In data 25 marzo 2021, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella Causa C-591/16 P, H. Lundbeck A/S e Lundbeck Ltd c. Commissione Europea, sulla domanda di annullamento della sentenza dell’8 settembre 2016[1] con cui Il Tribunale dell’Unione aveva respinto il ricorso volto, da un lato, ad ottenere l’annullamento parziale della Decisione C(2013) 3803 final[2] della Commissione e, dall’altro, alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte, in un caso accordi “pay-for-delay”[3].
Nel corso degli anni, la H. Lundbeck A/S, controllante danese di un gruppo di società tra cui la Lundbeck Ltd (congiuntamente “Lundbeck”), specializzato nel comparto delle patologie che colpiscono il sistema nervoso centrale, tra cui la depressione, aveva elaborato diversi processi per produrre l’ingrediente attivo denominato citalopram, per i quali aveva chiesto, e spesso ottenuto, brevetti in diversi paesi dello Spazio Economico Europeo (SEE). Più particolarmente, tra il 2001 e il 2003 la Lundbeck aveva ottenuto dei brevetti per la produzione di citalopram mediante processi che utilizzavano amido e iodio, nonché per la produzione di citalopram mediante cristallizzazione e distillazione a film.
Nel corso del 2002, la Lundbeck aveva concluso sei accordi pay-for-delay riguardanti il citalopram ed i processi per la sua produzione con alcune imprese genericiste, quali Generics UK Ltd e Merck Generics Holding GmbH (“Merck”)[4], Arrow Generics Ltd e Resolution Chemicals Ltd (“Arrow”)[5], Alpharma ApS (“Alpharma”)[6] e Ranbaxy Laboratories Ltd e Ranbaxy (UK) Ltd (“Ranbaxy”)[7].
Ad esito di un procedimento antitrust, la Commissione aveva ritenuto che tali accordi dovessero essere qualificati come restrizioni della concorrenza per oggetto in violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), in quanto miravano, in realtà, ad escludere i produttori di medicinali generici dal mercato per un periodo di tempo convenuto a fronte di pagamenti effettuati a loro favore. La Lundbeck, sanzionata con una ammenda pari a circa 93 milioni di euro, aveva successivamente impugnato la decisione della Commissione per ottenerne l’annullamento e, in subordine, l’azzeramento o la riduzione delle ammende dinanzi al Tribunale dell’Unione, che aveva rigettato il ricorso confermando la decisione della Commissione.
La Lundbeck aveva proposto appello dinanzi alla Corte di Giustizia avverso la sentenza del Tribunale, deducendo sei motivi.
Con il quarto motivo (esaminato per primo), la Lundbeck sosteneva che il Tribunale era incorso in un errore di diritto nonché in un errore manifesto di valutazione delle prove, contraddicendosi nel confermare la constatazione della Commissione secondo cui l’impresa e i produttori di medicinali generici erano concorrenti quantomeno potenziali. Più particolarmente, secondo la Lundbeck, il Tribunale i) aveva commesso un errore di diritto limitandosi a verificare se i produttori di medicinali generici sarebbero potuti entrare materialmente nel mercato non tenendo invece conto dell’esistenza di barriere giuridiche, ossia i nuovi brevetti di procedimento che essa possedeva, che legittimamente ostacolavano il loro accesso al mercato, ii) aveva commesso un errore manifesto di valutazione delle prove, in quanto la sua constatazione secondo cui la Commissione stessa dubitava della validità del brevetto sulla cristallizzazione era fondata soltanto su due documenti successivi agli accordi controversi, iii) era incorso in un errore di diritto nel ritenere che le prove successive agli accordi controversi, anche oggettive, non potessero essere decisive ai fini dell’esistenza di una concorrenza potenziale tra la Lundbeck e ciascuno dei produttori di medicinali generici, ed infine iv) aveva commesso un errore di diritto concludendo che la Merck, la Arrow, la Alpharma e la Ranbaxy erano concorrenti potenziali della Lundbeck nel SEE[8].
La Corte ha preliminarmente ricordato che poiché l’impugnazione deve limitarsi ai motivi di diritto[9], la valutazione dei fatti e degli elementi di prova non è soggetta al suo controllo salvo il caso di loro snaturamento; di talché, le censure mosse dalla Lundbeck al Tribunale in ordine alla validità dei suoi nuovi brevetti di procedimento nonché al travisamento delle prove per concludere che la Merck, la Arrow, la Alpharma e la Ranbaxy erano concorrenti potenziali nel mercato geografico rilevante sono state giudicate irricevibili.
In merito agli altri argomenti della Lundbeck, la Corte ha ricordato che, per ricadere nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un comportamento deve rivelare una collusione che pregiudichi in modo sensibile il gioco della concorrenza nel mercato interno[10] ed intervenire tra imprese che si trovino in una situazione di concorrenza almeno potenziale[11].
Più particolarmente, nel caso di accordi pay-for-delay nel contesto dell’apertura del mercato di un medicinale contenente un principio attivo divenuto di pubblico dominio ai produttori di medicinali generici, occorre stabilire se, tenuto conto dei vincoli regolatori propri del settore farmaceutico e dei brevetti detenuti dai produttori di medicinali originatori aventi ad oggetto uno o più processi di fabbricazione del principio attivo[12], sia riconoscibile in capo a costoro la ferma determinazione nonché la capacità autonoma di fare ingresso nel mercato senza dover affrontare ostacoli insormontabili[13]. A tale riguardo, l’esistenza di un brevetto che protegge il processo di fabbricazione del principio attivo non può, di per sé, considerarsi un ostacolo insormontabile, dal momento che essa non fornisce alcuna informazione, ai fini dell’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE, sull’esito di un’eventuale controversia relativa alla validità del brevetto[14]. Di conseguenza, la mera esistenza del brevetto non impedisce di qualificare come concorrente potenziale del produttore originatore un genericista caratterizzato dalla ferma determinazione e dalla capacità di fare ingresso nel mercato e che si mostrava concretamente pronto a contestare la validità del brevetto assumendo il rischio di confrontarsi, al momento dell’ingresso nel mercato, con un’azione di contraffazione del titolare[15].
Il Tribunale, pertanto, non aveva violato né la presunzione di validità afferente ai nuovi brevetti di procedimento della Lundbeck, né le norme di riparto dell’onere della prova nel dichiarare che non spettava alla Commissione provare in positivo che il citalopram che i genericisti intendevano commercializzare non violasse i nuovi brevetti di procedimento della Lundbeck, e che il possesso degli stessi da parte di quest’ultima non ostasse alla constatazione dell’esistenza della concorrenza potenziale[16]. Pertanto, la prima parte del quarto motivo veniva rigettata.
L’esistenza di una concorrenza potenziale tra un originatore ed un genericista va valutata alla data della conclusione dell’accordo di composizione amichevole della controversa relativa ai brevetti di procedimento che li vede opposti[17], tenuto conto del fatto che esso interviene in un momento in cui ciascuna delle parti si trova nell’incertezza quanto alla validità del brevetto ed alla natura contraffattoria del medicinale generico destinato a venire immesso sul mercato[18]. Qualsiasi elemento di prova anteriore, contemporaneo o addirittura successivo alla conclusione dell’accordo in questione può essere preso in considerazione, qualora risulti idoneo a chiarire l’esistenza o l’assenza del rapporto di concorrenza tra le imprese interessate al momento della conclusione dell’accordo[19]; per contro, gli elementi di prova riguardanti l’esito della controversia che aveva giustificato la conclusione dell’accordo non possono essere presi in considerazione al fine di valutare l’esistenza del rapporto di concorrenza potenziale in quanto, essendo sconosciuti alle parti alla data della conclusione dell’accordo, non potrebbero averne influenzato il comportamento. Di conseguenza, il Tribunale non aveva commesso errori di diritto né invertito l’onere della prova, nel ritenere che potessero essere presi in considerazione elementi di prova successivi agli accordi controversi, in quanto essi consentono di stabilire quale fosse la posizione delle parti all’epoca della loro conclusione.
Quanto, inoltre, all’argomento della Lundbeck secondo cui il Tribunale avrebbe concluso per l’esistenza di una concorrenza potenziale con i produttori di medicinali generici sulla base di elementi soggettivi, la Corte ha ricordato che la loro considerazione non può essere esclusa, purché il rapporto concorrenziale non sia dimostrato esclusivamente o essenzialmente in base ad essi. Poiché la Commissione aveva svolto un esame minuzioso, per ciascuno dei produttori di medicinali generici interessati, delle loro possibilità reali e concrete di entrare nel mercato, basandosi su elementi obiettivi quali, tra gli altri, gli investimenti già effettuati e le pratiche espletate per ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), la seconda e la terza parte del quarto motivo sono state ugualmente respinte.
Per quanto riguarda, infine, gli argomenti della Lundbeck secondo cui il Tribunale avrebbe erroneamente constatato l’esistenza della concorrenza potenziale, o quantomeno potenziale, tra essa e i produttori genericisti, nonostante costoro non disponessero di un’AIC per i loro rispettivi medicinali al momento della conclusione degli accordi controversi, la Corte ha ricordato che, sebbene il possesso da parte di un produttore di medicinali generici di una valida AIC sia certamente necessario al suo ingresso nel mercato, la sua mancanza al momento della conclusione dell’accordo non esclude, di per sé, qualsiasi concorrenza potenziale. In assenza di barriere insormontabili all’ingresso nel mercato, infatti, l’esistenza della concorrenza potenziale presuppone unicamente che il genericista abbia adottato le misure preparatorie sufficienti a consentirgli di entrare nel mercato entro un periodo di tempo idoneo ad esercitare una pressione concorrenziale sull’originatore, senza che occorra determinare se tali misure siano state effettivamente finalizzate nel tempo voluto o coronate da successo.
Nell’ambito di tali misure figurano le iniziative volte a mettere il produttore genericista in condizione di disporre delle AIC o delle autorizzazioni equivalenti necessarie alla commercializzazione del suo medicinale generico. Di conseguenza, poiché l’effettività di queste ultime era stata accertata con riferimento a ciascuno dei produttori genericisti coinvolti, il Tribunale non aveva commesso errori di diritto nel ritenere che tali iniziative costituissero indizi rilevanti per dimostrare l’esistenza della concorrenza potenziale tra di loro e la Lundbeck, Pertanto, il quarto motivo veniva respinto in quanto in parte irricevibile ed in parte infondato.
Con i motivi dal primo al terzo, la Lundbeck aveva contestato la qualificazione degli accordi controversi come restrizione per oggetto sotto diversi profili.
Più particolarmente, con il primo motivo la Lundbeck aveva sostenuto che il Tribunale i) aveva erroneamente ritenuto che l’esistenza dei pagamenti da lei versati ai genericisti e la loro misura sproporzionata fossero determinanti per la qualificazione degli accordi come restrizioni per oggetto, ii) non aveva correttamente valutato il contesto economico e giuridico degli accordi stessi, iii) aveva commesso un errore di diritto rifiutando di ordinare alla Commissione di esaminare l’integrale scenario controfattuale, e iv) aveva commesso un errore di diritto assimilando gli accordi pay-for-delay a quelli di esclusione dal mercato per il motivo che essi intervenivano tra concorrenti reali o potenziali[20].
La Corte ha preliminarmente ricordato che gli accordi di composizione amichevole di controversie brevettuali conclusi tra un produttore originatore e vari produttori genericisti di medicinali generici, e che hanno avuto l’effetto di rinviare l’ingresso nel mercato di questi ultimi in contropartita di trasferimenti di valore di carattere monetario o non monetario del primo in favore dei secondi, non debbono necessariamente considerarsi restrizioni per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE[21]. Tale qualificazione, tuttavia, ricorre qualora dall’esame dell’accordo risulti che i trasferimenti di valore trovano unicamente spiegazione nell’interesse commerciale sia del titolare del brevetto sia del presunto contraffattore ad evitare una concorrenza in base ai meriti[22]. Più particolarmente, al riguardo occorre valutare se il saldo positivo netto dei trasferimenti di valori dell’originatore a favore del genericista sia stato sufficientemente rilevante per indurre effettivamente il secondo a rinunciare ad entrare nel mercato e, pertanto, a non fare concorrenza in base ai meriti al primo; non è però necessario che tale saldo positivo netto sia superiore alle utilità che il genericista avrebbe ritratto se fosse risultato vittorioso nella causa brevettuale[23].
Nel caso concreto, gli accordi avevano avuto per effetto di mantenere i genericisti al di fuori dei mercati rilevanti, finanche comportando per la Merck la cessazione delle forniture dei medicinali generici interessati ad un rivenditore nel mercato svedese, oltre alla sua uscita dal mercato britannico. Prima della conclusione degli accordi, inoltre, le parti dissentivano sulla questione se i nuovi brevetti di procedimento della Lundbeck fossero sufficienti per escludere l’ingresso del citalopram generico nel mercato; dunque, tali brevetti non avrebbero potuto essere determinanti nella decisione dei genericisti di impegnarsi a non entrare nel mercato. La Lundbeck, infine, non aveva contestato che gli importi versati ai genericisti potessero essere stati calcolati considerando come riferimento i profitti o il fatturato che costoro speravano di ottenere per la durata degli accordi qualora fossero entrati nel mercato. Di talché, secondo la Corte, il Tribunale non aveva commesso errori di diritto nel concludere che gli accordi controversi costituivano una restrizione per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.
Per quanto riguarda, infine, gli argomenti della Lundbeck relativi alla necessità dell’esame dello scenario controfattuale, la Corte ha ricordato come esso consenta di valutare gli effetti di una pratica collusiva nella prospettiva dell’articolo 101 TFUE qualora la sua analisi non denoti un grado di dannosità concorrenziale adeguato a qualificarla come restrizione per oggetto[24]. Di conseguenza, tale esame non può imporsi ai fini della qualificazione della condotta stessa come restrizione per oggetto, essendo soltanto necessario dimostrare che la pratica presenta un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, dei suoi obiettivi e del contesto economico e giuridico nel quale essa si colloca, senza che la Commissione sia tuttavia tenuta ad esaminarne gli effetti.
Con il secondo motivo, invece, la Lundbeck aveva sostenuto che il Tribunale era incorso in un errore di diritto e in un errore manifesto di valutazione delle prove, non applicando criteri giuridici appropriati per concludere che cinque dei sei accordi controversi[25] esulavano dall’ambito di applicazione dei suoi nuovi brevetti di procedimento. Tuttavia, essendo rivolto contro statuizioni “ad abundantiam” della sentenza impugnata, tale motivo veniva rigettato[26].
Alla luce della risposta fornita al primo motivo, infine, la Corte ha deciso di respingere anche il terzo motivo, con il quale la Lundbeck aveva sostenuto che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto qualificando gli accordi come restrizioni per oggetto.
Con il quinto motivo la Lundbeck aveva addebitato al Tribunale di aver erroneamente confermato le ammende che la Commissione le aveva inflitto. Più particolarmente, secondo la Lundbeck, il Tribunale i) aveva commesso un errore di diritto consistente nell’aver applicato in modo non corretto il grado di colpevolezza richiesto per infliggere un’ammenda all’autore di una pratica anticoncorrenziale, ii) aveva commesso un ulteriore errore di diritto nel confermare la conclusione della Commissione secondo cui essa non poteva ignorare il carattere anticoncorrenziale del suo comportamento, e iii) aveva violato i principi della certezza del diritto e di irretroattività della nuova interpretazione di una disposizione che contemplava l’irrogazione di sanzioni eccedenti le ammende simboliche.
La Corte ha preliminarmente ricordato che un’impresa può essere sanzionata per un comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE qualora non possa ignorare il carattere anticoncorrenziale del proprio comportamento, a prescindere dalla sua consapevolezza o meno di violare le norme europee in materia di concorrenza[27]; pertanto, il fatto che l’impresa qualifichi in modo giuridicamente erroneo il proprio comportamento sul quale si fonda la constatazione dell’infrazione non può avere come conseguenza di esonerarla dall’ammenda qualora non potesse ignorare il carattere anticoncorrenziale del comportamento stesso[28].
Nel caso concreto, il Tribunale aveva accertato che, lungi dall’essere imprevedibili all’epoca della conclusione degli accordi controversi, le restrizioni della concorrenza che ne sono derivate potevano venire ragionevolmente percepite dalle parti come contrarie all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE[29], con la conseguente prevedibilità della relativa sanzione. Inoltre, la Lundbeck non aveva illustrato quali fossero gli errori di valutazione asseritamente commessi dal Tribunale. Di talché, il quinto motivo veniva respinto in quanto inammissibile.
Infine, il fatto che il Tribunale abbia confermato l’irrogazione alla Lundbeck di ammende eccedenti un livello simbolico non viola il principio della certezza del diritto, nonostante la natura inedita e complessa delle questioni sollevate dagli accordi controversi. Il principio di determinatezza della legge[30], infatti, non può essere inteso come divieto del graduale chiarimento delle norme sulla responsabilità penale mediante interpretazioni giurisprudenziali, sempreché queste ultime siano ragionevolmente prevedibili[31]. Nello specifico, la qualificazione come restrizione per oggetto, e a fortiori quella di restrizione della concorrenza, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, devono essere confermate qualora, dall’analisi dell’accordo di composizione amichevole risulti che i trasferimenti di valore ivi previsti trovano unica spiegazione nell’interesse commerciale del titolare del brevetto e del presunto contraffattore a non farsi concorrenza in base ai meriti, anzi scientemente sostituendo una collaborazione reciproca ai rischi e alle incertezze del mercato. L’affermazione della Lundbeck secondo cui l’irrogazione delle ammende implicherebbe una violazione del principio di irretroattività della legge in materia sanzionatoria, inoltre, era stata presentata per la prima volta in sede di impugnazione, costituendo un motivo nuovo inammissibile. Ne segue che anche quest’ultima parte del quinto motivo veniva respinta.
Con il sesto motivo, infine, la Lundbeck aveva fatto valere che la conferma da parte del Tribunale del calcolo delle ammende che le erano state inflitte dalla Commissione era errata in diritto ed insufficientemente motivata. Più particolarmente, secondo la Lundbeck, il Tribunale i) era incorso in un errore di diritto non ritenendo necessario escludere, ai fini della loro base di calcolo, le vendite che non potevano essere state interessate dagli accordi controversi, ossia quelle realizzate negli Stati Membri del SEE il cui mercato era precluso ai produttori di medicinali generici, ii) non aveva sufficientemente motivato come l’entrata nel mercato degli Stati Membri del SEE interessati non fosse stata di fatto impedita ai produttori genericisti a causa della mancanza di un’AIC e dell’esistenza dei brevetti della Lundbeck, e iii) aveva effettuato una valutazione erronea delle circostanze di specie nel ritenere che la Commissione avesse correttamente considerato, ai fini del calcolo delle ammende, una percentuale del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferiva del 10 e dell’11% a seconda della portata geografica degli accordi controversi[32].
La Corte ha ricordato che, nell’infliggere un’ammenda, la Commissione deve valutare, caso per caso e a fronte del contesto nonché degli obiettivi perseguiti dal regime sanzionatorio istituito dal Regolamento 1/2003[33], l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata, tenendo conto di un fatturato che rifletta la situazione economica reale dell’impresa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa[34]. Nello specifico, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda si può tenere conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione delle sue dimensioni e del suo potere economico, quanto della quota riferibile ai prodotti oggetto dell’infrazione e che è, perciò, atta a fornire un indicatore della sua gravità[35]. Sebbene, inoltre, la nozione di “valore delle vendite” ai sensi del punto 13 degli Orientamenti della Commissione sul calcolo delle ammende del 2006[36] non possa estendersi sino a ricomprendere le vendite che non rientrano nella sfera di applicazione dell’intesa contestata, l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe pregiudicato se tale nozione fosse intesa come riferita al fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertato che costituirono effettivamente oggetto dell’intesa[37].
Di conseguenza, ancorché debbano essere escluse dal valore delle vendite assunto a riferimento tanto quelle dell’autore dell’infrazione avvenute in un mercato non aperto alla concorrenza, quanto quelle realizzate da una delle parti di un’intesa in un mercato nel quale le altri parti di quest’ultima non erano presenti e non potevano essere considerate concorrenti potenziali, nel caso concreto nessuna delle vendite integrate dalla Commissione nel valore di riferimento, il cui importo complessivo era stato confermato dal Tribunale, rientrava in una di tali categorie. Al contrario, le stesse erano state realizzate in mercati nei quali produttori dei medicinali interessati erano almeno in concorrenza potenziale durante tutta la durata degli accordi controversi, di talché non si può sostenere che esse non si riferissero quantomeno indirettamente alle infrazioni constatate e, pertanto, che esse non dovessero essere prese in considerazione ai fini del calcolo delle ammende inflitte alla Lundbeck.
Allorquando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un giudizio di impugnazione, infine, non spetta alla Corte sostituire per motivi di equità la propria valutazione a quella del Tribunale, che statuisce, nell’esercizio della sua competenza di merito, sull’importo delle ammende inflitte, potendo essa al più ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale qualora ritenesse il livello della sanzione non soltanto inadeguato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato[38]. Poiché la Lundbeck, tuttavia, non era riuscita a dimostrare questa circostanza, il sesto motivo veniva respinto in quanto in parte inammissibile ed in parte infondato.
Respingendo in toto l’impugnazione della Lundbeck, la Corte si è allineata alla sua precedente decisione del 30 gennaio 2020 nella Causa C-307/18, Generics, in cui aveva precisato i criteri di valutazione degli accordi pay-for-delay in relazione agli articoli 101 e 102 TFUE con un alto grado di esaustività[39]. Questo oramai stabilizzato orientamento della Corte, che sembra lasciare aperti ben pochi spazi di ammissibilità per gli accordi pay-for-delay, potrebbe nel medio periodo sortire in effetti risultati pro-concorrenziali accelerando i processi di genericazione con conseguente alleggerimento degli oneri della spesa farmaceutica gravanti sui servizi sanitari nazionali.
[1] Tribunale 08.09.2016, Causa T-472/13, H. Lundbeck A/S e Lundbeck Ltd contro Commissione europea.
[2] Decisione della Commissione, del 19 giugno 2013, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, Caso AT.39226 — Lundbeck.
[3] Gli accordi pay-for-delay sono accordi miranti a ritardare la commercializzazione di un farmaco generico dietro pagamento di un corrispettivo o altra utilità da parte dell’originatore.
[4] In base al primo accordo, la Merck aveva ceduto le sue scorte di citalopram generico alla Lundbeck, che a sua volta lo avrebbe rivenduto alla Merck per la rivendita nel Regno Unito, altresì effettuando consistenti trasferimenti di valore a favore di quest’ultima. In base al secondo accordo, la Lundbeck avrebbe dovuto versare alla Merck un importo pari a circa 12 milioni di euro, a fronte del quale quest’ultima si impegnava a non vendere o fornire prodotti farmaceutici contenenti citalopram nel territorio del SEE (ad eccezione del Regno Unito) e ad intraprendere ogni ragionevole azione affinché la Natco Pharma Ltd, produttore dell’ingrediente farmaceutico attivo (IFA) del suo citalopram, ne cessasse la fornitura per la durata dell’accordo.
[5] In base al primo accordo, la Arrow si era impegnata a non fabbricare, cedere o utilizzare citalopram che, secondo la Lundbeck, violava i suoi diritti di proprietà intellettuale, in cambio di trasferimenti di valore per un importo pari a circa 6,8 milioni di sterline, ed a consegnare alla Lundbeck le proprie scorte di citalopram. In base al secondo accordo, in cambio di un trasferimento pari a circa 500.000 dollari la Arrow aveva accettato di cessare ogni importazione, fabbricazione, produzione, vendita o altra commercializzazione di prodotti contenenti citalopram che violassero i diritti di proprietà intellettuale della Lundbeck, che a sua volta avrebbe acquistato le scorte di citalopram della Arrow.
[6] In base all’accordo, l’Alpharma e le sue consociate si erano impegnate a cancellare, cessare e ad astenersi da qualsiasi importazione, produzione o vendita di prodotti farmaceutici contenenti citalopram in cambio di un versamento pari a circa 12 milioni di dollari da parte della Lundbeck, a cui la Alpharma avrebbe consegnato le sue scorte di citalopram generico.
[7] In base all’accordo, la Ranbaxy si era impegnata a cancellare, cessare e rinunciare alla fabbricazione o vendita di citalopram in cambio di un versamento pari a circa 9,5 milioni di dollari da parte della Lundbeck, che avrebbe venduto alla prima compresse di citalopram con uno sconto del 40% sul prezzo ex fabrica ai fini della rivendita sul mercato del Regno Unito.
[8] Si vedano i punti 42-46 della sentenza.
[9] L’articolo 256 TFUE al paragrafo 1 dispone: “… Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado dei ricorsi di cui agli articoli 263, 265, 268, 270 e 272, ad eccezione di quelli attribuiti a un tribunale specializzato istituito in applicazione dell’articolo 257 e di quelli che lo statuto riserva alla Corte di giustizia. Lo statuto può prevedere che il Tribunale sia competente per altre categorie di ricorsi.
Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto…”.
[10] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punto 31.
[11] Ibidem, punto 32.
[12] Ibidem, punti 40-41.
[13] Ibidem, punto 58.
[14] Ibidem, punti 46-51.
[15] Ibidem, punto 46.
[16] Si vedano i punti 62-64 della sentenza.
[17] Ibidem, punto 43.
[18] Ibidem, punto 52.
[19] CGUE 27.04.2017, Causa C‑469/15 P, FSL e a./Commissione, punto 38.
[20] Si vedano i punti 103-107 della sentenza.
[21] CGUE 30.01.2020, Causa C‑307/18, Generics (UK) e a., punti 84-85.
[22] Ibidem, punti 83 e 87.
[23] Ibidem, punti 93-94.
[24] Ibidem, punti 115 e 118.
[25] Nello specifico, l’accordo Merck per il SEE, l’accordo Arrow UK, l’accordo Arrow danese, l’accordo Alpharma e l’accordo Ranbaxy.
[26] CGUE 14.12.2016, Causa C‑577/15 P, SV Capital/ABE, punto 65.
[27] CGUE 18.06.2013, Causa C‑681/11, Schenker & Co. e a., punto 37.
[28] Ibidem, punto 38.
[29] Tribunale 08.09.2016, Causa T-472/13, H. Lundbeck A/S e Lundbeck Ltd contro Commissione europea, punti 765-776.
[30] L’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, intitolato “Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene”, dispone: “… Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.
Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.
Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato…”.
[31] CGUE 28.03.2017, Causa C‑72/15, Rosneft, punto 167.
[32] Si vedano i punti 180-183 della sentenza.
[33] Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GUUE L 1 del 04.01.2003. L’articolo 23 del Regolamento, intitolato “Ammende”, al paragrafo 2 dispone: “… La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:
a) commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato; oppure
b) contravvengono a una decisione che disponga misure cautelati ai sensi dell’articolo 8; oppure
c) non rispettano un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell’articolo 9.
Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10 % del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.
Qualora l’infrazione di un’associazione sia relativa alle attività dei membri della stessa, l’ammenda non deve superare il 10 % dell’importo del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato coinvolto dall’infrazione dell’associazione…”.
[34] CGUE 07.09.2016, Causa C‑101/15 P, Pilkington Group e a./Commissione, punto 16.
[35] Ibidem, punto 17.
[36] Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003, GUUE C 210 del 01.09.2006. Il punto 13 degli orientamenti dispone: “… Al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE). In linea di massima la Commissione prenderà come riferimento le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione (di seguito «il valore delle vendite»)…”.
[37] CGUE 07.09.2016, Causa C‑101/15 P, Pilkington Group e a./Commissione, punto 19.
[38] CGUE 26.09.2018, Causa C‑98/17 P, Philips e Philips France/Commissione, punto 107.
[39] Per ulteriori informazioni si veda il nostro precedente contributo, disponibile al seguente LINK.