LA “TRUFFA DEI 28 GIORNI” DOPO TUTTO NON È UNA TRUFFA. IL TAR DEL LAZIO ANNULLA LE SANZIONI INFLITTE AI PRINCIPALI OPERATORI TELEFONICI

marketude Consumatori e vendita al dettaglio, Contenzioso, Marco Stillo, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia, Società

In data 12 luglio 2021, Il Tribunale Amministrativo Regionale (“TAR”) per il Lazio ha annullato[1] la sanzione pari a 228 milioni di euro inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) alla Fastweb S.p.A. (“Fastweb”), alla Telecom Italia S.p.A.(“Telecom”) alla Vodafone Italia S.p.A. (“Vodafone”) e alla Wind Tre S.p.A. (“Wind”) per aver realizzato un’intesa anticoncorrenziale relativa al  riproporzionamento della spesa annuale su 12 canoni anziché 13, comunicato all’utenza in occasione del passaggio dalla fatturazione quadrisettimanale a quella mensile (c.d. “repricing”)[2].

Questi i fatti.

A partire dal marzo 2015, i principali operatori di telefonia fissa e mobile avevano modificato la tempistica della fatturazione all’utenza portandola da una cadenza mensile ad una quadrisettimanale (ogni 28 giorni) senza prevedere una riduzione del canone periodale delle offerte di servizi oggetto di tale modifica. A seguito di diverse denunce da parte di associazioni di consumatori, in data 15 marzo 2017 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) era intervenuta[3] stabilendo che l’unità temporale per la cadenza di rinnovo e per la fatturazione dei contratti di rete fissa dovesse essere il mese e che, per la telefonia mobile, non potesse essere inferiore ai 28 giorni, di modo da garantire all’utente la corretta percezione del prezzo offerto da ciascun operatore nonché una corretta informazione sul costo indicato in bolletta per l’uso dei servizi. Gli operatori telefonici, tuttavia, non si erano adeguati alle prescrizioni dell’AGCOM, impugnandone la delibera dinanzi al Giudice Amministrativo, che aveva respinto i ricorsi sia in primo grado che in appello.

Successivamente, il Decreto Legge 148/2017 aveva introdotto l’obbligo per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica di prevedere una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi su base mensile o di multipli del mese (c.d. “rollback”), concedendo loro un termine di centoventi giorni per adeguarvisi[4]. Di conseguenza, Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind avevano comunicato ai propri clienti che la fatturazione delle offerte e dei servizi sarebbe stata effettuata su base mensile e non più quadrisettimanale, con la conseguenza che la spesa annuale complessiva sarebbe stata distribuita su 12 canoni anziché 13, precisando che tale rimodulazione tariffaria, pur comportando l’aumento dei singoli canoni mensili, non avrebbe modificato il prezzo annuale dell’offerta di servizio. In data 7 febbraio 2018 l’AGCM aveva però avviato un procedimento nei confronti dei quattro operatori al fine di accertare la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, nella forma di pratica concordata e/o di accordo in violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), volta a determinare la variazione delle condizioni contrattuali dei servizi al dettaglio di comunicazione fissi e mobili in occasione dell’adeguamento alle prescrizioni contenute del Decreto legge 148/2017, e a restringere la possibilità dei clienti-consumatori di beneficiare del corretto confronto concorrenziale tra operatori in sede di esercizio del diritto di recesso.

Ad esito del procedimento, in data 28 gennaio 2020 l’AGCM aveva stabilito che Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind avevano posto in essere, almeno dal 14 novembre 2017, un’intesa restrittiva della concorrenza per oggetto finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e ad ostacolare la mobilità delle rispettive basi di clienti, impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori nei mercati dei servizi di telefonia fissa e mobile. Gli operatori avevano presentato ricorso al TAR del Lazio contro il provvedimento, sostenendo i) che l’AGCM non avrebbe adeguatamente valutato le argomentazioni volte a dimostrare come il mantenimento dell’aumento di prezzo dell’8,6% fosse una scelta di fatto obbligata per ciascun operatore, la cui adozione non solo non necessitava di alcun accordo con gli operatori concorrenti, e bensì non aveva arrecato alcun pregiudizio ai consumatori, in quanto l’aumento di prezzo aveva avuto già luogo in occasione del passaggio della fatturazione da mensile alla cadenza di 28 giorni, ii) che la delibera dell’AGCOM e la successiva novella normativa non avevano toccato il tema dell’aumento del prezzo annuale, essendosi al contrario limitate a ritenere illegittima la fatturazione quadrisettimanale e ad obbligare gli operatori a ripristinare quella mensile, e iii) che non si era verificata alcuna intesa tra gli operatori, in quanto i contatti e lo scambio di informazioni tra gli stessi si fondavano sulla necessità di confrontarsi sulle modalità interpretative della novella legislativa.

Secondo il TAR, le censure di Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind risultano complessivamente fondate.

In primo luogo, la delibera dell’AGCM presenta un primo profilo di illogicità e difetto di istruttoria laddove desume e valorizza la segretezza dall’intesa esclusivamente sulla base di documenti inutilizzabili in quanto esterni al perimetro temporale di svolgimento della presunta pratica concordata.

In secondo luogo, l’AGCM contesta la tesi secondo cui mancherebbe l’oggetto dell’intesa in quanto la manovra di repricing non avrebbe comportato un aumento di spesa annuale per il consumatore, consistendo altresì nella riparametrazione al periodo mensile del costo dei prodotti offerti ai propri clienti. Più particolarmente, il riferimento alla spesa annuale rappresenterebbe una strategia comunicativa mirante a portarne l’invarianza all’attenzione del consumatore, benché questo determini nei fatti un repricing del canone periodale nel passaggio alla fatturazione mensile. Secondo l’AGCM, inoltre, è proprio sulla base del singolo rinnovo commercializzato che i consumatori effettuano le proprie scelte di adesione ad un’offerta ovvero di recesso dal contratto cambiando operatore, in quanto essi non sono in grado di percepire le maggiorazioni di prezzo derivanti dal mutamento nella periodicità della fatturazione, né di individuare ex ante i c.d. “costi nascosti”[5]. Ciò confermerebbe che le scelte del consumatore si basano essenzialmente sull’importo del canone periodale commercializzato, che assurge a principale parametro di concorrenza. Secondo il TAR, tuttavia, si tratta di considerazioni che, al più, deporrebbero per l’individuazione di una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, i cui effetti lesivi si manifestano a danno dei consumatori, ma che non sono idonee a sostenere l’esistenza di una pratica concordata fra gli operatori per mantenere fermo l’aumento di prezzo allo scopo di evitare la fuoriuscita di clienti verso la concorrenza. Di conseguenza, nell’affermare che il mantenimento dell’aumento di prezzo dell’8,6% fosse una scelta obbligata, gli operatori non si riferivano alla mancanza di alternative possibili, e bensì alla mancanza di alternative convenienti, valutazione, che ciascun operatore poteva effettuare in completa autonomia.

La ricostruzione dell’AGCM sembra inoltre contraddire quanto ritenuto dall’AGCOM nel suo precedente provvedimento, per più ragioni. In primo luogo, il tema del repricing, nel passaggio da 28 giorni alla mensilità di fatturazione, non deve essere trattato come un fatto nuovo rispetto alla vicenda che aveva portato all’adozione della Delibera n. 121/17/CONS, e bensì come la medesima vicenda con riferimento al medesimo, e unico, aumento di prezzo rispetto alle offerte in essere, o a parte di esse, che aveva comportato un incremento annuo della spesa degli utenti dell’8,6%. La dimensione dell’incremento percentuale del c.d. “mero repricing” (ossia l’aumento del prezzo su base mensile), infatti, non può essere considerato come un elemento esogeno che viene in essere solo ad un certo momento, essendo la diretta trasposizione, nel nuovo contesto di fatturazione, di un precedente aumento di prezzo, già manifestatosi; di talché, non si verifica aumento della spesa annuale a seguito del “mero repricing“. In secondo luogo, mentre il prezzo mensile costituisce un indicatore rilevante per il consumatore che deve scegliere il servizio da acquistare ex novo nel mercato, non si può automaticamente trasporre questa valutazione quando la modifica riguarda il valore di fatturazione mensile a parità di costo annuo, a meno che il livello di prezzo generato dalle variazioni percentuali non sia tale da indurre, attraverso la comparazione con offerte concorrenti di analogo contenuto, un cambio di operatore, e pertanto, il fattore prezzo, da solo, non rappresenta la variabile sulla base della quale i consumatori sono indotti alla migrazione. In terzo luogo, non si può sostenere che i contatti fra gli operatori fossero necessariamente finalizzati ad una concertazione anticoncorrenziale, dovendosi, al contrario, considerare naturale che tra soggetti attivi in un contesto fortemente regolato e co-regolato si innesti un processo di confronto sulle modalità attuative del Decreto Legge 148/2017e delle relative interpretazioni. Infine, le evidenze sull’andamento delle portabilità mostravano come, in realtà, il repricing avesse avuto al riguardo un effetto trascurabile nel corso dell’anno.

Di conseguenza, il TAR ha annullato la decisione dell’AGCM, in quanto carente di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro, non altrimenti spiegabili se non con l’esistenza della accertata pratica concordata. La ricostruzione prospettata, infatti, non forniva evidenze istruttorie adeguate a contrastare la tesi degli operatori secondo cui lo scambio di informazioni non solo era da attribuirsi all’esigenza di adeguarsi alla modifica normativa, e bensì rappresentava la mera esplicazione del loro diritto di reagire al comportamento noto o presunto dei concorrenti.

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[1] TAR Lazio, sentenze numero 8233, 8236, 8239 e 8240 del 12.07.2021.

[2] Il testo del provvedimento è disponibile al seguente LINK.

[3] AGCOM, Delibera n. 121/17/CONS del 15.03.2017, Modifiche alla delibera n. 252/16/CONS recante “Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica”.

[4] Decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili, GU n. 242 del 16.10.2017. L’articolo 19quinquiesdecies del Decreto, intitolato “Misure urgenti per la tutela degli utenti dei servizi di telefonia, reti televisive e comunicazioni elettroniche in materia di cadenza di rinnovo delle offerte e fatturazione dei servizi”, al comma 1 lettera a) dispone: “… All’articolo 1 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. a) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

“1-bis. I contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, ad esclusione di quelli promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore a un mese e non rinnovabile, su base mensile o di multipli del mese.

1-ter. Gli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, si adeguano alle disposizioni di cui al comma 1-bis entro il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione...”.

[5] I costi nascosti sono delle spese supplementari, non incluse nel prezzo di acquisto di un prodotto o di un servizio, senza pagare i quali tuttavianon si può usufruire di quest’ultimo.