa rivelarsi vantaggiosa per i lavoratori, le imprese ed i consumatori, rendendo la prestazione continuamente adattabile alle esigenze del momento e alla sempre crescente domanda di stili di vita più flessibili e decentrati, la natura complessa e fluida di questa nuova categoria di lavoratori pone diverse sfide. In primo luogo, la classificazione dei gig workers è tuttora in discussione: infatti, mentre da un lato le imprese li qualificano come “appaltatori indipendenti”, sostenendone la relativa autonomia, dall’altro sindacati e rappresentanti di categoria propendono per una loro categorizzazione come “lavoratori dipendenti”, in modo tale da garantirne l’accesso a tutti i relativi istituti e benefici [1]. I gig workers, inoltre, tipicamente operano in condizioni di lavoro precarie, che si riflettono nella mancanza di trasparenza e prevedibilità degli accordi contrattuali, nei problemi di salute e sicurezza e nell’accesso inadeguato agli istituti previdenziali e di protezione sociale. L’attenzione della Commissione per i gig workers è piuttosto risalente. Già nel 2017, infatti, questa nuova categoria di lavoratori era stata menzionata nell’ambito dei principi del Pilastro europeo dei diritti sociali relativi all’occupazione flessibile e sicura e alla protezione sociale[2]. Successivamente, nel contesto della consultazione pubblica del giugno 2020 relativa al c.d. “Digital Services Act”[3] la Commissione aveva nuovamente coinvolto gli stakeholders, pubblicando in data 6 gennaio 2021 la valutazione d’impatto[4] che ha formato la base della nuova consultazione pubblica del 5 marzo 2021, avviata in parallelo a quella relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro delle persone che lavorano tramite piattaforme digitali[5]. Quest’ultima iniziativa trova la sua ratio nel fatto che l’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), come è noto, vieta gli accordi tra imprese che restringono la concorrenza. Benché secondo la Corte di Giustizia i lavoratori dipendenti non siano inclusi nella nozione di “impresa”[6], di talché la contrattazione collettiva tra gli stessi e i datori di lavoro non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE, i lavoratori autonomi sono invece considerati come tali e, pertanto, in linea di principio parificati alle stesse. Di conseguenza, poiché gli accordi stipulati dai gig workers con le imprese potrebbero presentare profili di interferenza con le norme europee di concorrenza, la Commissione si propone di fare sì che queste ultime non ostacolino la contrattazione collettiva, correggendo così uno squilibrio di potere negoziale tra i gig workers e le controparti a cui o attraverso cui forniscono i loro servizi. Più particolarmente, la valutazione di impatto ha identificato quattro opzioni alternative per quanto riguarda i soggetti che possono accedere alla contrattazione collettiva, da implementare attraverso un futuro Regolamento o una Comunicazione. In primo luogo, l’eccezione riguarderebbe solamente i lavoratori autonomi che forniscono il proprio lavoro attraverso piattaforme digitali, molti dei quali dispongono di un ridotto potere contrattuale in termini di remunerazione, orari e condizioni di lavoro. In secondo luogo, tutti i lavoratori autonomi che forniscono il proprio lavoro tramite piattaforme digitali o a clienti di una certa dimensione minima dovrebbero essere ricompresi nella nuova disciplina, così da includervi anche le professioni tradizionali che operano offline, a condizione tuttavia che esse non siano già coperte da altre disposizioni specifiche del diritto della concorrenza. In terzo luogo, vi sarebbero inclusi tutti i lavoratori autonomi che forniscono il proprio lavoro attraverso piattaforme digitali o a clienti di qualsiasi dimensione ad eccezione delle professioni regolamentate, i cui soggetti sono abitualmente dotati di un maggior potere contrattuale. Infine, sarebbero da includere tutti i lavoratori autonomi che forniscono il proprio lavoro attraverso piattaforme di lavoro digitali o clienti a prescindere dalla loro dimensione. La palla passa ora alla Commissione, che dovrebbe formulare una proposta da presentare al Parlamento e al Consiglio entro la fine del 2021.

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[1] Quali, tra gli altri, una retribuzione maggiorata per gli straordinari, la retribuzione del tempo trascorso in malattia, l’assistenza sanitaria fornita dal datore di lavoro, nonché i diritti di contrattazione e assicurazione contro la disoccupazione.

[2] Per ulteriori informazioni si veda il seguente LINK.

[3] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.

[4] Disponibile al seguente LINK.

[5] Per ulteriori informazioni si veda il seguente LINK.

[6] CGUE 21.09.1999, Causa C-67/96, Albany.